E adesso, attenzione…
Ai lettori che si sono allenati guardando le soap-opere latino-americane non sara difficile seguire il filo del discorso, chi invece non è preparato, molto probabilmente dovrà rileggere il seguente paragrafo più volte. Purtroppo non si può fare a meno di queste informazioni, perchè sono strettamente collegate al imperatore Costantino Il Grande e il Laterano.
Per rafforzare i legami tra i membri della tetrarchia, si decise che avrebbero dovuto imparentarsi nel senso letterale della parola. Chi era sposato fu fatto divorziare e chi era scapolo fu fatto sposare. Una delle mogli dell’imperatore Massimiano era la siriana Eutropia, che aveva una figlia dal precedente matrimonio – Teodora. E fu questa Teodora, figliastra di Massimiano che fu data in sposa a Costanzo Cloro dopo il divorzio dalla moglie Elena. A Massimiano invece Eutropia diede alla luce il figlio Massenzio e la figlia Fausta. Nel 307 Fausta fu data in sposa a Costantino, figlio di Costanzo Cloro e della sua prima moglie Elena.
Vi siete persi? Se è così allora ricapitoliamo tutto dal punto di vista di Costantino…
Suo padre Costanzo Cloro, dopo aver divorziato dalla miglie Elena si unì un matrimonio alla figliastra del comandante Massimiano. Quest’ultimo, dopo essersi ritirato, diede in sposa a Costantino sua figlia Fausta. Sposata Fausta, Costantino ricevette quindi anche la tenuta Domus Faustae, che un tempo appartenne a Plauzio Laterano (proprio quello che fu giustiziato per avere preso parte al complotto contro Nerone).
Due anni prima del matrimonio tra Costantino e Fausta, attenendosi alla legge di Diocleziano, sia Diocleziano che Massimiano abdicarono dal trono. Diventato augusto, Costanzo I Cloro partì per la Britannia per combattere i pitti, ma un’anno dopo morì, dopo aver fatto in tempo a chiamare Costantino per dirgli addio. Dopo la morte di Costanzo Cloro, i suoi soldati, rispettando le ultime volontà del generale, insignirono Costantino della carica di Augusto.
Allo stesso tempo a Roma, Massenzio, con l’aiuto delle guardie pretoriane
salì al potere. Costantino, con molta magnianimità riconobbe la carica di augusto del suo futuro cognato. Non ci soffermeremo sugli interessanti dettagli delle lotte per il trono che imperversarono negli anni seguenti, ma faremo solo un cenno a Diocleziano, che a quei tempi si era ritirato. Nel film amato da tutti «Moscva slezam ne verit» (Mosca non crede alle lacrime) di lui così parlò l’eroe del film, il meccanico Gosha: «c’era una volta questo imperatore romano Diocleziano. Durante il massimo splendore del suo impero rinunciò al trono e si ritirò in campagna. Alle richieste di tornare a regnare lui rispose: «se aveste visto che bei cavoli ho fatto crescere la piantereste di cercare di convincermi».
All’opposto di Diocleziano, ne Massimiano, ne Massenzio, ne Costantino volevano crescere vegetali, tantomeno diventare tali. Nel 310, il suocero di Costantino, Massimiano cercò di conquistare la Gallia del sud e riprendersi il trono, ma fu sconfitto e si suicidò. Massenzio, incolpando Costantino dell’uccisione del padre, fece distruggere tutte le statue che lo raffiguravano e fece togliere il suo nome da tutti gli edifici pubblici. Questo fu un’atto di sfida aperta per l’avversario. Approfittando dell’occasione, il Senato si rivolse a Costantino con la richiesta di liberare al più presto Roma da Massenzio, il regno del quale era diventato una crudele tirannia. Costantino accettò, ma solo con la condizione che Roma lo avesse dichiarato liberatore, ma in nessun caso, conquistatore. Dopo aver ottenuto una risposta positiva, nel 312 Costantino mosse le prorie truppe contro Massenzio. Ed è prorio allora che accadde il fatto che cambiò radicalmente la storia…
Per la prima volta questo avvenimento venne menzionato nell’opera «vita di Costantino», scritto in greco da un contemporaneo dell’imperatore, lo storico Eusebio di Cesarea. Riportando le parole di Costantino, Eusebio scrive, che alla vigilia della battaglia, l’imperatore ebbe una visione sotto forma di una croce che brillava sotto al sole che tramontava e recante la scritta «ἐν τούτῳ νίκα» (in slavo-ant. «Cим победиши», o «con questo vinci», lat. in hoc signo vinces). Scosso da quello che vide, Costantino ordinò di raffigurare la croce sugli scudi dei propri soldati che si stavano preparando per la battaglia.
Costantino si scontrò con Massenzio non lontano da Roma vicino al ponte Milvio che attraversava Tevere. Dopo un breve scontro, le truppe di Massenzio, che erano in superiorità numerica, ad un tratto cominciarono a ritirarsi. Preso dal panico, Massenzio cercò di attraversare il fiume a nuoto, ma la pesante armatura lo fece andare a fondo allo stesso modo del comandante Ermak Timofeevič 23 23 Militare russo cosacco, comandante in capo delle truppe russe che invasero il khanato di Sibir tra il 1579 e il 1585, esploratore della Siberia.
. Su ordine di Costantino, il corpo dell’annegato venne tirato fuori dall’acqua e decapitato, e il 28 ottobre 312 Costantino entrò trionfalmente a Roma. Davanti a lui veniva portata la testa di Mascenzio infilzata su di una picca. La gente esultava nel salutare Costantino, e in onore di questa vittoria nella capitale venne costruito il famoso arco di Costantino – l’unico monumento eretto per celebrare la vittoria in una guerra civile e non esterna.
Costantino fece giustiziare i due figli del suo nemico, ma sciolse, e a sorpresa di tutti, concesse l’amnistia, alle truppe della guardia imperiale che contavano mille persone e che combatterono per Massenzio. Oltretutto le guardie continuarono ad occupare le caserme costruite ai tempi di Settimio Severo sul colle Laterano.
Ora volgiamo lo sguardo ad un’altro fatto. Il palazzo che apparteneva a Costantino e Fausta si trovava vicino alle caserme delle guardie, alle quali fu concessa l’amnistia. Dopo il suo trionfo, Costantino fece il giusto ragionamento che averli come vicini avrebbe potuto rappresentare un pericolo. La migliore scusa per liberarsi dei suoi nemici una volta per tutte con un valido motivo era di fare un’offerta al Dio che l’aiutò nella battaglia decisiva. A quel Dio, simbolo del quale è la croce. Il pagano Costantino ordinò di demolire le caserme e di donare al «sommo sacerdote» dei cristiani lo spazio liberato per la costruzione del tempio e della dimora dei praticanti del culto. Questo «sacerdote» a quei tempi era il papa Miltiade (311—314).
Oltretutto, il miracolo della croce impressionò talmente tanto Costantino, che all’inizio del 313, emanando l’editto di Milano insieme all’altro augusto, Licinio 24 24 Flavio Galerio Valerio Licinio o Licinio, imperatore romano negli anni 308—324.
, sancì la libertà di confessione di tutte le religioni, secondo il quale, il tradizionale culto pagano romano perdeva il ruolo di religione ufficiale. A differenza dell’editto di Nicomedia, emanato due anni prima dall’imperatore Galerio 25 25 Gaio Galerio Valerio Massimiano o Galerio, imperatore romano negli anni 293—311.
, che legalizzava il cristianesimo, l’editto di Milano prevedeva la restituzione ai cristiani e alle comunità cristiane di tutti i loro possedimenti sottrattigli durante le persecuzioni.
Praticamente subito dopo la firma dell’editto di Milano, a Roma si cominciarono a costruire chiese in massa, ma siccome prima di allora non erano mai state edificate, molto spesso l’ideazione delle caratteristiche di ognuna di esse o si basava sulle metodologie pagane o sull’intuizione. Anche sul colle Laterano si cominciò a costruire molto. Nel luogo dove risiedevano le caserme donato alla chiesa, furono costruiti, seguendo la monumentalità tipica di Roma, il palazzo del Patriarchio, dimora dei papi, e la basilica in onore del salvatore. Il 9 novembre 318 tutti e due gli edifici furono consacrati dal nuovo papa – Silvestro I, che li proclamò Casa del Signore (lat. Domus Dei). Nel 326 ai possedimenti della chiesa si aggiunse anche la tenuta di Fausta. Questo fatto fu preceduto da un triste avvenimento. L’amata miglie di Costantino calunniò il suo figlio, Crispo, avuto dal primo matrimonio, incolpando il figliastro di molestie. Furioso, il padre, senza pensarci due volte, fece giustiziare il figlio, ma quando l’inganno di Fausta venne scoperto, su ordine di Costantino la donna venne fatta cuocere viva nell’acqua bollente delle terme. L’imperatore maledì la stesso ricordo della moglie (lat. memoria domnata), e donò al Signore la casa che si era liberata.
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