Pamela Fagan Hutchins - Tornanti
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«Devo andare, Brandon.» Si fermò, quasi trattenendo il respiro, sperando che lui si dichiarasse e rendesse le cose ufficiali tra loro. Sarebbe valso qualche secondo in più e l’ira di suo padre.
Tutto quello che disse fu: «Vai, che vai alla grande.»
Parte dello sballo che aveva provato parlando con lui evaporò. Se fosse tornata e avesse scoperto che stava uscendo con Charla Newby, non avrebbe mai perdonato suo padre. Charla. Le faveva venire il vomito. Capelli neri lunghi e ricci, e grandi occhi scuri. Prima classificata nel barrel racing al rodeo giovanile di quell’anno. Charla poteva avere tutto quello voleva, e ultimamente Trish aveva sentito dire che voleva Brandon. «Ehm, sì. Ci becchiamo poi.»
Riappese e affrontò il genitore infuriato, che ora era davanti alla porta della sua camera. Però non appariva così minaccioso con la carta da parati a fiori blu come sfondo.
«Eri al telefono?»
«Scusa. Dovevo parlare con un’amica perché si faccia dare i compiti per me. Visto che sto perdendo le lezioni.»
«Datti. Subito. Una mossa.»
Si fece coraggio e disse tutto d’un fiato: «Papà, se la mamma non viene, non ci vengo nemmeno io».
«Oh sì che ci vieni, signorina.»
«Ma non mi piace cacciare.»
Era vero. Non le dispiaceva sparare ai bersagli. Suo padre pensava che saper sparare fosse un’abilità necessaria nella vita e le aveva insegnato a farlo quando aveva undici anni. Perry aveva cominciato ancora prima. «Tutto parte dalla sicurezza, e la sicurezza inizia con la conoscenza», aveva detto. Le aveva fatto caricare e manovrare una carabina, una rivoltella e un fucile, tutto da sola. Sua madre aveva insistito sul fatto che, se voleva insegnare loro a sparare, avrebbe dovuto insegnare anche a difendersi in altri modi. Il padre, allora, aveva organizzato vere e proprie lezioni, con tappetini sul pavimento del soggiorno e i suoi tre allievi, contando anche la madre, di fronte a lui. Li istruiva per bene. «Qualunque cosa vi faranno fuori da qui sarà sempre peggio di quello che vi farò io qui. Quindi lottate, lottate, lottate.» Poi li addestrava sulle mosse di autodifesa. Dita negli occhi. Colpi di testa al naso. Calci all’inguine.
Onestamente, suo padre era piuttosto violento. E un super fanatico.
In definitiva, non le piaceva combattere. Ma sparare era divertente ed era brava in quello. Le piaceva di più la pistola. Non le rinculava contro la spalla. Negli ultimi tempi, l’ossessione di suo padre era il suo nuovo arco compound e lei e Perry si erano esercitati con lui.
Ma poi l’aveva fatta andare a caccia di antilopi con lui l’anno prima. Non aveva voluto sparare da sola, così il padre si era messo dietro di lei e l’aveva aiutata a tenere il fucile. Aveva persino messo il proprio dito sopra il suo sul grilletto. Il loro primo colpo in tandem aveva colpito l’animale, ma, probabilmente grazie a lei, non l’aveva ucciso. Suo padre gli aveva allora dato rapidamente il colpo di grazia per porre fine alle sue sofferenze. Il pensiero di aver ferito un animale e che avesse sofferto, anche solo per un secondo, a causa sua? Era stato orribile. Aveva pianto tanto. Dopo che si era calmata, avevano dovuto eviscerarlo. Suo padre le aveva fatto guardare tutto il processo. Disgustoso. Disgustoso e triste. E ci era voluta un’eternità. Poi avevano dovuto trascinarlo e caricarlo sul pick-up e portarlo a casa. Che schifo! E per settimane avevano mangiato solo antilope. Il gusto era buono, ma aveva finito per stufarla, e le ricordava come era morto l’animale a ogni singolo pasto.
Suo padre stava ancora parlando. «Non è necessario che ti piaccia cacciare. Vieni lo stesso.»
«Non voglio.»
«Non ti ho chiesto se volevi.» La sua voce cambiò da cupa ad allegra. «Ma sarà divertente. Vedrai.»
La figlia cambiò il proprio tono da ribelle a triste. «I miei amici vanno tutti a una festa di compleanno.»
«Peccato per loro che non abbiano padri in gamba che li portino a caccia di cervi.»
Dal momento che la tristezza non funzionava, Trish alzò gli occhi al cielo. «Perderò una settimana di scuola.»
«Non una settimana intera. Ho detto a tua madre che rimarremo fuori solo quattro giorni.»
Il cuore di Trish sobbalzò. «Solo quattro giorni?» Fece il gesto di esultazione del pugno pompato. «Sì.»
«Non fare quei gesti.» Si voltò prima di arrivare alla porta, guardandola da sopra la spalla. «Vado ad agganciare il trailer. Ci vediamo giù al cancello per aiutarmi a caricare i cavalli. E porta la tua borsa e tuo fratello.»
Lei saltò in piedi e si mise sull’attenti. «Sì, signor sergente, ai suoi ordini, signor sergente.»
«Molto divertente. E mettiti qualcosa che vada bene per la montagna», rispose il padre, e se ne andò.
Pochi secondi dopo, la porta d’ingresso sbatté dietro di lui.
Borbottando, Trish tirò fuori a casaccio qualche indumento dai suoi cassetti e li infilò in una borsa. Poi saltò su una gamba e si sfilò gli stivali. Lanciò il suo bel completino sui finti Dingo, facendo un mucchio disordinato sul pavimento in mezzo alla stanza. Dopo essersi messa una maglietta, jeans e stivali da cowboy, fece un ultimo cambiamento, rimuovendo gli elastici neri dalle trecce e sostituendoli con quelli a sfera con le faccine sorridenti che ancora le piacevano, ma che non poteva più portare in pubblico. Poi si mise la borsa sulla spalla. Forse non avrebbe avuto bisogno di tutta quella roba. Ma non le importava. A volte in montagna faceva un freddo boia in settembre. Avere freddo era una rottura.
Si precipitò fuori dalla sua stanza, sospirando, e per poco non si scontrò con la madre nel corridoio. Era buio, poiché tutta la parte posteriore del pianterreno era sottoterra e non aveva finestre. Solo la parte anteriore le aveva. Era una specie di dugout gigante, che conosceva solo perché suo padre l’aveva fatta giocare a baseball due estati prima. Nella squadra maschile, perché non c’era una squadra femminile. Era stato mortificante.
Trish si aspettava di vedere un cesto della biancheria tra le braccia di sua madre. L’unica stanza nel corridoio oltre alla sua era la lavanderia, e dal momento che sua madre sosteneva di stare meglio senza vedere il disordine nella stanza di Trish, non ci entrava mai se poteva evitarlo. Ma non stava portando i panni da lavare. Nell’altra direzione c’era la scala centrale e oltre di essa una grande stanza aperta che i loro genitori chiamavano la stanza dei giochi. Trish là ascoltava i dischi. Perry faceva le sue cose, mentre lei lo ignorava. Ma sua madre non stava andando nemmeno nella stanza dei giochi. Stava andando da Trish.
«Non ho sentito squillare il telefono», disse Susanne, bloccandole il passaggio. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una coda bassa sulla nuca. Era una bella donna con delle belle curve e briosa. Tanto che metà dei ragazzi della sua scuola avevano una cotta per lei. Trish sperava che tra quelli non ci fosse anche Brandon. Quanto sarebbe stato imbarazzante?
«Cioè, non ha squillato.»
«Ma ti ho sentita parlare con Brandon Lewis.»
«Eri al telefono?» Trish alzò la voce. «Eri al telefono?» Si ricordava del clic.
Susanne non rispose alla sua domanda. «Le brave ragazze non chiamano i ragazzi. Soprattutto i ragazzi più grandi.»
«Forse nell’età della pietra, ma siamo nel Wyoming nel 1976 e le ragazze possono chiamare i ragazzi.»
«Non ti chiamerà mai se lo fai tu al posto suo.»
Sua madre stava seriamente dicendo che lei non era una brava ragazza e che Brandon non l’avrebbe mai chiamata? «Grazie per la dritta, mamma. Devo andare. Papà vuole che lo aiuti a caricare. Dov’è il moccioso?»
«Non parlare così di tuo fratello.»
Trish aggirò sua madre. Quando arrivò in fondo alle scale, urlò: «Perry, dobbiamo andare. Dai.»
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