“Ehi, Ryan,” disse Jessie con noncuranza. “Dai un’occhiata alle spalle, senza farti notare. L’uomo con la barba, in fila.”
Ryan si voltò e così fece anche Vin.
“Quello che non riesce a tenere fermo il corpo e la bocca?” chiese Ryan.
“Già,” confermò Jessie. “Sta sanguinando dal braccio sinistro e penso che stia tenendo qualcosa con la mano destra sotto alla giacca.”
“Cosa pensi che sia?”
“Non ne sono sicura. Ma ho notato una macchia umida e scura sulla giacca all’altezza del fianco. Quindi immagino che sia la stessa cosa che gli ha fatto sanguinare l’altro braccio. E poi sembra piuttosto agitato. Prima stava andando addosso ad altri clienti, e non per sbaglio.”
“Potrebbe essere qualcosa,” disse Ryan sottovoce. “O potrebbe essere come la metà della gente a cui siamo passati accanto mentre venivamo qui.”
“Giusto,” disse Jessie, “anche se questa cosa del sangue aggiunge un po’ di pepe alla faccenda. E poi tutte le bariste sembrano terrorizzate, e immagino che abbiano barboni che entrano qua dentro tutto il giorno.”
“Giusto,” disse Ryan, sussultando leggermente mentre si alzava in piedi. “Direi che posso mettermi in fila per un altro caffè. Jessie, tu magari potresti andare a chiamare l’agente che è rimasto fuori e chiedergli di venire dentro come precauzione.”
Jessie annuì e si alzò in piedi a sua volta, cercando di nascondere il dolore che provava sia alla schiena che alla gamba dopo essere rimasta ferma per un po’. Mentre andava verso l’ingresso della caffetteria si voltò e vide che Ryan aveva preso posizione subito dietro all’uomo, che ancora brontolava. Jessie spinse la porta e fece cenno all’agente di entrare.
“Penso che ci sia possibile bisogno di aiuto qui,” disse. “L’uomo con la barba che sta davanti al detective Hernandez potrebbe avere un’arma sotto alla giacca. Non ne siamo certi, ma potrebbe esserci bisogno di rinforzi.”
Aveva appena finito la sua frase, quando un forte grido arrivò dall’interno. Jessie si girò e vide la donna di mezza età che si teneva stretta la spalla destra con la mano sinistra. Dietro di lei Ryan stava lottando con il barbone per strappargli di mano un coltello da caccia. Ma nonostante il vantaggio dato dalla sua prestanza fisica, sembrava comunque una battaglia persa.
L’uomo era come posseduto da una rabbia frenetica e Ryan evidentemente non era al massimo delle sue forze. Nel giro di pochi istanti il barbone si era liberato. Ryan perse l’equilibrio e cadde sul pavimento, mentre l’uomo si riorganizzava subito e gli si lanciava addosso.
Jessie corse dentro, aprì la fondina della pistola e avanzò verso di loro. Stava per tirare fuori l’arma quando vide un lampo di movimento davanti ai suoi occhi. Era Vin Stacey che balzava addosso al barbone, dandogli un colpo alla mandibola con l’avambraccio e facendolo andare a sbattere contro il bancone.
Il coltello volò via dalla mano dell’uomo ora frastornato e scivolò sul pavimento. Vin si fermò su di lui, pronto a procedere se necessario. Non servì. Un attimo dopo l’agente era addosso al barbone, lo faceva girare prono e lo ammanettava. Jessie rimise nella fondina la sua pistola e si inginocchiò accanto a Ryan.
“Stai bene?” gli chiese preoccupata.
“Sì. Mi riprenderò, anche se non sono sicuro che possa dirsi lo stesso per il mio orgoglio.”
Vin gli si avvicinò e gli tese la mano.
“Vuoi una mano, occhi belli?” gli chiese, sbattendo le palpebre con fare ammiccante.
La sicurezza di Jessie era scossa.
Mentre lei e Ryan aspettavano nella lobby della palestra Solstice perché il direttore generale trovasse Chianti, non faceva che ripensare a quell’istante, tre secondi prima che Vin mettesse al tappeto il barbone.
In quella frazione di tempo Ryan era caduto, un uomo aveva tentato di ucciderlo e lei non era riuscita ad agire abbastanza rapidamente da evitarlo. Se non fosse stato per la prontezza di riflessi e la rapidità di quell’armadio umano, il detective Ryan Hernandez poteva benissimo essere morto adesso.
Prima di portare all’ospedale la donna che il tizio aveva pugnalato, uno degli addetti del pronto intervento aveva dato una controllata a Ryan e gli aveva dato il via libera. Ma Jessie non poteva fare a meno di chiedersi se entrambi fossero davvero pronti a rimettersi in gioco lavorando sul campo.
Il suo dibattito interiore venne interrotto quando il direttore generale fece loro cenno di entrare in sala. Jessie cercò subito di cacciare dalla mente le proprie preoccupazioni, tentando di restare concentrata sul caso che avevano per le mani. Mentre avanzavano, si guardò attorno nella palestra, cercando di fare in modo che la musica house martellante non le facesse venire il mal di testa.
La sala principale era enorme, con una schiera apparentemente infinita di macchinari cardio. Sulla sinistra c’era la sala pesi, così ampia che non si vedeva dove finiva. A destre c’erano due dozzine di materassini adibiti allo stretching e, almeno per ora, alle chiacchiere o al controllo dei cellulari.
Il direttore della palestra, un uomo con i baffi folti che si chiamava Frank Stroup, era in attesa dietro a una donna bionda, magra ma tonica e sulla ventina, che secondo Jessie aveva in faccia decisamente troppo trucco per essere una trainer. I denti erano bianchissimi in modo del tutto innaturale e i seni erano compressi dentro a un reggiseno sportivo che sembrava essere parecchio più piccolo del necessario.
“Detective miei,” disse il direttore, dimenticando che solo uno dei due rispondeva a quel titolo, “questa è Chianti Rossellini. La lascio alle vostre domande. Vi prego di farmi sapere se avete bisogno di ulteriore aiuto.”
Jessie annuì educatamente. Non che fosse stato molto di aiuto effettivamente fino a quel momento. Oltre a dare informazioni di base sullo storico lavorativo di Taylor, sembrava conoscere molto poco della vita della donna. La struttura poteva anche essere grande, ma a Jessie sembrava strano che quel tizio non avesse altro da dire su una trainer che, a quanto ne diceva Vin, lavorava con alcuni dei clienti più facoltosi del club. Avevano evitato intenzionalmente di parlare della morte di Taylor. Ma lo stesso, Jessie si era aspettata di vederlo almeno curioso del perché fosse stata assente negli ultimi due giorni.
Mentre l’uomo si allontanava, Chianti li fissò con un miscuglio di apprensione e curiosità. Sembrava pensare di poter essere nei guai per qualche motivo. Ma il suo linguaggio corporeo suggeriva che non fosse certa del motivo.
“Signorina Rossellini,” iniziò Ryan, riuscendo a non mettersi a ridere a metà della frase, “quanto bene conosce Taylor Jansen?”
“Può chiamarmi Chianti,” rispose lei, non rendendosi conto di quanto questo potesse essere difficile per Ryan. “La conosco un po’. Cioè, lavoriamo nella stessa palestra. Interagiamo quasi tutti i giorni. Ma non direi che siamo amiche o qualcosa del genere. Taylor è molto concentrata sui suoi clienti e non passa tanto tempo a chiacchierare. Per quale motivo me lo chiede, comunque? Ha fatto qualcosa di sbagliato?”
“Sono solo domande di routine. Non serve che lei si preoccupi al riguardo,” disse Jessie, non ancora pronta a rivelare la verità fino a che non avessero raggiunto i loro obiettivi. “Cosa ci sa dire del suo ex fidanzato, quello che a volte la accompagnava qui al lavoro?”
“Oh, quello è Gavin. Gavin Peck.”
“Ci racconti qualcosa di Gavin, Chianti,” disse Jessie con tono casuale.
“Va bene,” disse lei, perdendo quasi subito quell’aria di disagio che sembrava circondarla. “Gavin è un’opera d’arte. Di sicuro ha un corpo fantastico. Penso che abbia anche vinto alcune gare di sollevamento pesi. Ed è, per dirla in modo carino, volatile.”
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