Lodovico Ariosto - Orlando Furioso

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100

Le campane si sentono a martello
di spessi colpi e spaventosi tocche;
si vede molto, in questo tempio e in quello,
alzar di mano e dimenar di bocche.
Se 'l tesoro paresse a Dio sì bello,
come alle nostre openioni sciocche,
questo era il dì che 'l santo consistoro
fatto avria in terra ogni sua statua d'oro.

101

S'odon ramaricare i vecchi giusti,
che s'erano serbati in quelli affanni,
e nominar felici i sacri busti
composti in terra già molti e molt'anni.
Ma gli animosi gioveni robusti
che miran poco i lor propinqui danni,
sprezzando le ragion de' più maturi,
di qua di là vanno correndo a' muri.

102

Quivi erano baroni e paladini,
re, duci, cavallier, marchesi e conti,
soldati forestieri e cittadini,
per Cristo e pel suo onore a morir pronti;
che per uscire adosso ai Saracini,
pregan l'imperator ch'abbassi i ponti.
Gode egli di veder l'animo audace,
ma di lasciarli uscir non li compiace.

103

E li dispone in oportuni lochi,
per impedire ai barbari la via:
là si contenta che ne vadan pochi,
qua non basta una grossa compagnia;
alcuni han cura maneggiare i fuochi,
le machine altri, ove bisogno sia.
Carlo di qua di là non sta mai fermo:
va soccorrendo, e fa per tutto schermo.

104

Siede Parigi in una gran pianura,
ne l'ombilico a Francia, anzi nel core;
gli passa la riviera entro le mura,
e corre, ed esce in altra parte fuore.
Ma fa un'isola prima, e v'assicura
de la città una parte, e la migliore;
l'altre due (ch'in tre parti è la gran terra)
di fuor la fossa, e dentro il fiume serra.

105

Alla città, che molte miglia gira,
da molte parti si può dar battaglia:
ma perché sol da un canto assalir mira,
né volentier l'esercito sbarraglia,
oltre il fiume Agramante si ritira
verso ponente, acciò che quindi assaglia;
però che né cittade né campagna
ha dietro, se non sua, fin alla Spagna.

106

Dovunque intorno il gran muro circonda,
gran munizioni avea già Carlo fatte,
fortificando d'argine ogni sponda
con scannafossi dentro e case matte;
onde entra ne la terra, onde esce l'onda,
grossissime catene aveva tratte;
ma fece, più ch'altrove, provedere
là dove avea più causa di temere.

107

Con occhi d'Argo il figlio di Pipino
previde ove assalir dovea Agramante;
e non fece disegno il Saracino,
a cui non fosse riparato inante.
Con Ferraù, Isoliero, Serpentino,
Grandonio, Falsirone e Balugante,
e con ciò che di Spagna avea menato,
restò Marsilio alla campagna armato.

108

Sobrin gli era a man manca in ripa a Senna,
con Pulian, con Dardinel d'Almonte,
col re d'Oran, ch'esser gigante accenna,
lungo sei braccia dai piedi alla fronte.
Deh perché a muover men son io la penna,
che quelle genti a muover l'arme pronte?
che 'l re di Sarza, pien d'ira e di sdegno,
grida e bestemmia e non può star più a segno.

109

Come assalire o vasi pastorali,
o le dolci reliquie de' convivi
soglion con rauco suon di stridule ali
le impronte mosche a' caldi giorni estivi;
come li storni a rosseggianti pali
vanno de mature uve: così quivi,
empiendo il ciel di grida e di rumori,
veniano a dare il fiero assalto i Mori.

110

L'esercito cristian sopra le mura
con lance, spade e scure e pietre e fuoco
difende la città senza paura,
e il barbarico orgoglio estima poco;
e dove Morte uno ed un altro fura,
non è chi per viltà ricusi il loco.
Tornano i Saracin giù ne le fosse
a furia di ferite e di percosse.

111

Non ferro solamente vi s'adopra,
ma grossi massi, e merli integri e saldi,
e muri dispiccati con molt'opra,
tetti di torri, e gran pezzi di spaldi.
L'acque bollenti che vengon di sopra,
portano a' Mori insupportabil caldi;
e male a questa pioggia si resiste,
ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.

112

E questa più nocea che 'l ferro quasi:
or che de' far la nebbia di calcine?
or che doveano far li ardenti vasi
con olio e zolfo e peci e trementine?
I cerchi in munizion non son rimasi,
che d'ogn'intorno hanno di fiamma il crine:
questi, scagliati per diverse bande,
mettono a' Saracini aspre ghirlande.

113

Intanto il re di Sarza avea cacciato
sotto le mura la schiera seconda,
da Buraldo, da Ormida accompagnato,
quel Garamante, e questo di Marmonda.
Clarindo e Soridan gli sono allato,
né par che 'l re di Setta si nasconda;
segue il re di Marocco e quel di Cosca,
ciascun perché il valor suo si conosca.

114

Ne la bandiera, ch'è tutta vermiglia,
Rodomonte di Sarza il leon spiega,
che la feroce bocca ad una briglia
che gli pon la sua donna, aprir non niega.
Al leon sé medesimo assimiglia;
e per la donna che lo frena e lega,
la bella Doralice ha figurata,
figlia di Stordilan re di Granata:

115

quella che tolto avea, come io narrava,
re Mandricardo, e dissi dove e a cui.
Era costei che Rodomonte amava
più che 'l suo regno e più che gli occhi sui;
e cortesia e valor per lei mostrava,
non già sapendo ch'era in forza altrui:
se saputo l'avesse, allora allora
fatto avria quel che fe' quel giorno ancora.

116

Sono appoggiate a un tempo mille scale,
che non han men di dua per ogni grado.
Spinge il secondo quel ch'inanzi sale;
che 'l terzo lui montar fa suo mal grado.
Chi per virtù, chi per paura vale:
convien ch'ognun per forza entri nel guado;
che qualunche s'adagia, il re d'Algiere,
Rodomonte crudele, uccide o fere.

117

Ognun dunque si sforza di salire
tra il fuoco e le ruine in su le mura.
Ma tutti gli altri guardano, se aprire
veggiano passo ove sia poca cura:
sol Rodomonte sprezza di venire,
se non dove la via meno è sicura.
Dove nel caso disperato e rio
gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.

118

Armato era d'un forte duro usbergo,
che fu di drago una scagliosa pelle.
Di questo già si cinse il petto e 'l tergo
quello avol suo ch'edificò Babelle,
e si pensò cacciar de l'aureo albergo,
e torre a Dio il governo de le stelle:
l'elmo e lo scudo fece far perfetto,
e il brando insieme; e solo a questo effetto.

119

Rodomonte non già men di Nembrotte
indomito, superbo e furibondo,
che d'ire al ciel non tarderebbe a notte,
quando la strada si trovasse al mondo,
quivi non sta a mirar s'intere o rotte
sieno le mura, o s'abbia l'acqua fondo:
passa la fossa, anzi la corre e vola,
ne l'acqua e nel pantan fin alla gola.

120

Di fango brutto, e molle d'acqua vanne
tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,
come andar suol tra le palustri canne
de la nostra Mallea porco silvestre,
che col petto, col grifo e con le zanne
fa, dovunque si volge, ample finestre.
Con lo scudo alto il Saracin sicuro
ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.

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