Pamela Fagan Hutchins - Tornanti

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«Devo proprio?» chiese Trish, con la voce dolce per convincerlo.

Suo padre si fermò. «Farò finta che tu non me l’abbia chiesto. Muovetevi.»

I ragazzi se ne andarono in fila, Perry in punta di piedi ed eccitato, Trish con le spalle curve e la faccia imbronciata.

«Che cos’ha?» chiese Patrick. Si versò una ciotola di cereali e una tazza di caffè.

«È una ragazza di quindici anni. Vuole stare con i suoi amici. E, visto come corre ogni volta che squilla il telefono, penso che potrebbe esserci di mezzo un ragazzo.»

«È troppo giovane per avere un ragazzo.»

«La stessa età che avevo io quando ho iniziato a uscire con te.»

«È esattamente questo il punto.»

Susanne gli sorrise. «Forse è come me sotto molti punti di vista.»

«Cosa intendi dire?»

Era impossibile che quello che stava per dirgli gli andasse bene, ma doveva dirglielo. «Odio la caccia.»

«Non odi la caccia.»

Si fece forza. «Sì, invece. Non mi piacciono per niente i fucili. E i cavalli. Cindy inciampa continuamente. Mi spaventa. E ho deciso che non verrò a questa gita.»

La ciotola di Patrick cadde sul pavimento e si ruppe, facendo schizzare latte e cereali sul linoleum e sugli armadietti, arrivando fino al tappeto. «Tu hai cosa?» Gli occhi che le rivolse erano tempestosi.

No, non la stava affatto prendendo bene.

TRE

BUFFALO, WYOMING

18 settembre 1976, ore 11 di mattina

Trish

Trish sollevò la cornetta del telefono a ciambella giallo che i suoi genitori le avevano regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Compose il numero, fece confusione e lo compose di nuovo. Mentre la linea squillava, si sedette sulla sua sedia a uovo sospesa e si dondolò, ammirando il fondo dei suoi jeans a zampa di elefante. Sua madre non le permetteva di indossare i sandali con la zeppa che desiderava ardentemente, ma i pantaloni non stavano male con i suoi finti stivali Dingo.

Sentì voci alterate al piano di sopra. Piantando i piedi nel tappeto, trattenne il respiro per poter sentire.

«Ho detto che non vengo.» La voce di sua madre era ferma. Non teneva testa a suo padre tanto spesso, ma quando lo faceva, lo faceva alla grande.

«Vuoi rovinare la vacanza a tutti?» chiese suo padre.

La voce di una donna all’orecchio interruppe il suo origliare. «Pronto?»

«Posso parlare con Brandon, per favore?» chiese Trish, usando il tono educato che riservava agli adulti non della famiglia e parlando a bassa voce in modo che i suoi genitori non la sentissero. Ma di che si preoccupava? Suo padre aveva appena urlato qualcosa a sua madre. Quando i due litigavano, erano in un mondo a parte.

«Chi lo desidera?» La donna sembrava scettica.

«Trish Flint.»

«Flint?» La signora Lewis enfatizzò la t finale, emettendo un suono che parve a Trish quello di una cavalletta sputata fuori, come quando gliene era volata una piccola in bocca.

«Sì.»

Trish poteva sentire la donna respirare mentre rifletteva sulla sua richiesta. La signora Lewis era un’infermiera e Trish aveva udito i suoi genitori parlare del suo licenziamento il mese prima. Doveva aver rubato qualcosa e il padre di Trish l’aveva colta sul fatto. Non doveva avere molta simpatia per lui. Questo voleva dire che non vedeva di buon occhio nemmeno la figlia? Non aveva il tempo di cercare di farsela amica, se non chiamava subito Brandon, non avrebbe avuto la possibilità di parlargli prima che suo padre la costringesse a marciare fuori dalla porta per quella stupida gita in campeggio.

«Un attimo, per favore.»

Un forte rumore metallico disse a Trish che la signora Lewis aveva lasciato cadere la cornetta sul bancone. Poco gentile, signora. Iniziò a contare. Se fosse arrivata a cento senza che la donna avesse fatto venire Brandon al telefono, avrebbe riattaccato. Suo padre non sarebbe stato contento se fosse sceso e l’avesse trovata al telefono invece di fare i bagagli.

La madre di Trish gridò così forte che anche i vicini potevano udirla, cosa che normalmente non avrebbe fatto. «Odio la caccia. E i fucili. E il campeggio. E sentirmi dire cosa fare. E tu sapevi tutto questo prima di decidere di fare questa gita.»

Brava, mamma! Se lei non ci va, papà non costringerà nemmeno me! Poi si ricordò che quel fine settimana c’erano un sacco di attività in parrocchia. Se fosse rimasta a casa, sua madre l’avrebbe fatta andare là. Obbligava i figli a partecipare a tutto quello che organizzava la loro chiesa. La scuola domenicale, lo studio della bibbia durante le vacanze e ora il gruppo giovanile. L’unica cosa che le piaceva dello studio della bibbia era che poteva memorizzare i versi per vincere dei premi, perché vinceva sempre: settimane in campeggio, autolavaggi, prodotti da forno. La famiglia di Brandon apparteneva alla stessa parrocchia, ma non si faceva quasi mai vedere. Che cosa era meglio: evitare quello o non dover cacciare?

Suo padre si stava innervosendo sempre di più. «Non vedevo l’ora di fare questa gita. Non passo mai del tempo con i bambini.»

Niente faceva più paura della voce di suo padre quando era arrabbiato. Trish rabbrividì, ma Susanne non aveva paura di Patrick.

«Io sì. Potrei prendermi una pausa.»

Bello, mamma. Ti voglio bene.

Poi udì Brandon: «Senti... ciao.» Aveva un tono sorridente.

Trish sentì calore al viso. Non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di chiamarlo. Non aveva mai chiamato un ragazzo prima. Dimenticò completamente il litigio dei genitori. «Senti, ciao a te.»

«Come butta?»

Con Brandon, Trish si sentiva così fuori moda. Andava matta per il modo in cui parlava. Come se fosse californiano o qualcosa del genere, anche se era nato e cresciuto a Buffalo. «Mio padre ci porta a caccia con l’arco. Per i cervi, sai, no?»

«È lontano.»

Trish valutò se dire che era d’accordo con lui. Brandon era un vero fusto e più grande di lei, due anni più avanti a scuola. Piaceva a tutte le ragazze. Era piuttosto sicura di piacergli, ma l’aveva chiamata solo poche volte e non le aveva mai chiesto di andare con lui da qualche parte né altro. Le sue amiche ritenevano che fosse importante lasciare i ragazzi parlare di se stessi e comportarsi come se si amassero le stesse cose che facevano loro. Ma Trish non era molto brava a fingere, e questo poteva rovinare le cose.

«Non lontano. Ma ci farà perdere la scuola e tutto il resto.»

«“Miss voti perfetti” rischia di prendere un otto?»

Trish udì un clic sulla linea telefonica. «Qualcuno ha appena preso su la cornetta?»

«Non credo», rispose Brandon. «Pronto, pronto, c’è qualcuno?»

Non ci fu risposta.

Trish ruotò la sedia verso la finestra e parlò più piano. «Anche mia madre non vuole andarci, ma lascia che mio padre mi ci porti. È tipo complice di un rapimento. Dovrei scappare e basta.»

«Esatto. Non lasciare che l’uomo ti metta i piedi in testa.» Trish udì una risata nella sua voce.

«Mi stai prendendo in giro?»

«Sì, un pò. Rilassati. Sarà un bel viaggio. Che culo.»

«Cioè, se lo dici tu.» Si sentiva stupida a cercare di parlare come lui, e non era nemmeno sicura di farlo bene.

«Dove andate?»

«Non lo so. Da qualche parte vicino ad Hunter Corral è quello che ha detto a mia madre.»

«Vi portate tutto con lo zaino?»

«A piedi?»

«No, a cavallo, scema.»

«Oh. Sì. A cavallo. E poi ci accampiamo.»

«Ganzo.»

«Forse dovresti andarci tu al posto mio.»

«O potrei semplicemente venire lassù per un saluto.»

«Quello sarebbe una figata.» Una vampata di calore le fece arrossire di nuovo le guance.

La voce di suo padre tuonò dal fondo delle scale. «Trish, perché la tua borsa non è vicino alla porta? Bisogna che tu venga fuori immediatamente.»

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