Benito Mussolini - Nascita del Fascismo

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Articoli di Benito Mussolini pubblicati sul quotidiano «Il Popolo d'Italia». Mussolini espulso dal partito socialista fonda i fasci di combattimento e un nuovo giornale, Il Popolo dItalia ed è dagli articoli di questo giornale che parte levoluzione del movimento per trasformarsi poi in Partito Nazionale Fascista.

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Nascita del

Fascismo

Articoli e discorsi degli anni 1919-1921

Dai Fasci di Combattimento al Partito Nazionale Fascista

Benito Mussolini

Copyright © 2020 MLE Storia

Alcuni i diritti riservati.

ISBN:9783967991598

PREFAZIONE

Articoli di Benito Mussolini pubblicati sul quotidiano "Il Popolo d'Italia". Mussolini espulso dal partito socialista fonda i fasci di combattimento e un nuovo giornale, Il Popolo d’Italia ed è dagli articoli di questo giornale che parte l’evoluzione del movimento per trasformarsi poi in Partito Nazionale Fascista.

Mussolini è un oratore e scrittore forbito, pungente contro gli avversari e pugnace nelle proprie idee.

Questa raccolta è una straordinaria testimonianza storica della strada che condusse alla fondazione del Partito Nazionale Fascista.

PER LA COSTITUZIONE DEL NUOVO

«FASCIO D’AZIONE RIVOLUZIONARIA»

Non è il caso — esordisce l’oratore — di fare delle discussioni. Noi ci troviamo oggi di fronte a due coalizioni: conservatori e rivoluzionari. Gli uni che hanno tutto da conservare, gli altri che debbono tutto demolire.

Noi non intendiamo di costituire un partito: dobbiamo semplicemente raggiungere un obiettivo. Dopo faremo, se sarà possibile, un’altra tappa insieme e ci separeremo.

Ma oggi che cosa significa questo procrastinamento della nostra azione? Che cosa significa questa guerra a primavera? Questa guerra rimandata a quando spunteranno le mammole? Un popolo forte e sano come il nostro e come il nostro leale, non deve aspettare e tergiversare in maniera così sorniona e macchiavellica!

Noi riprendiamo la vecchia bandiera! Anche prima del ’70 c’erano dei neutralisti, ma il popolo passò.

Noi siamo un popolo vecchio di cinquanta secoli di storia e giovane di cinquanta anni di vita nazionale e non dobbiamo essere un paese di conigli.

Ora prepariamoci come dobbiamo. Oltre cinquanta fasci sono già costituiti in Italia e altri numerosissimi se ne costituiranno dopo la nostra parola di questa sera che è attesa con ansia solenne e febbrile. Ora non attardiamoci sulle forme statutarie della nuova organizzazione. Il compagno Bianchi, che sarà eletto a segretario, adunerà le nostre file. Noi aduneremo quelle di tutta Italia. Intanto facciamo il lavoro umile e più necessario. Costituiamo subito il fascio, fra i numerosi qui convenuti questa sera.

E abbiate, amici, la sicurezza — conclude l’oratore, sempre attentamente e deferentemente ascoltato — che noi non abbiamo rinunziato ad alcun migliore principio, che non siamo diventati dei vani guerrafondai, che non abbiamo rinnegata la nostra fede, che non si mutano dall’oggi al domani i propri ideali come l’assassino non diventa d’un tratto il probo e l’onesto.

Il nostro dovere è oggi di armarci tutti contro il nemico comune. ( Il breve ma vibrato discorso di Benito Mussolini è accolto da una salva di applausi che si prolungano fra l’entusiasmo più vivo ).

MUSSOLINI

Da Il Popolo d'Italia , N. 21, 5 dicembre 1914, I.

L’ADUNATA

Uno degli obiettivi che il movimento dei «Fasci d’Azione Rivoluzionaria» si prefiggeva era quello di creare o di contribuire a creare nelle masse proletarie uno «stato d’animo» simpatico nei riguardi della eventualità di un’azione militare dell’Italia contro gli imperi centrali. Tale obiettivo può dirsi raggiunto e questa constatazione non è un atto di vana superbia. Nelle moltitudini operaie — specie delle grandi città — si guarda ora alla possibilità della guerra con occhio e con animo diversi: non più l’ostilità cieca e irragionevole e preconcetta, ma agnosticismo e molto spesso l’adesione esplicita alla tesi che vien chiamata «guerrafondaia» ed è la nostra. Le masse dove non siano convinte, sono per lo meno «turbate». Ripetono — è vero — meccanicamente, la formula d’opposizione alla guerra, ma il dubbio apre a poco a poco la sua breccia nell’animo di queste masse e le defezioni aumentano. Il numero dei «Fasci» è la prova che questo «stato d’animo» esiste ed è qua e là giunto alla consapevolezza politica e pratica dei doveri che l’epoca attuale impone ai sovversivi italiani. La creazione di questo «stato d’animo» è di una importanza capitale in rapporto alla guerra. Un soldato che si batte sapendo il perché, un soldato che ha la coscienza del suo compito in un dato momento della storia — quella coscienza che non mancava per esempio ai magnifici soldati della Grande Rivoluzione — è un soldato che vince e noi dobbiamo vincere a qualunque costo. La Germania si prepara a una vera guerra di sterminio contro di noi. Le atrocità del Belgio si rinnoverebbero centuplicate nei villaggi, nelle borgate, nelle città di Lombardia e del Veneto, qualora i tedeschi riuscissero a sfondare le nostre linee. Inoltre dobbiamo vincere per fiaccare una buona volta questa egemonia prussiana che infastidiva ed opprimeva il mondo intero. Ciò è pacifico, ormai.

Creato lo stato d’animo, l’adunata d’oggi deve precisare gli obiettivi di un «nostro» intervento. Non vogliamo chiuderci in una nuova formula, ma non vogliamo nemmeno aumentare gli equivoci e la confusione delle lingue. Il nostro è intervento di sovversivi, di rivoluzionari, di anticostituzionali e non già intervento di moderati, di nazionalisti, di imperialisti. Il nostro intervento ha un duplice scopo: nazionale e internazionale. Per una singolare circostanza storica la «nostra» guerra nazionale può servire alla realizzazione di fini più vasti d’ordine internazionale ed umano. La «nostra» guerra — dico — e non già quella che ci possono preparare i ceti governativi d’Italia. Fini nazionali e cioè liberazione degli irredenti del Trentino e dell’Istria, il che significa contribuire allo sfacelo dell’impero austro-ungarico oppressore di troppe nazionalità e baluardo della reazione europea. Ma la guerra contro l’Austria-Ungheria per la realizzazione di queste finalità, d’ordine nazionale, significa guerra contro la Germania militarista, significa affrettare la scomparsa del più grande pericolo per i popoli liberi, significa l’aiuto fattivo e concreto al popolo belga che deve tornare libero e indipendente, significa — forse — la rivoluzione in Germania e per contraccolpo inevitabile la rivoluzione in Russia; significa — insomma — un passo innanzi della causa della libertà e della Rivoluzione.

Gli obiettivi del «nostro» intervento sono così definiti e determinati. Ci sono, certamente, tra gli inscritti ai «Fasci», sfumature d’idee, ma il minimo comune denominatore del pensiero e dell’azione è quello che noi abbiamo ripetutamente prospettato su queste colonne.

Da ultimo, l’adunata odierna deve stabilire i mezzi dell’azione pratica. Credo anch’io che dal punto di vista teorico e dottrinale, la neutralità sia spacciata. E lo dimostra il fatto che non ha più difensori aperti, se non tra gli interessati per la popolarità, o le cariche, o gli stipendi. E va bene. Ma non possiamo dire di aver causa vinta. Ci troviamo dinnanzi a una duplice coalizione di conservatori: i socialisti alleati — volontari o involontari — dei preti e della Monarchia, intesa la parola nell’accezione più vasta del suo significato.

Ci troviamo dinnanzi a un «sacro egoismo» che trova — in basso — la sua pretesa giustificazione nel principio della «lotta di classe» che deve restare puro e immacolato anche in mezzo alle più imponenti catastrofi della Storia, mentre in alto il «sacro egoismo» viene giustificato con la tutela «esclusiva» degli interessi nazionali. Per contrastare all’egoismo del basso possono bastare i semplici mezzi della propaganda con la parola e gli scritti, ma per smuovere il «sacro egoismo delle sfere dirigenti, occorrono mezzi più persuasivi. «O la guerra o la corona!» è una parola d’ordine che ha un significato se ci si prepara contemporaneamente alla guerra e alla Rivoluzione. Dire che noi faremo la rivoluzione perché l’Italia scenda in campo, è prendere un impegno superiore alle nostre forze; ma non possiamo però affermare tranquillamente che non sarà impossibile e nemmeno troppo difficile lo scoppio d’un moto rivoluzionario se la Monarchia «non» farà la guerra. La posizione, in fondo, è identica. L’adunata può discutere e provvedere ad altri mezzi per sospingere il Governo all’intervento.

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