1 ...6 7 8 10 11 12 ...18 "Non è passato tanto tempo da ... dall'incidente", disse lui. “È ancora un'esperienza fresca nella tua memoria. Prima di prendere una decisione come questa, è necessario rifletterci bene. Finisci le tue lezioni. Prendi il diploma di scuola superiore. Iscriviti a un college. In futuro potremo riparlarne". Lui sorrise.
Maya no. "Non puoi controllare mia vita in questo modo", disse lei nervosa.
"A dire il vero, posso" ribatté Reid. Anche lui si stava irritando. "Sei ancora minorenne".
"Non per molto", rispose lei. “Lascia che ti dica cosa succederà. Non finirò quelle lezioni a Georgetown. Anzi, non tornerò a scuola fino a settembre. Abbandonerò il semestre e dovrò frequentare di nuovo tutti i corsi. Avrò diciassette anni il mese prossimo, il che significa che quando mi diplomerò ne avrò diciotto. E poi non potrai più dirmi dove posso andare o cosa posso fare". Incrociò le braccia per esternare la sua risolutezza.
Reid si grattò il naso. “Non puoi semplicemente saltare tre mesi di scuola. E tutte queste sessioni di studio? Tutto quell'impegno andrebbe sprecato".
"Non ho fatto alcuna sessione di studio", ammise lei.
Lui la guardò severo. “Quindi mi hai mentito? Dopo tutto quello che è successo?" chiese sgomento. "Allora dove sei stata?"
"Quando te ne vai, vado al centro ricreativo", gli disse semplicemente. “Fanno un corso di autodifesa alcune volte a settimana. Lo tiene un ex membro della Marina. Ho anche studiato alcune tattiche di spionaggio e controspionaggio".
Lui scosse la testa. "Non ci posso credere". Pensavo che non avremmo avuto più segreti". Proprio mentre lo diceva, un ricordo doloroso balenò nella sua mente: l'omicidio di Kate, la verità sulla loro madre. Non aveva ancora detto loro la verità, nonostante la sua promessa a se stesso di smetterla con le bugie e i segreti. Mantenere quel segreto lo uccideva, ma subito dopo l'incidente non era il momento di rivelare qualcosa di così orribile. Ora, quattro settimane dopo, aveva paura che fosse troppo tardi e che si sarebbero arrabbiate con lui per averglielo tenuto nascosto per così tanto tempo.
"Sapevo che avresti reagito in questo modo", ha detto Maya. “Ecco perché non ti ho detto la verità. Ma te la sto dicendo ora. Questo è quello che voglio fare. Questo è quello che farò".
"Quando avevi sette anni volevi diventare una ballerina", le disse Reid. "Ti ricordi? A dieci anni volevi diventare veterinario. A tredici anni volevi diventare un avvocato, tutto perché abbiamo visto un film su un processo per omicidio... ”
"Non farmi la predica!" Maya si alzò in piedi, con un dito puntato all'altezza del suo viso e uno sguardo di fuoco.
Reid si appoggiò allo schienale, scioccato. Non riusciva nemmeno ad essere arrabbiato con lei, tanto era sorpreso dalla forza della sua reazione.
"Questo non è il sogno irrealizzabile di una bambina" disse rapidamente, con voce bassa. "Questo è quello che voglio. Adesso lo so”. Proprio come so cosa tiene sveglia Sara di notte. Ha degli incubi sulla sua esperienza, su ciò che ha vissuto. Su ciò a cui è sopravvissuta. Ma non è la stessa cosa che sconvolge me. Ciò che mi tiene sveglia è sapere che tutto ciò accade ancora, in questo preciso momento. Quello che ho visto e quello che ho passato è la quotidianità per qualcuno. Mentre sono nel mio letto caldo, o mangio la pizza, o vado a lezione, ci sono donne e bambini là fuori che vivono così ogni giorno, fino a quando non moriranno".
Maya appoggiò un piede sulla sedia e tirò su la gamba dei suoi pantaloni del pigiama fino al ginocchio. Là sul suo polpaccio c'erano delle sottili cicatrici marrone rossiccio che formavano tre parole: ROSSO. 23. POLA. Era il messaggio che si era incisa sulla gamba poco prima che su di lei facessero effetto le droghe dei trafficanti; il messaggio che avrebbe fornito l'indizio su dove avevano portato Sara.
"Possiamo far finta che questa sia solo una parola, se vuoi," insistette Maya. “Ma queste cicatrici non andranno più via. Le porterò con me per il resto della mia vita e ogni volta che le vedrò mi ricorderò che ciò che è successo a me continua a succedere ad altre persone. Ho capito che quello che voglio è che tutto ciò non accada più a nessuno, il modo migliore per farlo è far parte delle persone che cercano di fermarlo". Detto questo, riabbassò il pigiama.
Reid sentì la sua gola seccarsi. Non trovava argomenti per controbattere al suo discorso. Gli tornò in mente una frase che Maria gli aveva detto una volta: non puoi salvare tutti. Ma avrebbe potuto evitare che sua figlia vivesse quel tipo di vita che aveva vissuto lui. "Mi dispiace", disse alla fine. “Ma non importa quanto siano nobili le tue intenzioni, non posso supportarti in questo. E non lo farò".
"Non ho bisogno del tuo supporto" ribatté Maya. "Ho solo pensato che dovessi conoscere la verità". Si precipitò fuori dalla sala da pranzo, pestando forte i piedi nudi sui gradini salendo le scale. Dopodiché si chiuse in camera sua sbattendo la porta.
Reid si accasciò sulla sedia e sospirò. La pizza era fredda. Una delle due figlie era traumatizzata al punto da chiudersi nel silenzio, e l'altra era determinata ad affrontare il male del mondo. Lo psicologo, il dottor Branson, gli aveva detto di essere paziente con Sara; aveva detto che il tempo avrebbe guarito ogni cosa, ma lui, insistendo sul portare a galla il problema, aveva peggiorato le cose. Inoltre, l'intenzione di Maya di unirsi alla CIA era l'ultima cosa che si aspettava di sentire.
In un certo senso, ammirava la sua capacità di incanalare il trauma che aveva vissuto in una causa nobile. Ma semplicemente non poteva essere d'accordo con i mezzi che aveva scelto. Ripensò a tutto ciò che aveva visto e alla ferite che aveva riportato. Le cose che aveva dovuto fare e le minacce che aveva dovuto sfidare. Le persone che aveva aiutato, e tutte quelle che aveva abbandonato ferite o morte nel percorso.
All'improvviso Reid si rese conto di non avere idea di cosa lo avesse spinto a unirsi alla CIA. Le sue motivazioni si erano perse nel tempo, spinte nei recessi più oscuri della sua mente dal soppressore della memoria sperimentale. Era possibile che non avrebbe più ricordato perché era diventato l'agente della CIA Kent Steele.
Sai che non è vero, si disse. Ci deve essere un modo.
*
Lo studio di Reid era al secondo piano della casa, era una piccola camera da letto che aveva arredato con la sua scrivania, degli scaffali e una impressionante collezione di libri. Avrebbe dovuto preparare la sua lezione per lunedì sulla Riforma protestante e la guerra dei Trent'anni. L'impiego come professore a contratto di storia europea presso la Georgetown University non era molto di più che un lavoro part-time, ma Reid era affezionato all'insegnamento. Rappresentava un ritorno alla normalità, proprio quello che voleva anche per le sue ragazze. Ma quel compito avrebbe dovuto aspettare.
Invece, Reid posò con reverenza un disco scuro in un vecchio giradischi e abbassò la puntina. Chiuse gli occhi quando iniziò il Concerto per pianoforte n. 21 di Mozart, lento e melodico, come un disgelo primaverile dopo il lungo congelamento invernale. Sorrise. L'apparecchio aveva più di settantacinque anni ma funzionava perfettamente. Kate glielo aveva regalato in occasione del loro quinto anniversario di matrimonio; aveva trovato il giradischi sgangherato in un mercato delle pulci a circa sei dollari, e poi ne aveva pagati più di duecento per farlo ristrutturare fino a riportarlo quasi al suo antico splendore.
Kate. Il suo sorriso sbiadì in una smorfia di dolore.
Sei nel sito nero del Marocco, soprannominato Hell-Six. Stai interrogando un noto terrorista.
C'è una chiamata per te. È il vicedirettore Cartwright. Il tuo capo.
Lui non fa giri di parole. Tua moglie, Kate, è stata uccisa.
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