“Sì, ma è davvero così?” le domandò lui. “Sono tornati? Se entriamo lì e cerchiamo di salvare quegli uomini, finiamo in una trappola letale?”
La giovane donna scosse la testa, offrendogli un pallido sorriso. “No. Non sono tornati. Non ancora. Hanno tuttora il morale molto basso. Il loro centri di comando hanno poca autorità. La corruzione è ovunque. Moltissime infrastrutture ed equipaggiamento sono degradati o non funzionali. Con un piano intelligente e un attacco rapido, credo che potremo prenderli alla sprovvista. Non voglio sembrare troppo sicura, ma secondo me potremmo riuscire a salvare quegli uomini.”
Lui la fissò. Ripensò al suo piano per arrestare il mercenario rinnegato americano Edwin Lee Parr e i suoi miliziani in Iraq, e la sua valutazione ottimistica delle loro probabilità di vittoria. All’epoca Luke aveva provato ben poco rispetto per lei, per il suo piano e la sua valutazione.
Poi tutto si era svolto quasi come Trudy l’aveva descritto. Luke ed Ed avevano comunque dovuto andare di persona a sbrigare il lavoro, ma quello era scontato.
“Speriamo che tu abbia ragione.”
* * *
Luke era caduto in un sonno agitato. Fece sogni strani, spaventosi e mutevoli. Un salto nel vuoto notturno. Quando si buttò, il paracadute non si aprì. Sotto di lui c’erano le vaste acque di un fiume nero. Alligatori, a decine, lo guardarono cadere dal cielo. Si gettarono verso di lui. Ma aveva le gambe legate a una corda per bungee jumping. Rimbalzò, un salto al rallentatore, appena sopra l’acqua. Rimase con le braccia tese verso il basso e gli alligatori cercarono di morderlo.
Poi divenne giorno. Un elicottero Black Hawk era stato abbattuto e stava precipitando giù dal cielo. Il rotore sulla coda era sparito, il mezzo roteava fuori controllo e stava crollando verso terra. Luke stava correndo in mezzo a un campo, un vecchio stadio da calcio, in direzione dell’elicottero. Se fosse riuscito a raggiungerlo prima che arrivasse al suolo, avrebbe potuto prenderlo e salvare gli uomini a bordo. Ma l’erba cresceva tutto intorno a lui, si alzava e si arrotolava, afferrandogli le gambe, rallentandolo. Spalancò le braccia, sporgendosi… ma arrivò tardi. Era troppo tardi.
Dio, l’elicottero stava atterrando su un fianco. Ecco… che… arriva…
Si svegliò di colpo nel bel mezzo di una turbolenza. L’aereo sobbalzò, e seguì le correnti d’aria come se fosse sulle montagne russe. Luke si guardò intorno. Le luci erano spente. Per un momento non capì se era sveglio o se stava ancora dormendo. Poi notò il resto della sua squadra, stesi e addormentati in vari punti della cabina buia.
Guardò fuori dal finestrino, ma non vide nulla oltre alle luci lampeggianti sull’ala. Molto più in basso, l’oceano era vasto, infinito e nero. Si erano lasciati il sole alle spalle da parecchio, il giorno era ormai finito.
Volavano da ore, e il viaggio era ancora lungo.
Tra diverse ore, mano a mano che si fossero avvicinati a est, il cielo avrebbe iniziato a rischiararsi. Controllò l’orologio. A DC era appena passata la mezzanotte, che significava che a Sochi erano passate da poco le otto del mattino.
Fissare l’orologio gli diede il senso degli eventi che precipitavano. I russi potevano spostare quegli uomini quando volevano. Magari lo avevano già fatto quella notte.
Era frustrante essere intrappolato su quell’aereo mentre le lancette correvano.
Non aveva dormito molto, ma sapeva che non si sarebbe riaddormentato. Aveva molti pensieri per la testa. I fantasmi del suo passato. Becca e Gunner. Il futuro incerto di un bambino nato in un mondo terribile. Quella missione pericolosa.
Si alzò, andò nel piccolo cucinotto in fondo all’aereo. Superò Ed Newsam e Mark Swann, che stavano sonnecchiando sui lati opposti del corridoi, uno di fianco all’altro. Senza accendere la luce, riempì metà tazza di acqua calda e la mescolò con la polvere di caffè istantaneo. Lo preparò nero con solo un po’ di zucchero. La assaggiò. Eh. Non era cattivo. Prese una mela Danish avvolta nella plastica e tornò al suo posto.
Accese il faretto sopra la sua testa.
Guardò dall’altra parte del corridoio. Trudy dormiva, raggomitolata su se stessa. Era giovane per quel lavoro. Doveva essere bello sapere tante cose a quell’età. Ripensò a come era stato quando aveva avuto vent’anni. Era stato una specie di supereroe dozzinale, che reagiva correndo a testa bassa attraverso i muri. Non era stato un tipo molto riflessivo.
Scosse il capo e abbassò lo sguardo sui documenti che aveva in grembo. La ragazza gli aveva consegnato molti dati utili. C’erano immagini satellitari del cargo, inclusi i primi piani delle passerelle in cima e delle stanze dove si riteneva stessero tenendo gli uomini. Anche della stiva dove probabilmente si trovava il sommergibile.
Doveva ammettere che non lo considerava una sua priorità, ma sapeva che gli altri non concordavano. Volevano che il mezzo venisse distrutto. Okay. Se fosse stato possibile e non avesse messo in pericolo gli uomini, okay. L’avrebbe fatto.
Mmh. Che altro c’era? Parecchia roba. Le schematiche del cargo. Mappe e immagini satellitari delle strade della città tutt’intorno, i moli, e il lungo argine che proteggeva il porto dal Mar Nero. C’era un reportage con mappe di tutta l’area, con il grande stabilimento balneare di Sochi a nord, le acque aperte e il confine con la Georgia a sud, a breve distanza.
Così vicina eppure così lontana.
Che altro? Le analisi delle truppe al porto e nei vicini stabilimenti, che in realtà erano solo valide ipotesi. Le valutazioni delle capacità del primo intervento della città metropolitana di Sochi, che un tempo erano state buone ma attualmente erano sottofinanziate e mal gestite. La valutazione del morale: genericamente a terra. Le due disastrose guerre cecene e i successivi attacchi terroristici contro obiettivi civili, insieme alla tragedia del Kursk, aveva fatto cadere molte teste tra i pezzi grossi dell’esercito russo, e le truppe erano allo sbando.
Luke non ne dubitava. Lo shock dell’11 settembre, insieme alle ripetute battute d’arresto in Iraq e Afghanistan, e la pessima pubblicità fatta dalla stampa… aveva fatto lo stesso con il morale di molta gente dalla sua parte della barricata. L’equipaggiamento, l’addestramento e il personale americano erano in genere eccellenti, ma le persone erano persone, e quando c’erano problemi tutti ne soffrivano.
Lasciò che le informazioni si depositassero nella sua mente.
Don gli aveva promesso rinforzi una volta che fosse arrivato in Turchia, operativi sotto copertura con una profonda conoscenza del luogo, della lingua russa ed esperienza in operazioni segrete rapide e violente. Non gli aveva detto da dove sarebbero venuti, solo che sarebbero stati i migliori sulla piazza. Gli aveva promesso un modo con cui lui ed Ed, separatamente, sarebbero potuti entrare in Russia senza essere scoperti. Gli aveva promesso qualsiasi materiale avesse voluto, entro certi limiti: pistole, bombe, auto, aeroplani, tutto.
Un’immagine iniziò a prendere forma dentro di lui.
Già. Cominciò a delineare un piano. In un mondo ideale… se avesse avuto qualsiasi cosa avesse voluto… con l’elemento della sorpresa… totale impegno… movimenti rapidissimi…
Forse poteva funzionare.
* * *
“Un tempo mi chiamavano Mostro.”
Luke fissò Ed. Erano gli unici svegli, seduti in fondo all’aereo. Ma Luke stava iniziando a spegnersi. Davanti a loro Trudy era ancora raggomitolata su se stessa, e Swann era steso in maniera scomposta, con le lunghe gambe allungate attraverso il corridoio.
Le tende sui finestrini erano abbassate ma cominciavano a intravedersi i primi raggi di sole alle estremità. In qualsiasi parte del mondo si trovassero, ormai era mattina.
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