Responsabile del piano sovversivo era stato l’allora Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, ex partigiano azzurro monarchico, insignito dalla Repubblica, per meriti resistenziali, d’una medaglia d’argento, di tre croci di guerra al merito e di molti encomi solenni e, nel 1955, elevato al delicatissimo ufficio di capo dei servizi segreti, che aveva mantenuto per circa sette anni prima del nuovo incarico.
Il 25 marzo 1964 egliaveva riunito nella capitale i dipendenti generali comandanti delle tre divisioni dell’Arma e i generali di brigata loro aiutanti di campo, e impartito ordini dettagliati sul piano, con l’ingiunzione di tenersi pronti a muovere le loro truppe armate in qualunque momento, non appena ricevutone il suo comando. Era stata prevista l’occupazione delle prefetture, delle principali questure della nostra Pubblica Sicurezza, delle sedi RAI-TV, dei partiti politici marxisti, dei giornali che li appoggiavano e, addirittura, erano stati predisposti, per oltre settecento figure pubbliche fra politici del Partito Comunista e del Partito Socialista, sindacalisti socialcomunisti della CGIL e intellettuali sostenitori o simpatizzanti della sinistra, l’arresto e il trasferimento in campi di concentramento in Sardegna allestiti su aree militari vietate al pubblico.
Il 26 giugno 1964, un venerdì, era intervenuto un fatto nuovo: la crisi di Governo, caduto per un contrasto, forse pretestuoso, sulle sovvenzioni alla scuole private, che i democristiani volevano e i socialisti osteggiavano. La maggior parte dei giornali non di partito, la cosiddetta stampa indipendente che a quei tempi, di norma, non simpatizzava per la sinistra 26, aveva definito assai negativamente il Presidente del Consiglio dimissionario Aldo Moro, capo della corrente della sinistra democristiana, e aveva indicato come uno sfacelo le azioni governative dei ministri socialisti. Era stato il momento in cui il piano sovversivo avrebbe potuto prendere le mosse. Il leader storico del Partito Socialista Italiano, Pietro Nenni, ne era stato messo in guardia, non improbabilmente dagli statunitensi, aveva riunito all’istante i notabili di partito e li aveva informati d’aver udito nel sottofondo della crisi un tintinnio di sciabole ; e a questo punto i socialisti erano scesi a patti. Il progetto sovversivo era caduto, le tre divisioni dei Carabinieri e le rispettive brigate erano rimaste inerti e il 17 luglio 1964 era stato varato un diverso Governo Moro, sempre col Partito Socialista che, però, aveva accettato d’eliminare tutti i punti drastici del suo programma innovativo, precedentemente dichiarati assolutamente essenziali; ancora una volta, la politica s’era rivelata l’ arte del possibile 27 . Il piano di colpo di Stato era stato accantonato giusto alla metà di luglio, un attimo prima della sua attuazione, essendosi considerato il costituendo nuovo centrosinistra assai meno innovatore del precedente e sicuramente, come si sarebbe saputo, essendo del tutto mancata l’approvazione degl’influentissimi Stati Uniti d’America i quali, diversamente dagli eversori, consideravano positivamente il centrosinistra, quale strumento per isolare i comunisti: il Partito Comunista Italiano, in effetti, era stato e rimaneva assai contrario alla partecipazione dei socialisti al Governo, avendo mirato per il futuro, ben diversamente, a un Governo di pura sinistra socialcomunista. Sarebbe poi corsa un’ulteriore, insistente voce, che lo Stato della Città del Vaticano, informato dall’ambasciatore statunitense del piano sovversivo, si fosse mosso per bloccarlo, forse con segrete minacce di scomuniche a certi potenti cattolici di destra della Democrazia Cristiana: la Santa Sede e il relativo Stato erano in quegli anni assai considerati e sovente ascoltati negli ambienti politici e militari italiani e la notizia era tutt’altro che inverosimile, anche perché la Chiesa, sotto l’allora regnante Papa Paolo VI, uomo della sinistra cattolica, era stata ben favorevole all’ammissione dei socialisti al potere esecutivo.
Negli stessi giorni, quattro uomini politici di centro destra erano deceduti per infarto, quasi l’uno di seguito all’altro, coincidenza ben insolita anche se non del tutto impossibile
Di questi fatti e d’attinenti fatterelli i cittadini sarebbero stati tenuti all’oscuro dalle autorità per molto: forse per evitare al popolo ormai superflue spinte all’angustia? Sicuramente con autoritario disprezzo del diritto all’informazione.
Nemmeno Vittorio e, come lui, nessuno nel nostro Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza aveva avuto sentore del progetto eversivo; e lo stesso doveva esser stato negli altri reparti di Polizia 28: il piano era stato magistralmente mantenuto segretissimo.
Solo nel 1967 la notizia sarebbe sfuggita e, raccolta dal settimanale L’Espresso, sarebbe stata da questo divulgata il 14 e il 21 maggio di quello stesso anno con un’inchiesta giornalistica , divenendodi pubblico dominio. Si sarebbe saputo, fra l’altro, che solo nel dicembre 1965 e non prima, al termine cioè d’un duraturo periodo d’indecisione dei vertici politici, il Comandante Generale dei Carabinieri ed ex comandante dei servizi segreti era stato rimosso dal suo incarico; e sarebbe corsa voce, verosimilmente per informazioni dell’onnipresente agenzia di spionaggio statunitense CIA, che se quel generale di corpo d’armata era apparso l’ideatore del piano eversivo, questo poteva esser stato voluto da certi importanti uomini politici della destra democristiana 29.
Sempre dopo il maggio 1967 e in grazia degli articoli de L’Espresso, sarebbe stata finalmente costituita sulla vicenda una commissione parlamentare d’inchiesta. Le sue conclusioni? Avrebbe sancito essersi trattato d’un piano d’emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico, “una deviazione deprecabile” ma non un tentativo di colpo di Stato.
FOTOGRAFIA FUORI TESTO
La prima pagina del numero 21 del 21 maggio 1967 della rivista L’Espresso

Capitolo V
Aristide Trastulli, uscito dal suo negozio alle 19 di sabato 18 luglio 1964 per una breve, solitaria passeggiata prima di cena, era sparito.
I primi telefoni da tasca erano ancora di là da venire, i suoi famigliari non avevano potuto provare a rintracciarlo chiamandolo. Già verso le 22 la moglie e i due figli avevano denunciato la sparizione in Questura: la legge italiana del tempo, contrariamente a quelle di altri Stati, non riteneva necessario che, prima di poter procedere alla segnalazione della sparizione d’un famigliare o parente a un corpo di Polizia, fosse trascorso un certo numero di ore o addirittura di giorni, infatti considerava che maggiore sarebbe stata la possibilità di trovare la persona se ci si fosse mossi il prima possibile.
Il funzionario di turno preposto a raccogliere la denuncia, un certo brigadiere Pitrini, dopo aver fatto accomodare il trio davanti alla propria scrivania, aveva chiesto: “A casa c’è qualcuno?”
Aveva risposto Arturo: “Sì, mia moglie con le nostre bambine.”
“Suo padre potrebbe esser tornato mentre loro venivano qui. Per prima cosa è bene controllare. Numero di telefono?”
Avutolo, l’aveva composto sul disco combinatore dell’apparecchio che aveva sullo scrittoio, passando subito la cornetta alla signora madre.
Aveva risposto Clodette, deludendola: “No, purtroppo non c’è. Nemmeno ha telefonato.”
La suocera aveva sospirato e, senza congedarsi dalla nuora, aveva reso il ricevitore al brigadiere.
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