Powell Michael - Quattro Destini

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Quattro Destini: краткое содержание, описание и аннотация

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Quattro giovani di quattro nazionalità si incontrano in Germania prima della guerra. Il loro destino è di morire contemporaneamente in guerra in un isola dell'Egeo. l libro racconta le vite di quattro giovani uomini, tutti nati nel 1920, Godfrey (inglese), Rolf (tedesco), Marco (italiano) e Yiannis (greco) e delle loro famiglie. Marco eYiannis provengono dalla piccola isola di Leros, all'epoca parte delle isole del Dodecanneso governate dall'Italia. Si incontrano tutti nel 1936 al raduno della gioventù di Norimberga dove Godfrey fa visita a Rolf on nell'ambito di uno scambio studentesco e Marco è invitato a trovare il suo secondo cugino, Rolf, insieme al suo amico Yiannis. Quando scoppia la guerra i quattro si mettono al servizio delle loro nazioni in vari campi di battaglia. Nel 1943, l'Italia passa con gli Alleati e le loro vite si riuniscono di nuovo quando Yiannis, diventato un marinaio nell'importante cacciatorpediniere greco, ‘Queen Olga’, trasporta le truppe britanniche a Leros e incontra Godfrey, ora un membro del British Long Range Desert Group, e Marco, in servizio per l'esercito italiano a Leros. Rolf, ora di base in Grecia come pilota di bombardieri ha in sorte di lanciare una delle bombe che affonda l'Olga e, come atto finale prima che il suo aereo precipiti, di mitragliare la batteria antiaerea di Marco.

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Infilò le braccia nello scomodo aggeggio, tirando le cinghie attorno a lui mentre raggiungeva il ponte dove c'era il sottufficiale capo. “Bene, signore. Ora, se non le dispiace.” Il sottufficiale smise improvvisamente di parlare, guardando con orrore alle spalle di Ernest.

Ci fu un improvviso rumore fastidioso, come un treno che uscisse da un tunnel a tutta velocità, un forte colpo e un bagliore di fuoco quando i proiettili colpirono la poppa della nave. L' ‘Indefatigable’ sbandò e perse il controllo. Ernest sentì un'ondata di aria calda che lo spinse indietro e lo fece girare. Rimase sconvolto nel vedere l'intera poppa coperta di fumo nero oleoso e di scure fiamme che non presagivano nulla di buono. “Mio Dio – Arnold.”

“Non si preoccupi di questo, ragazzo mio, estragga quella manica antincendio, subito.” Ordinò il sottufficiale al suo gruppo di vigili del fuoco mentre Ernest, scioccato dall'intensità delle fiamme provenienti dal retro cercava di decidere cosa fare. “Bene ragazzi, calmiamoci e usiamo quel manicotto antincendio, va bene?” suggerì il sottufficiale.

“Giusto,” disse Ernest. “Più veloci che potete, srotolate il manicotto.” Un marinaio tirò fuori il manicotto, srotolandolo dalla ruota attorno alla quale era arrotolato, mentre un altro armeggiava con il tappo pesante. “Aspetta – non accenderla fino a quando è pronto il manicotto” disse Ernest. Un altro rumore di proiettili e altri tonfi risuonarono mentre i marinai tiravano il manicotto lungo il ponte verso il fuoco nella parte posteriore. Presto l'intensità del fuoco divenne così forte che non poterono avvicinarsi di più ed Ernest diede l'ordine di aprire il pesante tappo. L'acqua proruppe nel manicotto che divenne rigido per la pressione interna. Ernest aiutò il marinaio che reggeva la parte finale a tenerla ferma e a indirizzare il getto verso le fiamme. Sembrò che non facesse alcuna differenza. L'intensità delle fiamme, alimentata dal carburante e dal legno dei ponti stava crescendo. I proiettili nelle torrette al centro delle fiamme iniziarono a esplodere con colpi sordi e inquietanti, costringendo gli uomini con gli abiti in fiamme e la carne che friggeva per l'intenso calore a correre urlanti verso i vigili del fuoco.

Il fuoco, consumato tutto il combustibile, cominciò ad essere sotto controllo e sembrò che la nave potesse reggere, anche se malridotta. Ma poi un altro proiettile a lungo raggio sparato dall'aggressore tedesco, colpì casualmente la nave nel posto peggiore possibile – la torretta leggermente corazzata nella parte anteriore – e ci fu una forte esplosione che travolse il ponte. Una palla rotolante di fiamme incandescenti andò verso i vigili del fuoco travolgendo il sottufficiale e gli uomini con lui al manicotto. Ernest sentì il manicotto afflosciarsi quando lo scoppio lo colpì e si sentì trasportato in aria, poi colpì il parapetto e finì in mare. Terrorizzato ebbe il pensiero folle "che schifo di modo per morire".

Colpì l'acqua come un sasso, rimbalzò, facendo uscire tutta l'aria dai polmoni, e ricadde di nuovo sotto la superficie. Lottando con i suoi vestiti e l'ingombrante giubbotto di salvataggio, nuotò verso la superficie, scacciando il panico. Uscì dall'acqua e disperatamente prese una boccata d'aria a pieni polmoni. Il giubbotto di salvataggio era attorno al suo mento, ma lo aveva portato a galla e le istruzioni del sottufficiale lo avevano salvato. In qualche modo era riuscito a liberarsi delle scarpe e stava fluttuando libero.

Ernest si rese conto di essere finito parecchio distante dalla nave che ora era completamente avvolta da una infernale palla di fumo e fiamme. Disperatamente cominciò a nuotare per allontanarsi, rendendosi conto che la nave poteva esplodere di nuovo in qualsiasi istante. Ma la nave colpita non esplose. Lentamente, quasi con cautela si mosse in avanti e, come una enorme anatra, mostrò la parte posteriore al cielo e quindi scivolò, con i motori ancora accesi, verso il basso con un orribile suono lacerante di risucchio, lasciando dietro di sé un turbine di acqua fumante che provò a portarlo con sé nel gorgo lasciato dalla nave che affondava. Per due, tre volte fu tirato al di sotto della superficie e, in preda al panico, fu costretto a spingersi fuori e a respirare prima di essere di nuovo tirato sotto. Alla fine – sembravano fossero passate delle ore –la pressione verso il basso si calmò e fu in grado di galleggiare, sentendo ora il dolore intenso dell'acqua salata contro la sua schiena che, senza che se ne fosse reso conto, protetta solo dalla giacca e dalla camicia che stava indossando quando era uscito di corsa dall'alloggio degli ufficiali, era stata bruciata dalla forte palla di fuoco che l'aveva gettato in mare.

Si guardò attorno alla ricerca di segni di vita – qualcuno – qualcosa. Tutto quello che fu in grado vedere, però, furono dei detriti galleggianti e qualche cappello da marinaio. Un'enorme bolla esplose con un orribile suono nel punto in cui la nave era affondata, spruzzandolo d'acqua piena di petrolio, seguita da un'ondata che quasi lo fece andare a fondo di nuovo. Se non avesse notato una grossa tavola di legno galleggiante nelle vicinanze, non avrebbe mai avuto la forza di restare a galla nell'acqua che, come si rese conto solo in quel momento, era completamente gelida.

Notò un piccolo cacciatorpediniere che si dirigeva velocemente verso il luogo dove era affondata la grande nave. L’imbarcazione rallentò quando si avvicinò e i marinai si affollarono sul ponte alla ricerca di sopravvissuti. Riuscì a sollevare un braccio e ad agitarlo debolmente verso di loro. L'imbarcazione passò oltre, facendo quasi rovesciare la sua fragile zattera. I marinai stavano guardando verso di lui, ma si rese conto che sui loro volti non c'era alcuna traccia che lo avessero notato quando cercò di urlare per sovrastare il rumore del passaggio della nave. Riuscì a sollevarsi un po' e ad agitare di nuovo il braccio, le sue grida sempre più flebili per lo sforzo, ma, questa volta fu ricompensato da uno dei marinai che all'improvviso indicò verso di lui e urlò verso i suoi compagni. Il marinaio tenne la sua mano puntata nella direzione di Ernest secondo quanto insegnatogli dagli istruttori della Marina nel classico caso di “uomo in mare”, fino a quando la nave rallentò e si girò. L'ufficiale preposto si allontanò velocemente per dare le indicazioni a un altro gruppo affinché preparassero una delle scialuppe di salvataggio del cacciatorpediniere. La barca fu calata in mare e i marinai ai remi diedero il massimo, dirigendo la piccola barca verso Ernest. Quando cominciò a perdere la presa del pezzo di legno si sentì tirato a bordo dai marinai. Mani gentili e generose lo coprirono con delle coperte e lui perse conoscenza quando lo portarono sulla nave.

****

"Vorrebbe lasciare la coperta ora, tenente? Gliene daremo una pulita e asciutta."

Ernest, ancora semi incosciente si ritrovò aggrappato alla coperta che gli avevano dato quando lo avevano salvato, come se la sua vita dipendesse da essa.

"Cosa? Oh, sì, grazie, grazie mille" disse, ma non la lasciò ancora.

Il paziente infermiere gentilmente gli aprì le dita e tolse la coperta, "ora dobbiamo svestirla e pulirla, OK."

Ernest sentì l'infermiere tagliargli gentilmente i vestiti ed emettere un suono quando vide cosa c'era sotto. "Tanto brutto?" disse gemendo Ernest, all'aumentare del dolore quando l'infermiere tirò i pezzi di vestiti a brandelli attaccati alla sua carne massacrata.

"Un bel disastro, amico. Non si preoccupi, ho visto di peggio" – non gli era mai capitato – "lo sistemeremo, non si agiti."

Continuò gentilmente a tagliare via i vestiti di Ernest, emettendo dei versi di disapprovazione mentre lo faceva. Usando dell'ovatta imbevuta d'acqua fredda, bagnò e pulì con attenzione quanto poteva, cercando di ignorare i gemiti di dolore di Ernest. “Tenga duro, non manca molto. Ecco, fatto per ora” disse, distendendo finalmente un lenzuolo sopra Ernest.

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