Jack Mars - Dossier Zero

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“Non dormirai finché non avrai finito di leggere AGENTE ZERO. I personaggi, magistralmente sviluppati e molto divertenti, sono il punto di forza di questo lavoro superbo. La descrizione delle scene d'azione ci trasporta nella loro realtà; sembrerà di essere seduti in un cinema 3D dotato dei migliori simulatori di realtà virtuale (sarebbe un incredibile film di Hollywood). Non vedo l'ora che venga pubblicato il seguito".--Roberto Mattos, recensore di Film e LibriIn DOSSIER ZERO (Libro n. 5), la memoria dell'agente Zero finalmente ritorna, e con essa, vengono alla luce rivelazioni scioccanti sulla trama segreta della CIA per scatenare una guerra e per togliergli la vita. Espulso dall'agenzia e in fuga, riuscirà a fermarli in tempo?Quando un incidente nello Stretto di Hormuz minaccia di far scoppiare una guerra mondiale, la memoria dell'Agente Zero ritorna e, con essa, la possibilità di scoprire cosa ha causato la sua perdita di memoria. Disconosciuto dalla CIA e con al suo fianco pochi amici, Zero dovrà cercare di fermare la CIA e di proteggere la sua famiglia, che viene presa di mira.Eppure, mentre scava più in profondità, viene a galla un altro complotto, ancora più nefasto, che lo porterà a non fidarsi di nessuno e a rischiare tutto per salvare il paese che ama.DOSSIER ZERO (Libro #5) è un thriller di spionaggio che ti terrà attaccato alla trama fino a notte fonda. Il libro n. 6 della serie AGENTE ZERO è ora disponibile."Un fantastico thriller".--Midwest Book Review "Uno dei migliori thriller che ho letto quest'anno".- Recensioni di Libri e FilmÈ disponibile anche la serie LUKE STONE THRILLER di Jack Mars (7 libri), che inizia con A OGNI COSTO (Libro #1), un download gratuito con oltre 800 recensioni a cinque stelle!

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Tirava piuttosto bene con la mano sinistra, ma non tanto quanto con la destra. Uno dei colpi mancò il bersaglio. Il vetro si frantumò da qualche parte oltre il vicolo. Il secondo, che risuonò come un tuono, la Beretta di Stevens non era dotata di silenziatore, colpì Baker sulla fronte.

La testa del mercenario scattò all'indietro. Il suo corpo la seguì.

Zero non attese né si fermò per riprendere fiato. Scattò di nuovo in avanti, afferrò la chiavetta USB che giaceva ancora sul cemento e poi corse nella direzione opposta lungo il vicolo. Se la mise in tasca, insieme al coltello insanguinato, e prese con sé la Beretta di Stevens. C'erano sopra le sue impronte digitali.

Da qualche parte un allarme auto emise un forte suono. Il vetro in frantumi che aveva sentito doveva essere il finestrino di una macchina. Sperava che nessuno fosse stato colpito.

Il petto del grande uomo si sollevò su e giù. Era ancora vivo. Ma Zero non poteva concedersi il lusso di finirlo o di aspettare; inoltre, con una ferita alla gola e due colpi al petto, sarebbe morto in pochi secondi.

La gente gridò allarmata da qualche parte lì vicino mentre Zero correva verso la fine del vicolo, infilandosi la pistola nella parte posteriore dei pantaloni. Svoltò l'angolo e si guardò intorno perplesso, sperando di sembrare un passante scioccato come chiunque altro.

Mentre si affrettava fino alla fine dell'isolato, sentì il grido di una donna, senza dubbio aveva trovato i due corpi nello stretto vicolo, e poi sentì un uomo gridare: “Qualcuno chiami il 911”

Dovevano morire. Non c'era altra soluzione. Se ne era accorto non appena aveva pronunciato il nome di Baker. Ne aveva avuto la conferma quando aveva mostrato loro l'unità USB che aveva recuperato dalla banca.

Stranamente, non provava alcun rimorso. Non c'era altra soluzione, non avrebbe potuto convincerli ad andarsene o a cambiare idea. O lui, o loro, e aveva deciso che non sarebbe stato lui. Avevano fatto la loro scelta e hanno scelto la cosa sbagliata.

L'intera azione, dal lancio della chiavetta USB alla fuga dal vicolo, si era svolta in pochi secondi. Ma poteva rivivere ogni istante chiaramente come un replay istantaneo al rallentatore nella sua testa. La cosa strana era che quando Baker aveva sparato con la pistola a pochi piedi dalla sua testa, colpendo il muro di mattoni, i pensieri di Zero non erano concentrati su quanto fosse vicino il proiettile, o sul fatto che Baker avrebbe potuto facilmente ucciderlo se avesse voluto. Non erano le sue ragazze. Era, invece, profondamente consapevole della natura dicotomica della sua mente dopo aver riscoperto i suoi ricordi. Zero era freddo, calmo e credeva, forse per un po' di arroganza o esperienza o per una combinazione di queste due, di avere ancora il controllo della situazione.

Era una sensazione bizzarra. Peggio ancora era quanto lo spaventasse e lo elettrizzasse allo stesso tempo. È questo quello che sono? Reid Lawson era una menzogna? O vivo la mia vita da due anni utilizzando solamente le parti più deboli della mia mente?

Zero raggiunse la fine dell'isolato, tornò indietro verso il negozio di fiori e andò dritto verso la sua macchina. Poteva vedere che una notevole folla di curiosi si stava radunando dietro l'angolo, molti erano sotto shock o addirittura piangevano alla vista dei due cadaveri.

Nessuno faceva caso a lui.

Guidò con indifferenza, mantenendo il limite di velocità e facendo attenzione a non oltrepassare alcun semaforo o segnale di stop. Non c'erano dubbi sul fatto che la polizia fosse in viaggio e che la CIA avrebbe saputo in pochi istanti che erano stati sparati dei colpi e che due uomini erano stati uccisi a soli tre isolati dalla banca in cui la Divisione aveva riferito che Zero si trovava.

La domanda era: cosa avrebbero fatto al riguardo. Non c'era nulla sulla scena che potesse collegarli a lui, e chiunque avesse inviato i mercenari della divisione a cercarlo, presumeva la Riker, non avrebbe potuto ammetterlo apertamente. Tuttavia, aveva bisogno di aiuto e non poteva chiedere ai suoi colleghi agenti. Anche loro sarebbero stati controllati. Se quello fosse stato un accenno di come sarebbe stata la nuova avventura dell’Agente Zero, allora avrebbe avuto bisogno di alleati. Alleati potenti.

Ma prima, doveva mettere in salvo le sue ragazze.

Non appena sentì di essersi allontanato in modo sicuro dalla scena raccapricciante del vicolo, si fermò in una stazione di servizio. Seppellì la pistola, il coltello e la chiave della cassetta di sicurezza nel cassonetto sotto la spazzatura maleodorante. Quindi tornò in macchina e fece una chiamata. Suonò solo due volte prima che Mitch rispondesse con un grugnito.

“Ho bisogno dell'estrazione subito, Mitch. Ci vediamo da qualche parte”.

“Meadow Field”, disse subito il meccanico. “Sai dov'è?”.

“Sì”. Meadow Field era una pista di atterraggio abbandonata a circa venti miglia a sud. “Arrivo subito”.

CAPITOLO SEI

Maya sbirciò fuori dalla finestra vicino alla porta d'ingresso per la ventesima volta da quando il padre era partito. La strada fuori era deserta. Di tanto in tanto passava una macchina, ma senza rallentare né fermarsi.

La spaventava a morte pensare in che situazione si sarebbe cacciato suo padre questa volta.

Per sicurezza, attraversò l'atrio verso la cucina e controllò di nuovo il telefono di suo padre. Aveva lasciato il suo telefono in silenzioso, ma sullo schermo erano segnalate tre chiamate perse dall'ultima volta che Maya gli aveva parlato.

Probabilmente Maria voleva disperatamente mettersi in contatto con lui. Maya voleva chiamarla, dirle che stava succedendo qualcosa, ma si trattenne. Se suo padre avesse voluto che Maria lo sapesse, l'avrebbe contattata personalmente.

Trovò Sara nella stessa posizione in cui era rimasta nell'ultima mezz'ora, seduta sul divano del soggiorno con le gambe incrociate. C'era una sitcom in TV, ma il volume era così basso che riusciva a malapena a sentirla, e comunque non la stava realmente seguendo.

Maya sapeva che sua sorella aveva sofferto in silenzio da quando erano state prese da Rais e dai trafficanti slavi. Ma Sara non si sarebbe aperta con nessuno, non ne voleva parlare.

“Ehi, topolina, ti andrebbe qualcosa da mangiare?” La chiamò Maya. “Potrei fare del formaggio alla piastra? Con il pomodoro. E pancetta…” Schioccò le labbra, sperando di far sorridere la sorellina.

Ma Sara si limitò a scuotere la testa. “Non ho fame”.

“Ok. Vuoi parlare di qualcosa?”

“No”.

Un'ondata di frustrazione la investì, ma Maya non lo diede a vedere. Doveva essere paziente. Anche lei era rimasta colpita dagli eventi che avevano vissuto, ma la sua reazione era stata rabbia e desiderio di riscatto. Aveva detto a suo padre che il suo piano era quello di diventare lei stessa un agente della CIA, e non era semplicemente enfasi adolescenziale. Era molto seria al riguardo.

“Se ti venisse voglia di parlare”, disse a sua sorella. “io ci sono. Lo sai, vero?”

Sara la guardò. Sulle sue labbra sembrò comparire un lieve sorriso, ma poi i suoi occhi si spalancarono e si alzò di scatto. “Senti?”

Maya ascoltò attentamente. Lei lo sentì; il suono di un potente motore che rombava nelle vicinanze. Quindi si interruppe bruscamente.

“Rimani qui”. Si affrettò a tornare di nuovo nell'atrio e ancora una volta scostò le tende oscuranti. Un SUV argentato era entrato nel loro vialetto. Il suo battito accelerò quando uscirono quattro uomini. Due di loro indossavano completi; gli altri erano vestiti completamente di nero, indossavano giubbotti tattici e stivali da combattimento.

Anche da una certa distanza Maya riuscì a vedere le insegne blasonate sulle maniche. I due uomini vestiti di nero appartenevano alla stessa organizzazione che aveva tentato di rapirle in Svizzera. Watson li aveva chiamati la Divisione.

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