Federico Moccia - Ho voglia di te

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piangere. Per un attimo vorrei avere qualcosa dietro per rompere

quel lucchetto. Ti odio, Step!

Risalgo in macchina e parto. Me ne vado in giro così, senza sapere

bene dove andare. Per un bel po'. Non so quanto. Non lo so.

So solo che ora cammino al mare. Persa nel vento, distratta dalle

onde, dalla cantilena delle correnti. Ma sto di un male. E poi mi

sento così stupida. Non ci credo, non è possibile. Mi manca da

morire

quello stronzo, mi manca tutto quello che avevo sognato. Sì,

certo, lo so, qualcuno mi potrebbe dire: "Ma Gin è normale. Cosa

ti aspettavi? Era la sua ragazza! Step è partito per l'America per

quanto stava male. È normale che ci sia ricaduto! ". Ah, sì? Ma

sentilo.

Dice così il tipo... Be', allora si dà il caso che io non sono per

niente normale, hai capito? Non mi ci sento e soprattutto non me

ne frega niente! Sì, è così. E allora? L'hai capito o no,

portasfiga

che non sei altro... Ah, ma io lo so, ne sono certa... Tu avevi

pensato

fin dall'inizio che sarebbe accaduto tutto questo, vero? Da

quando è iniziata la nostra storia... Be', sai che ti dico brutto

jellatore

che non sei altro? A me non me ne frega proprio niente di

niente. Perché io sono pazza! Va bene? Sì, sono pazza. Pazza di

lui

è vero, e di tutto quello che avevo sognato. Quindi te lo dico

subito,

se ti incontro, io ti spacco la faccia. Anzi no, meglio. Visto che

proprio lui insisteva tanto su questo, ti faccio un terzo dan che

te

lo ricordi a vita. E poi tu non puoi neanche immaginare quanto io

lo abbia desiderato.

Capitolo 76.

L'infermiere di turno è seduto davanti a un monitor. È sempre

lo stesso. Finisce di battere qualcosa al computer e poi mi vede

entrare.

Mi riconosce. S'irrigidisce di botto. Poi allarga le braccia,

accenna

un mezzo sorriso come a dire-: "Certo, certo, non è l'orario

ma puoi entrare".

"Grazie." Mi viene da ridere. Ma non è giusto. Mi sento anche

un po' in colpa. E non solo per questo. Lo so. Non mi piace

cambiare

le regole con la violenza. Ma ho bisogno di vedere mia madre.

Ora che l'ho ritrovata. Percorro il corridoio in silenzio. Dalle

camere

ai lati mi arrivano respiri affannati e doloranti. Tutto intorno

un

odore di pulito e di lavande. Ma un non so che di falso. Un uomo

si

trascina in pigiama con la barba incolta e gli occhi spenti. Ha

sottobraccio

una "Gazzetta dello Sport" di un rosa accartocciato. Forse

l'acquisto da parte della sua squadra di un nuovo giocatore

potrebbe

in qualche modo riaccenderlo. Chissà. Nel dolore le cose più

semplici

e banali assumono un valore inaspettato. Tutto diventa un

qualsiasi

appiglio per la vita, un interesse che in qualche modo ci possa

distrarre. Eccola. Sta riposando. Persa in un cuscino molto più

grande

del suo piccolo viso. Mi vede e sorride.

"Ciao, Stefano..."

Prendo una sedia lì vicino e mi metto ai piedi del suo letto.

"Allora?"

Mi guarda interrogativa. So già a cosa allude.

"Niente, non ce l'ho fatta. Mi dispiace. Gliel'ho detto."

"E com'è andata?"

"Mi ha picchiato."

"Oh, finalmente una che ti mena. Hai scelto la strada più

difficile.

È una ragazza molto particolare? "

La descrivo.

"E ho una foto."

Gliela faccio vedere. È curiosa. Piccole rughe appaiono sul suo

viso. Poi un sorriso di sorpresa. Poi di nuovo un segno di dolore

da

qualche parte nel suo corpo, nascosta, ben nascosta. Purtroppo.

"Ti devo dire una cosa..."

Mi preoccupo. Se ne accorge.

"No, Stefano. Non è niente d'importante... Cioè lo è, ma non

ti devi preoccupare."

Rimane per un po' in silenzio. Indecisa se dirmelo o no. Sembriamo

tornati a tanto tempo prima, quando io ero piccolo e lei,

lei stava bene. Mi faceva gli scherzi, mi nascondeva le cose, mi

prendeva

in giro, ci mettevamo a ridere. Mi viene da piangere. Non ci

voglio pensare.

"Allora, mamma, mi dici?"

"Io la conosco, Ginevra."

"La conosci?"

"Sì, hai molto gusto, cioè lei ha avuto molto gusto... insomma

è lei che ti ha scelto e tu hai combinato questo guaio..."

Preferisco non pensarci.

"Ma come la conosci? Cioè, come hai fatto?"

"Mi ha fatto giurare di non dirtelo. Come ho fatto? È lei che

mi ha voluto conoscere. Vedevo sempre questa ragazza che aspettava

sotto casa. Veniva spesso. All'inizio ho pensato che aspettasse

qualcuno che abitava nel palazzo. Poi però quando partivo con la

macchina la vedevo andar via. "

"E allora?"

"Allora un giorno me la trovo al supermercato e ci siamo urtate.

Non so se è stato un caso. Abbiamo fatto amicizia... Ci siamo

messe a parlare..." Tossisce. Si sente male. Lo sforzo è stato

tanto.

Cerca nell'aria dell'ossigeno, della vita, qualcosa... ma non

trova

nulla. Poi mi guarda e i suoi occhi pieni d'amore, di dolcezza,

occhi

di una donna che vorrebbe gridare. Ehi, che fai? Perché mi

guardi così? Sono tua mamma! Non puoi provare compassione per

me. E allora io torno suo figlio, egoista, ragazzino, insomma

proprio

come mi vuole lei.

"Allora, mi racconti bene?"

"Sì. Abbiamo fatto amicizia, non so come, ma abbiamo cominciato

a chiacchierare... Lei non sapeva che l'avevo già vista sotto

casa. Be', insomma, non ne sono tanto sicura. Fatto sta che le ho

raccontato un po' di me, di papà, di Paolo, di te..."

"Cosa le hai raccontato di me?"

"Di te?"

"Eh, di me e di chi sennò?"

"Che ti voglio bene, che mi mancavi, che eri andato fuori, che

saresti tornato... alla fine sembrava incuriosita della nostra

storia.

E chiedeva sempre se avevi telefonato... se ti eri fatto sentire."

"E tu?"

"E io che potevo dirle? Non sapevo mai niente di te. Poi ho saputo

che saresti tornato quel giorno, quando me lo ha detto Paolo

che ti sarebbe venuto a prendere all'aeroporto... E allora quando

con Ginevra ci siamo sentite..."

"Vi siete sentite? Ma perché, vi telefonavate pure?"

"Sì, c'eravamo scambiate il numero. Ma che cosa c'è di strano,

scusa? Eravamo diventate un po' come delle amiche."

Non riesco a crederci. Che strano. Sembra tutto così strano.

"Allora?"

"Allora che?"

"Niente, gliel'ho detto."

"E lei?"

"E lei ha continuato a chiacchierare, come se nulla fosse, ha

detto che si era iscritta e che andava in piscina... Ah sì, mi ha

fatto

ridere perché mi ha chiesto se volevo andare con lei... però se ci

penso una cosa strana c'è..."

Cosa?

"Da quando sei tornato sono andata spesso al supermercato..."

"E allora?"

"Da allora, non l'ho mai più incontrata."

La guardo. Rimango in silenzio. Poi annuisco e sorrido. Lei

vorrebbe

rispondere al mio sorriso, ma un'altra ondata di dolore le fa

chiudere gli occhi. Più a lungo stavolta. Le prendo la mano. Lei

me

la stringe con forza, una forza inaspettata. Poi allenta la presa

e riapre

gli occhi, stanca, più stanca di prima, accenna un sorriso.

"Stefano... ti prego..." Mi indica un bicchiere lì vicino. "Mi

porti

un po' d'acqua, per favore."

Prendo il bicchiere e mi alzo. Faccio alcuni passi e mi sento di

nuovo chiamare.

"Stefano..."

Mi giro. "Sì?"

"A questa mia amica Gin... mandale dei fiori, dei bellissimi

fiori."

Si poggia sul cuscino e mi sorride.

"Sì, mamma, certo..."

Esco dal reparto, trovo subito il bagno con l'acqua potabile che

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