Blake Pierce - Morte al College

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Un capolavoro del giallo e del mistero! L’autore ha svolto un magnifico lavoro, sviluppando i personaggi con un approfondito lato psicologico, descritto con tale cura da farci sentire all’interno della loro mente, provare le loro paure e gioire del loro successo. La trama è molto avvincente e vi catturerà per tutta la durata del libro. Ricco di colpi di scena, questo libro vi terrà svegli fino all’ultima pagina. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) MORTE AL COLLEGE è il libro #7 nella serie di bestseller dei misteri di Riley Paige, che comincia con IL KILLER DELLA ROSA, bestseller (Libro #1) ! Quando l’Agente Speciale Riley Paige finalmente decide di prendersi un meritato riposo dal lavoro all'FBI, giunge una richiesta di aiuto inaspettata: la sua stessa figlia. La migliore amica di April è devastata dalla morte di sua sorella, una matricola a Georgetown. C’è di peggio: è convinta che sia stato inscenato il suicidio e che sua sorella sia stata assassinata da un serial killer. Riley accetta di seguire il caso con riluttanza, soltanto per scoprire che altre due ragazze, matricole anch’esse, a Georgetown si sarebbero recentemente uccise nello stesso modo grottesco: impiccandosi. Accortasi che un gioco orrendo è in corso, chiede l’intervento dell’FBI. Il caso porta Riley nel campus privilegiato di una delle università più stimate, all’interno del mondo inquietante di famiglie facoltose, che spingono i figli a cercare il successo. Lei scopre in tempo che il caso è molto più intricato di quanto sembra, e che potrebbe stare per confrontarsi con il killer peggiore di tutta la sua carriera. Cupo thriller psicologico, caratterizzato da una suspense mozzafiato, MORTE AL COLLEGE è il libro #7 in una nuova serie affascinante – con un nuovo amato personaggio – che vi terrà incollati alle pagine fino a notte tarda. Il libro #8 nella serie di Riley Paige sarà presto disponibile.

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La Webber fece una pausa per un istante.

“Assumeva ossicodone per il dolore. Si è procurata un’overdose, di proposito. E’ stato intenzionale, ed è tutto.”

Riley sentiva che c’era qualcosa che non le stava dicendo.

“Dov’è successo?” chiese.

“In camera sua” la Webber rispose. “Era nel suo letto. Il coroner ha detto che è morta per un arresto respiratorio. Sembrava che fosse addormentata, quando la cameriera l’ha trovata.”

A quel punto, la Webber sbatté le palpebre.

Lo fece, letteralmente.

Aveva vacillato nella loro battaglia di forze di volontà.

Sta mentendo! Riley comprese e il battito del suo cuore accelerò.

Ora doveva davvero applicare la pressione, sondando esattamente le domande giuste.

Ma prima che Riley potesse anche solo pensare alla domanda da fare, la porta dell’ufficio si aprì. La donna che aveva accompagnato lì Riley entrò.

“Deputata, dovrei parlarle” disse.

La Webber sembrò sollevata, mentre si alzava dalla scrivania e seguiva l’assistente fuori dalla porta.

Riley prese dei respiri lunghi e lenti.

Quell’interruzione non ci voleva.

Era sicura che stava per penetrare nella facciata ingannevole di Hazel Webber.

Ma aveva perso la sua occasione.

Quando la Webber sarebbe tornata, Riley avrebbe ripreso l’interrogatorio.

Dopo meno di un minuto, la donna tornò. Sembrava aver ritrovato la propria autostima.

Rimase ferma accanto alla porta aperta e disse: “Agente Paige, sempre che sia davvero l’Agente Paige, devo chiederle di andarsene.”

Riley deglutì forte.

“Non capisco.”

“La mia assistente ha appena contattato il BAU. Non c’è assolutamente alcuna indagine in corso relativa ai suicidi al Byars College. Ora chiunque lei sia …”

Riley estrasse il proprio distintivo.

“Io sono l’Agente Speciale Riley Paige” esclamò con determinazione. “E farò tutto il possibile per assicurarmi che una simile indagine venga condotta il prima possibile.”

Passò davanti a Hazel Webber, uscendo dall’ufficio.

Uscendo dall’abitazione, sapeva di essersi fatta una nemica, e anche pericolosa.

Era un diverso tipo di pericolo rispetto a quelli che era solita affrontare.

Hazel Webber non era una psicopatica, che usava armi come catene, coltelli, pistole o torce al propano.

Era una donna priva di coscienza, e le sue armi erano denaro e potere.

Riley preferiva il nemico da prendere a pugni o a cui poter sparare. Ma, nonostante tutto, era pronta e intenzionata ad affrontare la Webber, e qualunque sua minaccia.

Mi ha mentito riguardo alla figlia, Riley continuava a pensare.

E adesso Riley era determinata a scoprire la verità.

Ora la casa sembrava vuota. Riley fu sorpresa di essere uscita senza incontrare una sola anima. Avrebbe potuto rubare e farla franca.

Entrò in auto e mise in moto.

Quando si avvicinò al cancello della villa, vide che era chiuso. All’interno c’erano la robusta guardia che l’aveva lasciata passare e l’enorme maggiordomo. Avevano entrambi le braccia incrociate e, ovviamente, la stavano aspettando.

CAPITOLO SETTE

I due uomini sembravano senz’altro minacciosi.

Apparivano anche un po’ ridicoli: il più piccolo dei due indossava la sua divisa da guardia, quello più robusto invece, l’outfit eccessivamente formale da maggiordomo.

Come una coppia di pagliacci da circo, pensò.

Ma sapeva che non stavano provando ad essere divertenti.

Riley accostò l’auto, fermandosi di fronte a loro. Abbassò il finestrino, guardò fuori e si rivolse a loro.

“C’è qualche problema, signori?”

La guardia si avvicinò, direttamente di fronte all’auto.

L’enorme maggiordomo si avvicinò al finestrino del lato passeggero ed esordì con voce tuonante. “La Deputata Webber desidera chiarire un equivoco.”

“E sarebbe a dire?”

“Desidera che lei capisca che i ficcanaso qui non sono benvenuti.”

Riley capì.

La Webber e la sua assistente erano giunte alla conclusione che Riley fosse una bugiarda, e non fosse affatto un’agente dell’FBI. Probabilmente sospettavano che fosse una giornalista pronta a scrivere qualche articolo sulla deputata.

Indubbiamente questi due tizi erano abituati a gestire i giornalisti rumorosi.

Riley estrasse di nuovo il distintivo.

“Credo che ci sia stato un equivoco” disse. “Sono davvero un’agente speciale dell’FBI.”

L’uomo grosso fece un sorrisetto. Ovviamente credeva che il distintivo fosse falso.

“Esca dall’auto, per favore” le disse.

“Preferirei di no, grazie” Riley disse. “Apprezzerei se apriste il cancello.”

Riley aveva lasciato lo sportello aperto. L’uomo grosso l’aprì.

“Esca dall’auto, per favore” ripeté.

Riley borbottò sotto i denti.

Qui non finisce bene, pensò.

Riley uscì dall’auto e chiuse lo sportello. I due uomini si spostarono posizionandosi ciascuno da un lato a una breve distanza da lei.

Riley si domandò chi dei due avrebbe fatto la prima mossa.

Poi, l’uomo enorme strinse i pugni e si diresse verso di lei.

Riley avanzò di un paio di passi.

Non appena le fu vicino, lo afferrò per il bavero e la manica del braccio sinistro e lo strattonò, facendogli perdere l’equilibrio. Poi, fece perno sul piede sinistro e si abbassò. Sentì a malapena l’enorme peso dell’uomo, mentre il corpo di quest’ultimo le volò sulla schiena. L’uomo finì rumorosamente a testa in giù contro lo sportello dell’auto, e poi sbatté la testa a terra.

L’auto ha avuto la peggio, pensò con fugace sgomento.

L’altro uomo le si stava già avvicinando e si girò in fretta per affrontarlo.

Lei gli diede un calcio nell’inguine. Lui si piegò emettendo un enorme gemito, e Riley vide che l’alterco era finito.

Riley agguantò la pistola dell’uomo dalla fodera che aveva sul fianco.

Poi, controllò la situazione.

L’uomo più grosso era ancora a terra dolorante e la guardava con un’espressione terrorizzata. Lo sportello era ammaccato, ma non quanto lei aveva temuto. La guardia in divisa era piegata in ginocchio e annaspava per respirare.

Tenne la pistola, prima per il calcio, puntandola verso la guardia.

“Sembra che abbia perso questa” disse in tono gentile.

Con mani tremanti, l’uomo allungò la mano per afferrare la pistola.

Riley la ritrasse da lui.

“Huh-uh” disse. “Non finché non aprirà il cancello.”

Prese l’uomo per mano e lo aiutò a rimettersi in piedi. Questi raggiunse il gabbiotto e spinse il pulsante che apriva il cancello di ferro. Riley si diresse verso la propria auto.

“Mi scusi” si rivolse al colosso.

Apparendo ancora piuttosto spaventato, l’uomo si spostò lateralmente proprio come un granchio gigante, allontanandosi da Riley. Quest’ultima entrò nell’auto e oltrepassò il cancello. Mentre guidava, gettò via la pistola.

Non pensano più che io sia una giornalista, pensò.

Era anche certa che avrebbero informato la deputata piuttosto in fretta.

*

Un paio d’ore più tardi, Riley entrò nel parcheggio dell’edificio del BAU. Restò seduta lì per qualche istante. Non era stata lì nemmeno una volta durante il suo mese di ferie. Non si aspettava di tornare così presto. Fu davvero strano.

Spense il motore, tolse le chiavi, uscì dall’auto e si recò nell’edificio. Quando si diresse verso il proprio ufficio, amici e colleghi l’accolsero in modi diversi: con sorpresa o compostezza.

Si fermò nell’ufficio del suo solito partner, Bill Jeffreys, ma lui non c’era. Probabilmente era su un caso, al lavoro con qualcun altro.

Fu assalita da un’ondata di tristezza e persino gelosia.

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