Il medico di bordo entrò. "Come è messo?" chiese all'infermiere.
“Piuttosto male: ha gran parte del corpo bruciata, ha delle ferite aperte piene di petrolio. Ho fatto del mio meglio per pulirlo ma avrà bisogno di molto più aiuto di quello che possiamo fornirgli qui."
Il dottore andò verso Ernest e sollevò il lenzuolo. "Ho veramente freddo. Può accendere il fuoco?" disse Ernest.
"Sì, lo farò fare all'infermiere". Guardò le ferite e il volto di Ernest, ora diventato grigio e privo di colore a causa di tutte le ferite aperte sul suo corpo. Sussurrò all'infermiere "Temo che questo povero tizio probabilmente sia arrivato alla fine. Lo faccia stare solo il meglio che può – morfina ogni volta che ne ha bisogno e continui a lavare e pulire quelle ferite. É tutto quello che possiamo fare – farlo stare a suo agio. Dubito che supererà la notte."
Invece ce la fece. Quella notte e molte altre. Il mattino successivo il medico rimase sorpreso nello scoprire che Ernest respirava ancora e che anche un po' di colore gli era tornato sulle guance. L'infermiere, al contrario, sembrava pallido ed esausto. "Ha fatto un gran lavoro" disse il dottore. "Come è riuscito a pulirlo così bene?"
"Dottore, non posso lasciarlo morire, sembra essere l'unico sopravvissuto- poveraccio! Ho lavorato sulle ferite e pulito quanto più petrolio e fuliggine potevo. É ancora un disastro, ma credo che le ferite principali siano pulite e che nessuna di loro sia così profonda. Le bruciature sono brutte, ma le ho pulite e l'ho fatto stare il più a suo agio possibile. Fortunatamente è rimasto privo di sensi per la maggior parte del tempo a causa di tutta la morfina che gli ho iniettato."
"Bene, si prenda un po' di riposo, ora lo controllerò."
Ernest perse e riprese conoscenza più volte mentre il dottore lo esaminava ed esplorava attentamente, fischiettando un motivetto e borbottando tra sé "sì, brutta ustione, taglio netto, non rotto. Fortunato." Aiutato da un nuovo infermiere, mise della tintura di iodio sulle ferite peggiori, mettendo dei punti qui e là, e spalmando dell'unguento sulle ustioni.
Alla fine, ebbe terminato. “Riesce a sentirmi?" chiese. Ernest annuì. "Credo – spero – che lei sia un tipo molto fortunato. Ha dei tagli e delle ammaccature molto brutti, e qualche forte bruciatura, ma non sono così brutte come sembravano prima che la pulissimo. Dovrebbe ringraziare il nostro infermiere, ha fatto un gran lavoro di pulizia su di lei. Ora le copriremo. Stiamo tornando a Scapa Flow. Dovrebbe essere in ospedale prima di domani."
La nave attraccò più tardi quella notte. L'infermiere che si era preso cura di lui all'inizio era di nuovo di turno e lo svegliò. “Come si sente, amico? Abbiamo attraccato ora, fra poco la porteremo giù.”
“Sto bene,” disse Ernest – non sentendosi bene per nulla.
“Bravo. Tenga duro.”
Gli assistenti che arrivarono per trasportarlo portarono una barella. Fecero scivolare una coperta sotto di lui, sollevando con attenzione prima le sue gambe e poi il busto. Si trattenne dall’urlare quando toccarono le sue bruciature. Quando la coperta fu a posto, quattro uomini lo alzarono con attenzione e lo portarono sulla barella che sollevarono e portarono fuori dal reparto verso il ponte all'esterno. Dovettero piegare la barella per scendere lungo la passerella per arrivare al molo e salire sull'ambulanza in attesa e lui non poté fare a meno di strillare quando le bende sfregarono contro la sua pelle rovinata.
Dopo una corsa fortunatamente breve, Ernest fu tirato fuori, trasportato in ospedale e portato in un reparto con i sopravvissuti delle altre navi britanniche – troppo pochi se paragonati al numero di marinai che erano morti in azione. Le loro sofferenze trasparivano dai loro volti grigi e dalle loro smorfie di dolore. Fu trasportato su un letto. Di nuovo il movimento della coperta fu molto doloroso ma Ernest, guardando il pover’uomo nel letto vicino al suo, si rese conto che il suo dolore non era peggiore di quello di chiunque altro. Il marinaio aveva un telo che impediva di vederne le gambe ed entrambe le mani vistosamente bendate, come pure la testa. Era disteso lì, in silenzio, privo di conoscenza, bianco come le lenzuola sopra di lui, respirando a malapena. Più tardi quella notte, quando Ernest lo guardò, i suoi respiri si fecero ancora più superficiali e meno frequenti fino a quando Ernest si rese conto che aveva semplicemente smesso di respirare. Al mattino un'infermiera arrivò. Diede un'occhiata al poveretto, uscì e chiamò gli assistenti che arrivarono e senza tante cerimonie sollevarono il corpo su una barella e lo portarono via. Solo quando il telo fu rimosso Ernest si rese conto che non c’erano entrambe le gambe.
Per molto giorni Ernest rimase nel letto d'ospedale, le sue ferite periodicamente pulite e disinfettate. In alcuni giorni il dolore era così forte che ebbe il desiderio di mollare – ma i ricordi dell'equipaggio che era morto lo fecero andare avanti. “Non morirò, non morirò – non avranno anche me” fu il suo mantra.
Più tardi fu trasferito in un ospedale a Londra specializzato nel trattare le ustioni come le sue. Il suo corpo era sfregiato ma stava guarendo. Il dolore stava diventando un ricordo sbiadito, anche se la rigidità delle cicatrici sulla sua pelle bruciata, che tiravano le ferite che stavano guarendo, continuava a fargli compagnia.
All'inizio del 1918 fu in grado di tornare dalla sua famiglia a Deal nel Kent, per completare la convalescenza. Anche se provava ancora dolore per le ustioni, che dovevano essere medicate ogni giorno, i tagli erano guariti e le sue ammaccature era tutte scomparse.
Come gli avevano detto i medici prima di dimetterlo, ogni giorno, per stare in forma e recuperare, camminava per un paio di chilometri da casa sua lungo il Church Path – un bel sentiero tranquillo che attraversava solo un paio di strade prima di arrivare al mare. All'inizio questa camminata gli richiese più di due ore faticose e dolorose. In ospedale gli erano stati dati dei bastoni da passeggio e vi si appoggiò con forza. Era completamente preso dallo sforzarsi nel fare un passo doloroso dopo l'altro. A poco a poco, però, la forza ritornò e fu in grado di godersi il tepore quando arrivò l’estate.
Aveva un controllo settimanale presso un medico, il dottor Field, di stazza presso la caserma della Marina a Walmer. All'inizio Field aveva dovuto controllare le bende e assicurarsi che le ferite stessero guarendo bene. In seguito, tolse i punti e disse a Ernest che non c'era più bisogno di vederlo ogni settimana. “Sta facendo buoni progressi, Tenente. Lei come si sente?”
“Piuttosto bene nel complesso, dottore. Ma continuo ad avere gli incubi.”
“Sì, me ne ha già parlato. Non è sorprendente visto quello che ha passato.”
“Sento che mi cedono completamente i nervi. Mi sveglio la maggior parte delle notti madido di sudore freddo e non riesco a tornare a dormire. Vedo i marinai che scompaiono in una palla di fuoco davanti a me e io sono come bloccato al suolo. Voglio aiutarli ma sono terrorizzato.”
“Come le ho detto, non è per nulla sorprendente. Sia paziente, sta andando veramente bene. Ha ancora bisogno dei bastoni?”
Ernest indicò l'unico bastone vicino alla sua sedia. “Come vede, ora sono passato a uno. Suppongo di non averne realmente bisogno ma è rassicurante averlo con me.”
“Credo che una volta che smetterà di usarlo, si sentirà molto meglio.”
All'inizio dell'estate, smise di usare i bastoni. Ogni giorno, arrivato al mare, camminava lungo il molo in mattoni dove le barche dei pescatori ondeggiavano sul mare attaccate a grosse funi collegate a grossi argani ancorati sulla spiaggia. Il rumore delle onde sulla spiaggia di ciottoli divenne il suo compagno e apprezzò molto la vista al di là dell'acqua grigia verso Goodwin Sands dove, in una giornata limpida, si potevano chiaramente vedere gli alberi delle navi affondate.
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