Lodovico Ariosto - Orlando Furioso
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L'incognito campion che restò ritto,
e vide l'altro col cavallo in terra,
stimando avere assai di quel conflitto,
non si curò di rinovar la guerra;
ma dove per la selva è il camin dritto,
correndo a tutta briglia si disserra;
e prima che di briga esca il pagano,
un miglio o poco meno è già lontano.
Qual istordito e stupido aratore,
poi ch'è passato il fulmine, si leva
di là dove l'altissimo fragore
appresso ai morti buoi steso l'aveva;
che mira senza fronde e senza onore
il pin che di lontan veder soleva:
tal si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso.
Sospira e geme, non perché l'annoi
che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,
ma per vergogna sola, onde a' dì suoi
né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
e più, ch'oltre il cader, sua donna poi
fu che gli tolse il gran peso d'adosso.
Muto restava, mi cred'io, se quella
non gli rendea la voce e la favella.
– Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!
che del cader non è la colpa vostra,
ma del cavallo, a cui riposo ed esca
meglio si convenia che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca
che d'esser stato il perditor dimostra:
così, per quel ch'io me ne sappia, stimo,
quando a lasciare il campo è stato primo. —
Mentre costei conforta il Saracino,
ecco col corno e con la tasca al fianco,
galoppando venir sopra un ronzino
un messagger che parea afflitto e stanco;
che come a Sacripante fu vicino,
gli domandò se con un scudo bianco
e con un bianco pennoncello in testa
vide un guerrier passar per la foresta.
Rispose Sacripante: – Come vedi,
m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;
e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,
fa che per nome io lo conosca ancora. —
Ed egli a lui: – Di quel che tu mi chiedi
io ti satisfarò senza dimora:
tu dei saper che ti levò di sella
l'alto valor d'una gentil donzella.
Ella è gagliarda ed è più bella molto;
né il suo famoso nome anco t'ascondo:
fu Bradamante quella che t'ha tolto
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. —
Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto
il Saracin lasciò poco giocondo,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto avvampato di vergogna in faccia.
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
ebbe pensato invano, e finalmente
si trovò da una femina abbattuto,
che pensandovi più, più dolor sente;
montò l'altro destrier, tacito e muto:
e senza far parola, chetamente
tolse Angelica in groppa, e differilla
a più lieto uso, a stanza più tranquilla.
Non furo iti due miglia, che sonare
odon la selva che li cinge intorno,
con tal rumore e strepito, che pare
che triemi la foresta d'ogn'intorno;
e poco dopo un gran destrier n'appare,
d'oro guernito e riccamente adorno,
che salta macchie e rivi, ed a fracasso
arbori mena e ciò che vieta il passo.
– Se l'intricati rami e l'aer fosco,
(disse la donna) agli occhi non contende,
Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bosco
con tal rumor la chiusa via si fende.
Questo è certo Baiardo, io 'l riconosco:
deh, come ben nostro bisogno intende!
ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,
e ne viene egli a satisfarci ratto. —
Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,
e si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
che fu presto al girar come un baleno;
ma non arriva dove i calci apposta:
misero il cavallier se giungea a pieno!
che nei calci tal possa avea il cavallo,
ch'avria spezzato un monte di metallo.
Indi va mansueto alla donzella,
con umile sembiante e gesto umano,
come intorno al padrone il can saltella,
che sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d'ella,
ch'in Albracca il servia già di sua mano
nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.
Con la sinistra man prende la briglia,
con l'altra tocca e palpa il collo e 'l petto:
quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,
a lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
lascia la groppa, e si ripone in sella.
Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir sonando d'arme un gran pedone.
Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,
che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l'ama egli e desira;
l'odia e fugge ella più che gru falcone.
Già fu ch'esso odiò lei più che la morte;
ella amò lui: or han cangiato sorte.
E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane:
d'amoroso disio l'una empie il core;
chi bee de l'altra, senza amor rimane,
e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge;
Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.
Quel liquor di secreto venen misto,
che muta in odio l'amorosa cura,
fa che la donna che Rinaldo ha visto,
nei sereni occhi subito s'oscura;
e con voce tremante e viso tristo
supplica Sacripante e lo scongiura
che quel guerrier più appresso non attenda,
ma ch'insieme con lei la fuga prenda.
– Son dunque (disse il Saracino), sono
dunque in sì poco credito con vui,
che mi stimiate inutile e non buono
da potervi difender da costui?
Le battaglie d'Albracca già vi sono
di mente uscite, e la notte ch'io fui
per la salute vostra, solo e nudo,
contra Agricane e tutto il campo, scudo? —
Non risponde ella, e non sa che si faccia,
perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso,
che da lontan al Saracin minaccia,
come vide il cavallo e conobbe esso,
e riconobbe l'angelica faccia
che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che seguì tra questi duo superbi
vo' che per l'altro canto si riserbi.
CANTO SECONDO
Ingiustissimo Amor, perché sì raro
corrispondenti fai nostri desiri?
onde, perfido, avvien che t'è sì caro
il discorde voler ch'in duo cor miri?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel più cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m'ha in odio vuoi ch'adori ed ami.
Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando le parea bello e l'amava ella,
egli odiò lei quanto si può più odiare.
Ora s'affligge indarno e si flagella;
così renduto ben gli è pare a pare:
ella l'ha in odio, e l'odio è di tal sorte,
che più tosto che lui vorria la morte.
Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
gridò: – Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e levar questa donna anco ti voglio;
che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Sì perfetto destrier, donna sì degna
a un ladron non mi par che si convegna. —
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