L’e-mail che avevo mandato ieri agli amici esterni al lavoro spiegava la mia partenza improvvisa come una vacanza. Potevano immaginarmi a sorseggiare una Piña Colada sulla spiaggia, ballando tutta la notte sulle note di musica calypso con un attraente uomo caraibico, mentre mi davo alla pazza gioia. Emily si sarebbe occupata di dare la notizia al lavoro questa mattina.
A proposito di uomini caraibici, l’uomo al mio fianco in prima classe stava cercando di leggere quello che scrivevo al telefono. Mi girai dall’altro lato. Dove sono le tue maniere da passeggero di prima classe?
Tornai ad occuparmi delle mie e-mail. Non avrei dovuto avvisare Nick in prima persona? Forse si era comportato un po’ come Heathcliff ma, prima di Shreveport, gli avrei sicuramente mandato un avviso provocante sulla mia partenza. Se fosse stato lui a scomparire, avrei voluto saperne il perché. Ipso facto, non lo avrebbe voluto anche lui? Seguendo questo raziocinio logico scadente, mi buttai a scrivere un’e-mail veloce.
A: nick.kovacs@haileyhart.com
Da: katie.connell@haileyhart.com
Oggetto: Viaggio
Nick:
Volevo farti sapere, nell’eventualità in cui tu notassi che me ne sono andata, che sono partita per una vacanza ai Caraibi. Torno fra una settimana. Emily si occuperà dei miei casi mentre sono via. E, Nick, mi dispiace. Per tutto.
Katie
Dopo Shreveport, gli avevo promesso di dire sempre la verità. Beh, ero stata quasi completamente sincera, era una sorta di vacanza. Chiusi gli occhi con il dito su invia , esitante.
“Signora, dovrebbe spegnerlo e riporlo immediatamente, per favore.” L’assistente di volo dai capelli grigi si abbassò su di me, con un sorrisino sulla faccia. Doveva odiare ripetere le stesse cose in continuazione a persone come me che mentono, imbrogliano e fingono, solo per avere qualche secondo di connessione in più prima di decollare. Però, ero una brava ragazza questa volta.
“Nessun problema,” dissi. Premetti invia e spensi lo schermo. Beh, più o meno brava. Risistemai lo schienale e sistemai le pieghe dell’abito lungo che indossavo.
“Mi chiamo Guy,” disse l’uomo seduto vicino a me. Mi porse la mano.
Nooo. Volevo dormire. Gli strinsi la mano — una mano molto morbida, morbida come se facesse il bagno nella vaselina — e dissi, “Katie. Piacere,” e distolsi lo sguardo. Appoggiai la nuca sullo schienale. “Non pensare alla forfora, pidocchi e altre schifezze che ci sono in testa,” mi dissi. E immediatamente non riuscii a pensare ad altro.
Un bebè iniziò a urlare. Sollevai la testa per cercare il colpevole. Un giovane padre che viaggiava da solo nella prima fila della seconda classe. Non un grande inizio.
Tornò l’assistente di volo. La sua pelle sembrava più giovane di quanto indicassero i capelli e aveva degli occhi vivaci. “Posso portarle qualcosa da bere prima del decollo, signora?”
Dopo aver inviato quell’e-mail a Nick, ero ansiosa. L’ enfant terrible e il potenziale problema pidocchi mi davano da pensare. Stavo andando a combattere i miei demoni e affrontare i miei problemi personali in una terra sconosciuta. Anche un bevitore responsabile avrebbe ordinato un drink in prima classe, date queste circostanze.
“Bloody Mary,” disse qualcuno. Ero io. Ops.
“Certamente, signora.”
Beh, non ero al resort, non ero nemmeno ancora a St. Marcos. Se ci pensate, questo era il conto alla rovescia, ma la partita non era ancora cominciata. Non dovevo guardarmi dal bere prima di arrivare là. In più, a cosa serve viaggiare in prima classe se non per i drink gratis? Certo, servivano anche una ciotola calda di frutta secca e ti portavano un asciugamano tiepido con un paio di pinze da cucina, forse anche un biscotto cremoso alle scaglie di cioccolato se eri fortunata, ma l’alcool era il vero motivo.
“Ne porti due,” disse il mio nuovo amico Guy. Si allungò leggermente verso di me e disse, “Tutto ciò che mi ci voleva. Sono stato a Los Angeles per incontrare dei produttori televisivi a proposito di uno show che voglio registrare a St. Marcos. Sono stanchissimo.”
“Ma non mi dire,” dissi.
Quando atterrammo a St. Marcos, mi sentivo brilla dalle concessioni del volo. Augurai a Guy una buona permanenza e mentii sia sul mio cognome che sul resort in cui avrei soggiornato, per assicurarmi di non imbattermi in lui nuovamente.
Mi sedetti sulla navetta diretta al Peacock Flower Resort, dondolando la testa al ritmo di I Shot the Sheriff di Bob Marley. Arrivai all’hotel, che era ancora meglio di quanto avessi immaginato. Un’architettura fiera, imbiancata di rosa, due piani, circondata da maestose palme. Capii perché ai miei genitori piaceva soggiornare qui. Entrai di buon passo nella hall, dove il portiere mi allungò un bicchiere trasparente di punch al rum con una grande fetta di ananas. Frutta, Per cena. Le persone qui erano incantevoli.
Mi registrai e l’addetto alla reception chiamò un ragazzino gentilissimo per accompagnarmi alla mia camera. Riempì il mio bicchiere di rum prima di farmi strada. “Per non passare sete in questa lunga camminata alla stanza, signora,” disse facendomi l’occhiolino. Il suo accento era adorabile.
La mia camera era a ridosso della spiaggia, ma circondata da palme per preservarne la riservatezza.
“Molte persone famose occupano questa camera.” Mi fissava intensamente. “Dovrei forse conoscerla? È tremendamente bella, signora. È una modella?”
Scelsi di ignorare il fatto che mi aveva fatto questi commenti in procinto di lasciare la stanza, proprio quando stavo decidendo la somma che avrei dato di mancia. Dissi, “Macché, grazie,” mettendogli una banconota da venti dollari nel palmo della mano. Fece un mezzo inchino per ringraziarmi e mi augurò un “felice buon pomeriggio”.
Ispezionai l’ambiente. Ah, bene, lo studio era perfetto. Appoggiai la borsa in terra ai piedi della scrivania, il cui bordo si allineava perfettamente con quelli del mio portatile, proprio come piace a me. Controllai il telefono. Era senza batteria. Infilai la mano nella borsa del computer per cercare il caricatore e lo misi in carica. Chissà quanto tempo avevo perso aspettando di ricevere dei messaggi con il cellulare spento. Sicuramente proprio quando Nick avrebbe risposto alla mia e-mail, tra l’altro. Disfai la valigia, aspettando che il telefono si riaccendesse e connettesse.
Continuai il tour in solitaria della suite. Il sito del resort sosteneva che ci fosse una vasca grande abbastanza per due persone, ed era proprio così. Abbastanza larga da contenere me e il mio alter ego dalla lingua infuocata che beveva decisamente troppo. Delle mattonelle color terra in marmo, di diverse sfumature, trame, dimensioni, forme e fantasie riempivano il bagno. Sulla carta, la ricetta perfetta per un arredamento eccessivo, ma non lo era. Era mozzafiato.
La palette chiara del resto della suite si abbinava perfettamente con i toni naturali del bagno. Il meglio della natura portato delicatamente all’interno. I mobili e il ventilatore da tetto erano in bambù e le lenzuola rigate color avorio erano in un cotone egiziano, che sembrava avere mille fili, sotto un morbido piumone crema. Non vedevo l’ora di fiondarmi a letto e rotolarmi in quelle lenzuola, passandomi il cotone fresco sulla pelle. La maggior parte dei colori della stanza — giallo brillante, verde palma e fucsia — riprendevano piante e fiori locali.
Una portafinestra si affacciava dal bagno su un patio rivestito da piastrelle in travertino color mandorla. Il patio faceva poi spazio ad un piccolo giardino costellato di palme, che terminava con un accesso privato alla spiaggia. Oltre la spiaggia dorata si intravedeva il Mar dei Caraibi, color turchese e zaffiro. Sorrisi. Questo posto faceva per me.
Il mio iPhone si era caricato abbastanza da scaricare i dati. Lo presi in mano e mi misi a scorrere le e-mail. La mia segretaria aveva mandato qualche domanda e sia Collin che Emily mi avevano chiesto di avvisarli quando fossi arrivata. Lo feci, e mi rimisi a scorrere fra i messaggi, la maggior parte dei quali era spazzatura. E così giunsi a quello mi lasciò senza fiato: la risposta di Nick.
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