“Grazie”, gli disse Zero. “Non mi devi niente. Apprezzo tutto questo e quando avrò finito ti ripagherò in ogni modo possibile”.
“Non c'è bisogno”, borbottò il meccanico. Il suo cappello da camionista era ancora abbassato fino a coprire gli occhi mentre la sua folta barba gli copriva il resto del viso.
“Dove le porterai?”
“C'è una vecchia casa sicura nelle zone rurali del Nebraska”, rispose Mitch. “Un piccolo edificio appena fuori una cittadina, praticamente nel mezzo del nulla. Non è stata usata per anni ma è ancora registrata. Le porterò lì. Saranno al sicuro”.
“Grazie”, disse ancora Zero. Non sapeva cos'altro dire. Non era nemmeno sicuro del perché affidasse a quest'uomo le due persone più importanti della sua vita; era una sensazione, un istinto che trascendeva la logica. Ma aveva imparato molto tempo prima, e riappreso solo poche ore prima, a fidarsi del suo istinto.
“Allora” borbottò Mitch. “Alla fine sta per succedere, giusto?”
Zero sbatté le palpebre sorpreso. “Sì”, disse con cautela. “Sai tutto quanto?”
"Sì".
Lui sussultò. “Chi sei tu veramente?”
“Un amico”. Mitch controllò l'orologio da polso. “Chopper dovrebbe essere qui da un momento all'altro. Ci porterà in un aeroporto privato, dove saliremo su un aereo che ci porterà verso ovest”.
Zero sbuffò. Non sembrava che avrebbe ottenuto altre risposte dal misterioso meccanico. "Grazie" mormorò ancora una volta. Quindi tornò a salutare le sue ragazze.
“Sei tornato”, disse il meccanico dietro di lui. “O sbaglio?”
Zero si girò. “Si. Sono tornato”.
“Quando?”
Sorrise. “Oggi, se ci puoi credere. È stato un pomeriggio molto strano”.
“Bene”, disse Mitch. “Non avrei mai voluto deluderti”.
Zero rimase sbalordito. Un formicolio elettrico gli percorse la schiena. La voce di Mitch era cambiata improvvisamente, non era più quel basso grugnito di pochi secondi prima. Era regolare e uniforme, e così stranamente familiare che Zero per un momento si dimenticò della Divisione, della sua situazione e persino delle sue figlie in attesa.
Mitch infilò la mano sotto il bordo del cappello da camionista e si strofinò gli occhi. Almeno è quello che sembrava che stesse facendo, ma quando distolse le mani sulle sue dita c'erano due piccoli dischi concavi, di un azzurro cristallino.
Lenti a contatto. Indossava lenti a contatto colorate.
Quindi Mitch si tolse il cappello da camionista, si lisciò i capelli e guardò Zero. I suoi occhi castani sembravano tristi, quasi timidi, e in un istante Zero capì esattamente perché.
"Gesù!" La sua voce risuonò in un sussurro rauco mentre guardava gli occhi.
Conosceva quegli occhi. Li avrebbe riconosciuti ovunque. Ma non poteva essere. Non era possibile. "Cristo! Tu... eri morto".
"Anche tu lo sei stato per un paio d'anni", disse il meccanico con tono morbido, quasi dolce.
"Ho visto il tuo corpo", ribatté Zero. Non può essere vero.
"Hai visto un corpo che sembrava il mio". L'uomo corpulento si strinse nelle spalle. "Non fingiamo che io non sia sempre stato più intelligente di te, Zero".
"Santo Cielo!" Zero lo guardò più e più volte. Aveva messo su una trentina di chili, forse di più. Si era fatto crescere la barba. Indossava il cappello da camionista e lenti colorate. Aveva cambiato la sua voce.
Ma era lui. Era vivo.
“Non ci credo”. Fece due passi e abbracciò forte Alan.
Il suo migliore amico, che aveva alle spalle così tante operazioni, che lo aveva aiutato a installare il soppressore di memoria invece di ucciderlo sul Ponte Hohenzollern, che Zero pensava di aver trovato morto, pugnalato a morte in un appartamento a Zurigo... era lì. Era vivo.
Ripensò a quegli istanti a Zurigo. La faccia del morto era gonfia e tumefatta, e la sua mente aveva immediatamente collegato quel sosia a Reidigger. La tua mente riempie gli spazi vuoti, gli aveva detto una volta Maria.
Reidigger aveva simulato la propria morte, allo stesso modo in cui aveva aiutato Kent Steele a simulare la sua. E viveva sotto le spoglie di un meccanico a soli venti minuti di distanza da casa sua.
"Per tutto questo tempo?" chiese Zero. La sua voce era rauca e la sua vista si offuscò leggermente mentre le emozioni prendevano il sopravvento. “Ci hai tenuto d'occhio?”
“Al meglio che ho potuto. Watson mi ha aiutato”.
Proprio così. Watson lo sa. Era stato John Watson a presentare per la prima volta Reid Lawson a Mitch, il meccanico, ma lo aveva fatto solo quando le figlie di Reid erano state prese, quando la posta in gioco era troppo alta e la CIA era di scarso aiuto.
“Qualcun altro lo sa?” chiese Zero.
Alan scosse la testa. “No. E non possono saperlo. Se l'agenzia venisse a scoprirlo, sarei un uomo morto”.
“Avresti potuto dirmelo prima”.
“No, non avrei potuto”. Alan sorrise. “Senza la tua memoria intatta, mi avresti riconosciuto? Mi avresti creduto se te lo avessi semplicemente detto?”
Zero dovette ammettere che aveva ragione.
“È stato il dottor Guyer? Sei andato a trovarlo?”
"Si", rispose Zero. “Al momento non ha funzionato. È successo dopo, una parola ha scatenato tutto. E adesso..." Scosse la testa. "Ora lo so. Mi ricordo. Devo fermarlo, Alan".
"Lo so. E sai che darei qualsiasi cosa per essere al tuo fianco mentre lo farai".
"Ma non puoi". Zero lo capiva perfettamente. Inoltre, Alan aveva un compito che era, agli occhi di Zero, altrettanto importante che fermare una guerra. "Ho bisogno che tu le tenga al sicuro".
"Lo farò. Prometto che lo farò". Gli occhi di Alan si illuminarono all'improvviso. "A proposito, ho qualcosa per te". Raggiunse il finestrino del suo camion e tirò fuori una pistola Sig Sauer. "Ecco. Cortese omaggio del mercenario della Divisione che è entrato in casa tua".
Zero prese la pistola incredulo. “La Divisione è venuta in casa mia? Cos'è successo?"
“Niente che non siamo riusciti a gestire. Quelle ragazze sono proprio figlie tue”. Alan sorrise, ma tornò subito serio. “Anche tu hai bisogno di aiuto, lo sai. Chiama Watson. O il tuo nuovo amico, il Ranger”.
“No”, disse Zero categoricamente. Non voleva mettere in pericolo Watson o Strickland più di quanto avesse già fatto. "Sto meglio da solo".
Alan sospirò. "Incosciente come sempre". In lontananza si sentirono i rotori di un elicottero. “Questo è il nostro volo. Abbi cura di te, Kent”.
"Lo farò". Abbracciò di nuovo Reidigger. "Grazie per tutto questo. Quando tutto sarà finito, tu ed io ci siederemo davanti a molte birre e avremo una lunga conversazione".
"Affare fatto," concordò Reidigger. Ma c'era un tono malinconico nella sua voce, che suggeriva che i suoi pensieri fossero gli stessi di Zero: che uno di loro o entrambi avrebbe potuto non sopravvivere a quel calvario. "Fino ad allora, non fidarti di loro".
Lui si accigliò. "Di chi?"
"Di nessuno nell'agenzia", disse Alan. "Erano pronti a ucciderti, e volevano usarmi come grilletto. Non commetteranno di nuovo lo stesso errore. Questa volta manderanno qualcuno che non ci penserà un minuto a premere un grilletto sulla tua testa".
"Lo so". Zero scosse la testa. “Stavo pensando di mettermi in contatto con Cartwright. Non penso che sia coinvolto...”
“Cristo, cosa ho appena detto? Nessuno, capisci?" Lo sguardo di Alan si perse nel suo. “Soprattutto non Cartwright. Zero... due anni fa, Cartwright è stato quello che ha mandato me e Morris ad ucciderti sul ponte".
"Cosa?" Un brivido gli percorse la schiena.
"Sì. Non ha inviato la Divisione. Non ha inviato alcun mercenario. Dai piani alti è giunto l'ordine del tuo assassinio e Cartwright non ha obiettato. Ha mandato noi".
Un'ondata di furia si sollevò nel suo petto. Shawn Cartwright aveva fatto finta di essere un amico, un alleato e aveva persino messo in guardia Zero da altri colleghi come la Riker.
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