“Grazie,” gli disse mentre Daniel si precipitava fuori dalla stanza.
Tornò a guardare suo padre. Roy sembrava ferito dal suo evidente dolore, ma respirava con calma e la guardava con occhi gentili.
“Ero distrutto, Emily Jane,” cominciò. “Dopo la perdita di Charlotte ero un uomo distrutto. Bevevo. Avevo delle relazioni. Mi ero alienato i miei amici di New York finché non sono più riuscito a sopportare di stare lì. Io e tua madre ci siamo lasciati, anche se c’era da aspettarselo. Sono venuto qui per ricostruire la mia vita.”
“Solo che non l’hai fatto,” rispose con veemenza Emily. “Sei scappato. Mi hai lasciata.”
Sentiva le lacrime pungerle gli occhi. Anche gli occhi di suo padre si stavano facendo rossi e annebbiati. Abbassò lo sguardo, con vergogna.
“Stavo ignorando le cose,” disse con tristezza. “Pensavo di poter fingere che andasse tutto bene. Anche se erano passati anni dalla morte di Charlotte, non mi ero mai permesso di provare qualcosa. Non sono mai andato in camera vostra – ti ho trasferita in un’altra stanza, se ti ricordi.”
Emily annuì. Ricordava come fosse ieri quando suo padre aveva bloccato l’accesso a parti della casa, proibendole certe zone durante i soggiorni estivi – il belvedere, il secondo piano, i garage, il suo studio, il seminterrato – finché lei quasi non si era dimenticata tutto quanto: la loro esistenza o quel che contenevano. Si ricordava il suo comportamento sempre più eccentrico, la sua ossessione di collezionare antichità che a lei pareva non tanto un hobby quanto una compulsione, il suo accumulare tutto. Ma più di tutto si ricordava la diminuzione dei contatti, il fatto di trascorrere sempre meno tempo con lui nel Maine finché non ebbe compiuto quindici anni e, un’estate, lui non tornò più per venirla a prendere. Quella era stata l’ultima volta che l’aveva visto.
Emily voleva essere comprensiva nei confronti delle azioni del padre. Ma anche se una parte di lei capiva che si era trattato di un uomo distrutto che un giorno era crollato, al tormento che le sue azioni le avevano procurato non potevano essere date spiegazioni.
“Perché non sei venuto a dirmi addio?” disse Emily – le lacrime le scendevano per le guance in fiumi. “Come hai potuto andartene così?”
Anche Roy sembrava farsi sopraffare dall’emozione. Emily si accorse che gli tremavano le mani. Le labbra gli fremettero quando parlò. “Mi dispiace tanto. Quella decisione mi ha perseguitato.”
“Ha perseguitato te?” esclamò Emily. “Io non sapevo se eri vivo o morto! Mi hai lasciata lì a chiedermelo, senza risposta. Hai idea di come una cosa del genere riduca una persona? Tutta la mia vita era in pausa a causa tua! Perché tu sei stato troppo codardo da dirmi addio!”
Roy prese le sue parole come ripetuti pugni in viso. Aveva un’espressione così dolente che sembrava che davvero lo avesse colpito fisicamente.
“È stato imperdonabile,” disse, con appena più di un sospiro. “Quindi non cercherò di giustificarmi.”
Emily sentì il cuore battere furiosamente in petto. Era accecata dalla rabbia. Tutte le emozioni degli anni passati le esplosero fuori con la forza di uno tsunami.
“Hai almeno pensato a quanto mi avrebbe fatto soffrire?” esclamò con la voce che si alzava ulteriormente di tonalità e di volume.
Roy pareva colto dall’ansia, aveva tutto il corpo teso, la faccia contorta dal rimorso. Emily era contenta di vederlo così. Voleva che soffrisse quanto aveva sofferto lei.
“All’inizio no,” confessò. “Perché non pensavo lucidamente. Non riuscivo a pensare a niente e a nessuno tranne che a me stesso, al mio dolore. Pensavo che senza di me saresti stata meglio.”
Allora crollò, sobbalzando dai singhiozzi e tremando dall’emozione. Vederlo così fu un’accoltellata al cuore. Emily non voleva vedere suo padre crollare e andare in pezzi sotto i suoi occhi, ma lui doveva sapere. Non sarebbero andati avanti, non avrebbero riparato nulla senza tirare fuori tutto quanto.
“Quindi hai pensato che andandotene mi avresti fatto un favore?” disse brusca Emily incrociando le braccia sul petto con fare protettivo. “Ti rendi conto di quanto sia folle?”
Roy piangeva amaramente col volto coperto dalle mani. “Sì. Ero fuori di me all’epoca. Lo sono rimasto per moltissimo tempo. Quando mi sono accorto del danno che avevo fatto era passato troppo tempo. Non sapevo come tornare al passato, come riparare il dolore.”
“Non ci hai neanche provato,” lo accusò Emily.
“Sì che ci ho provato,” disse Roy – il tono lagnoso che aveva seccava Emily ancora di più. “Tantissime volte. Sono tornato nella casa in diverse occasioni, ma ogni volta il senso di colpa per quello che avevo fatto mi soffocava. C’erano troppi ricordi. Troppi fantasmi.”
“Non dirlo,” rimbeccò Emily mentre con la mente andava subito alle immagini di Charlotte nella casa. “Non ti azzardare a dirlo.”
“Scusami,” ripeté Roy trasalendo dall’ansia.
Abbassò lo sguardo sul grembo, dove teneva le mani tremanti.
Sulla tavola di fronte a loro, le tazze piene di caffè si stavano raffreddando.
Emily fece un lungo e profondo respiro. Sapeva che suo padre aveva sofferto di depressione – aveva trovato la prescrizione dei medicinali tra i suoi averi – e che non era in sé, che il dolore lo costringeva a comportarsi in modo imperdonabile. Non avrebbe dovuto fargliene una colpa, eppure non poteva farne a meno. L’aveva delusa moltissimo. L’aveva lasciata sola col suo dolore. Con sua madre. C’era così tanta rabbia a ribollirle nel cuore, anche se sapeva che non c’erano colpe.
“Cosa posso fare per sistemare le cose con te, Emily Jane?” disse Roy con le mani giunte in preghiera. “Come posso anche solo cominciare a sistemare il danno che ho causato?”
“Comincia col riempire i vuoti,” rispose Emily. “Dimmi cos’è successo. Dove sei stato. Che cos’hai fatto per tutti questi anni.”
Roy sbatté le palpebre, come sorpreso dalle domande di Emily.
“È stato il non sapere a uccidermi,” spiegò Emily con tristezza. “Se avessi saputo che stavi bene da qualche parte, avrei potuto gestire la cosa. Non hai idea di quanti scenari mi sono immaginata, di quante vite diverse ho immaginato che stessi vivendo. Ho trascorso gli anni non riuscendo a dormire. Era come se la mia testa non riuscisse a smettere di evocare opzioni finché non avessi trovato quella giusta, anche se non c’era modo di arrivarci. Era una missione impossibile e futile, ma non riuscivo a smettere. Perciò è così che puoi aiutarmi. Comincia col dirmi la verità, col dirmi quello che per tutti questi anni non ho saputo. Dove sei stato?”
Finalmente le lacrime di Roy si calmarono. Tirò su col naso, si asciugò gli occhi con la manica. Poi si schiarì la voce.
“Ho vissuto tra la Grecia e l’Inghilterra. Mi sono fatto una casa a Falmouth, in Cornovaglia, sulla costa inglese. È un posto bellissimo. Scogliere e un panorama meraviglioso. C’è una fantastica scena artistica.”
Giustissimo, pensò Emily ricordandosi la sua ossessione per i dipinti di Tori, ricordando che ne aveva appeso uno raffigurante il faro nella casa di New York dove viveva con Patricia, e che Emily si era arrabbiata quando aveva capito quanto fosse stato sfrontato e irrispettoso da parte sua quel gesto.
“Come hai fatto a permettertelo?” lo sfidò Emily. “La polizia ha detto che non c’è stata attività sui tuoi conti bancari. È stata una delle ragioni che mi hanno fatto pensare che fossi morto.”
Roy trasalì al sentire quella parola. Emily capì quanto male si sentisse di fronte al dolore che le aveva fatto passare. Ma doveva sentirlo. E lei doveva dirlo. Era l’unico modo che avevano per sperare di andare avanti.
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