Grace Goodwin - La sua compagna vergine

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Uno sguardo, un tocco… Ed è impossibile negare leccitazione.Alexis Lopez, ventun anni, single, spera di poter risolvere il suo problema con gli uomini offrendosi come volontaria nel Programma Spose Interstellari. E le basta posare gli occhi sullenorme alieno che vuole rivendicarla come sua per farla ardere di passione. E quando poi lui le racconta fin nei minimi particolari come ha intenzione di reclamarla, Alexis non vede lora di donarsi completamente a lui, anima e corpo.Von, nativo di Everis, è uno spietato Cacciatore, che ha speso anni a combattere contro lo Sciame. Ma il suo letto e la sua vita sono vuoti… fino allarrivo di Alexis. Gli basta unocchiata per sapere che lei gli appartiene.Facile, no? No. La loro unione viene messa in discussione da uno dei guerrieri più temuti di tutto il pianeta, e non basteranno i baci rubati a risparmiare a Von un duello mortale. Ma Von è un Cacciatore, un guerriero, un guardiano, e qualcosa sta cercando di portargli via quello che gli appartiene. Che appartiene a lui soltanto. Farà tutto il necessario per proteggere, salvare e reclamare la sua compagna vergine.

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“Guardami.” La misi alla prova, avevo bisogno di conoscere la sua vera natura. Avrebbe accolto di buon grado il tono autoritario della mia voce? O mi avrebbe sfidato?

Lei sussultò, si morse il labbro e il suo fianco si mosse contro il mio. Ma i suoi occhi erano aperti, il suo sguardo fisso sul mio. E ciò che vi scorsi mi fece quasi venire. Desiderio. Fiducia. Bisogno.

La mia piccola compagna provava quello che provavo io. Grazie agli dèi.

Sapevo che se avessi potuto infilarle una mano in mezzo alle cosce l’avrei trovata bagnata. Desiderava essere dominata, voleva essere comandata. Sapere che si sarebbe arresa tanto dolcemente mi costrinse a lottare per soffocare un ruggito.

“Dimmi come ti chiami, piccola.”

Lei scosse il capo, negandomi una cosa tanto semplice. Mi sporsi in avanti e la baciai, le morsi le labbra. “Io mi chiamo Von. Dimmi il tuo nome.”

Non era reale. Dèi, sapevo che non era reale, ma ora l’avevo assaggiata, e non riuscivo più a fermarmi. Le baciai il mento, il collo. Poi più in basso. Lei inarcò la schiena, premette i fianchi contro i miei e inclinò la testa da un lato, per accogliermi.

“Von.” Il mio nome sulle sue labbra fu un respiro ansimante. Il mio corpo reagì come se mi avesse preso il cazzo in mano.

La baciai sul collo, leccandola e succhiandola e assaporandola. Le baciai l’orecchio e le chiesi di nuovo: “Come ti chiami?”

Il suo silenzio mi eccitava e mi allettava. Non volevo una compagna scialba, docile. Io volevo una donna che aveva il fuoco dentro di sé, una compagna che avrebbe protetto i miei figli con ferocia. Una che avrebbe tirato fuori gli artigli in caso di bisogno - ma che, allo stesso tempo, si sarebbe sottomessa dolcemente a me quando eravamo a letto.

Mi misi sopra di lei e reclamai la sua bocca. La baciai. La reclamai. Strofinai il cazzo in mezzo alle sue cosce. I nostri vestiti e la sua mente innocente mi impedivano di penetrarla. Strofinai la mia asta dura su di lei, ed era la sua mente a permettere il contatto. Non era completamente sopraffatta, o scioccata.

Le misi la mano sul fianco e afferrai l’orlo della sua veste per infilarle le dita nella fica calda, ma fu allora che incontrai resistenza, una barriera invisibile che non potevo oltrepassare.

Ringhiai dentro di me. Non potevo toccarla. Non ancora. Nel sogno, non poteva accadere nulla che non fosse già successo nella realtà. E nessun altro uomo aveva mai toccato la parte più dolce del suo corpo, nessuno l’aveva mai assaporata, né l’aveva mai sentita gridare di piacere. Quel pensiero mi trasformò quasi in un animale. Gli istinti protettivi del Cacciatore si innalzarono come una marea pronta ad inghiottirmi.

Questa donna era mia. Avevo pensato che dovevo comportarmi con onore, che dovevo lasciarle la possibilità di scegliere. Ma ora, vedendola, assaporandola, toccando la sua mente, capii che avrei smosso i cieli pur di riuscire a tenerla per me. Niente avrebbe potuto impedirmi di sedurla, di guadagnarmi il suo amore.

La sua pelle era più soffice di quella di un neonato. I suoi sospiri erano musica per il mio cuore di guerriero. Non stava lottando con me. Era innocente. La sua mente era incapace di fabbricare cose che non conosceva, una passione menzognera.

La baciai di nuovo, fino a quando il suo corpo non cominciò a tremare per il bisogno, fino a quando il suo respiro si fece frenetico.

“Il tuo nome, compagna?”

“Io non sono la tua compagna.”

“Per il Divino, tu sei mia. La mia compagna marchiata.” Le strinsi le mani e gliele bloccai sopra la testa. Abbassai la bocca sul suo seno destro. Lì, avrei trovato il suo marchio. Lo sapevo per certo. Così come sapevo che io il mio ce lo avevo sulle costole. Era mia. Spinsi il naso contro il suo seno, e poi la bocca, il mento, strofinando la mia barba vecchia di due giorni sulla sua carne sensibile. E poi la baciai e la morsi attraverso la sua veste setosa. “Hai una voglia qui, compagna. Proprio qui.”

Lei sussultò e cominciò a lottare, ma io le tenni le mani bloccate e lei fece presto a sciogliersi, a dimenare la testa a destra e a sinistra sul cuscino.

Baciai il suo marchio. Afferrai la veste con i denti e la tirai via così da poterle baciare il seno nudo. Non appena le mie labbra entrarono in contatto con la sua pelle nuda, lei gemette. Tra di noi si scatenò una tempesta di fuoco e bisogno. Le baciai e le succhiai la voglia che aveva sul seno, il sacro marchio che ci univa. Che la rendeva mia. Ne era la prova. L’avevo vista. L’avevo sentita.

“Sto arrivando per te, compagna.” Aspettami. Non scegliere un altro.”

Le succhiai un capezzolo e lei scalciò. La sua voce si era ridotta a un sussurro. “Treva mi ha detto che ci saranno ottanta maschi tra cui scegliere domani. Ha detto che posso sceglie chi voglio.”

Le passai la lingua sul capezzolo fino a quando non urlò. Sollevai la testa e la baciai di nuovo prima di risponderle. “Sì. È la legge, puoi scegliere chi vuoi. Ma sappiamo entrambi che non lo farai.”

“Perché no?”

“Perché loro non saranno in grado di darti ciò di cui hai bisogno.”

Il suo battito accelerò. Abbassai la testa e le diedi un bacio sulla gola che pulsava.

“E di cosa ho bisogno?”

“Delle mie mani che ti stringono i capelli e della mia lingua che ti scopa la bocca. Della mia lingua sul clitoride, che ti riempie la fica fino a quando non mi avvolgi le gambe attorno alle spalle e mi implori di non fermarmi mai. Fino a quando non reclamo ciò che è mio. Fino a quando tu non reclami me.”

Adesso stava ansimando, ma non avevo ancora finito. Nient’affatto. Mossi i fianchi e le strofinai la mia lunga asta dura contro la clitoride. Lei gemette. Abbassai la testa e le sfiorai l’orecchio con le labbra.

“Hai bisogno di me che ti allargo il culo, che ti prendo con forza mentre riempio la tua fica con le dita, mentre ti faccio venire, ancora e ancora. E poi di nuovo ancora. Hai bisogno del mio cazzo dentro di te, che ti scopa, che ti riempie con il mio seme fino a quando non urli e mi implori di farti venire.”

“Oh, mio Dio.”

Scalciò sotto di me, gli occhi annebbiati dalla lussuria. Per me.

Ma ora era tempo di andare. Volevo continuare, ma non potevo fare nient’altro. Avevo fatto abbastanza, l’avevo fatta eccitare. Era eccitata per me. Mi desiderava. Poteva anche vedere gli altri uomini, ma non avrebbe desiderato che me. Dovevo esserne certo.

“Tu sei mia, compagna. Aspettami. Ti troverò.”

Alexis pianeta Everis la Pietra Miliare Come sapete oggi gli uomini e le - фото 9

Alexis, pianeta Everis, la Pietra Miliare

“Come sapete, oggi gli uomini e le donne qui alla Pietra Miliare si conosceranno.” La donna, a cui tutti si riferivano come Ufficiante Treva, se ne stava in piedi davanti a noi, le dodici donne che erano state abbinate attraverso il programma spose e che erano state trasportate su Everis.

La donna sembrava un’umana, ma si muoveva con una meravigliosa efficienza che mi rendeva difficile staccarle gli occhi di dosso. Tutti gli Everian che avevo conosciuto sembravano umani, ma c’era qualcosa in loro, qualcosa che non riuscivo a definire e che me li faceva vedere come se fossero... di più . L’officiante Treva sembrava di dieci anni più vecchia di me, Dani e Katie e, a differenza nostra, sprizzava autostima da tutti i pori. Aveva i capelli del colore dell’ebano che le arrivavano alle spalle. I suoi occhi erano color ambra, come il whiskey. Era alta come Katie, poco più di una normale terrestre. La sua uniforme era blu scura, e i gradi che portava sul braccio erano argentati. Non sapevo niente di come funzionassero certo cose qui, ma lei e le altre ufficianti erano di certo di grado elevato. Nessun Everian osava contraddirla, uomini o donne che fossero. Il suo portamento e la sua confidenza non facevano altro che farmi sentire ancora più insicura, come un bambino che prova a giocare con i più grandi. E, a giudicare dai gesti agitati di Katie e Dani, era chiaro che si sentissero allo stesso modo.

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