Nael, troppo presa dallo stato del corpo di quella povera donna, si accorse solo in quel momento dei vestiti che indossava: un paio di jeans a sigaretta slavati e una t-shirt giallo fluo con sopra scritto Nessuno è perfetto! Io sono nessuno.
Quella stupida maglietta l’aveva regalata lei a Kay. L’aveva trovata in un mercatino dei tempi pre-apocalisse e aveva deciso che sarebbe stata perfetta per una pazza scatenata come Kayley.
‹‹In che casino ti sei cacciata?›› disse con un filo di voce, cadendo in ginocchio di fronte al cadavere. ‹‹Perché mi sono fidata a lasciarti andare con quell’essere infernale?››.
‹‹Essere infernale, eh? Devo dire che hai azzeccato il termine adatto… Stella privata del Cielo››. Una voce cupa risuonò nella stanza.
‹‹Chi sei? Che vuoi da me?››. Il sangue di Nael scorreva a più non posso nelle vene.
‹‹Tu sei la portatrice dei sigilli!››. Una risata agghiacciante le provocò un brivido lungo la schiena. ‹‹Cosa vogliamo da te? Semplice, vogliamo vederti morta… come la tua amica››.
Gli assassini di Kay volevano uccidere anche lei.
Per quale motivo? E cosa voleva dire definendola in quel modo? Lei non era la portatrice di un bel niente. Doveva per forza essere un bruttissimo incubo. Nessun essere umano poteva ridurre una persona in quelle condizioni, solo un demone poteva farlo.
Chi osava essere tanto sfrontato da infrangere il secondo articolo del patto fatto col Maligno mettendo in pericolo la sua stessa vita?
Il mondo cominciò a vorticarle attorno, l’aria sembrò smettere di girare nei polmoni e tutto si fermò. Nella testa le riecheggiò lontana la risata di Kay.
Spuntò un ricordo. Il loro primo incontro a scuola, quando Nael le aveva sorriso e le aveva offerto un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Poi seguirono altri ricordi a una velocità innaturale. Momenti felici, gioiosi, in cui niente e nessuno sembrava poterle dividere.
Tranne la morte.
A quel pensiero tutta la disperazione del mondo sembrò riversarsi dentro il suo corpo e le immagini si bloccarono su un attimo preciso: il giorno dopo il Path’s Day. La voce di Kay risuonò chiara, come se stesse pronunciando quelle parole in quello stesso istante.
“Poi ammettilo, senza di me ti annoieresti a morte”.
Si ricordò di non aver avuto tempo per replicare. Le lacrime le salirono agli occhi e scoppiò a piangere, colta dall’improvvisa certezza che ora non avrebbe più potuto risponderle.
‹‹Starò tremendamente male senza di te››, la voce di Nael era rotta dai singhiozzi. ‹‹Riposa in pace, Kayley Reese Sloan››.
Si prese il viso tra le mani, e in quello stesso istante un fortissimo dolore inatteso all’avambraccio destro la fece urlare. Il grido era carico di potere e sembrò vibrare in quella sorta di dimensione in cui era stata catturata. Un’abbagliante luce rossa stava incidendo qualcosa sul braccio della ragazza. Le mordeva la carne, la strappava e si nutriva del suo stesso sangue iniettandole dentro una nuova linfa vitale. Nael si sentiva bruciare, proprio come nell’incubo che aveva fatto.
Ebbe il timore che fosse tutta opera del Maligno, ma una certezza che partiva dal cuore la rassicurava che non era opera sua. Si trattava di una forza celestiale, pura e trasparente, mossa solo dall’amore di un essere che si faceva chiamare l’Onnipotente.
Quando tutto finì, la stanza ripiombò nella debole luce della lampada da tavolo accanto al televisore. Il corpo di Kay non c’era più. Al suo posto, era rimasto un mucchietto di cenere. Nael allungò una mano tremante verso i resti carbonizzati dell’amica. Li accarezzò con dita tremanti e una lacrima le scivolò dal viso.
La pelle del braccio destro pizzicava e le faceva male. Si guardò e vide uno strano simbolo rotondo, con dei disegni all’interno e delle scritte all’esterno. Era lo stesso del sogno.
A differenza del simbolo che aveva visto tatuato sulla schiena di Ny la sera del concerto, quello era più rassicurante. Il rosso scarlatto dei simboli trasmetteva forza e coraggio. Cercò di leggere cosa c’era scritto e restò sorpresa quando capì che quelli erano quattro nomi, e non una frase.

Il panico prese il sopravvento. Non poteva andarsene in giro con una cosa del genere tatuata, anzi, incisa sulla pelle.
Cosa avrebbe detto la gente?
Cosa avrebbero detto i suoi?
Doveva trovare il modo di nasconderla. Scattò in piedi e si guardò attorno. Sul divano trovò una felpa nera con stampato sul retro il logo dei D-Soul. Ormai era chiaro che c’entravano in quella storia ed era più che sicura fosse stato Morgan a uccidere la sua migliore amica.
Giurò a sé stessa che, se ci fosse stata l’occasione, avrebbe vendicato Kay.
Indossò la felpa in fretta e furia, anche se le disgustava l’idea di avere addosso qualcosa appartenente a quel gruppo di demoni assassini e assetati di sangue.
Guardò l’orologio, il coprifuoco ormai era già scattato da un po’ e non voleva finire torturata né dai Nia-Za, né dall’assassino di Kay. Era decisa a scappare nel primo rifugio possibile e corse verso la porta senza guardarsi indietro.
La porta si chiuse di colpo con un tonfo secco impedendole la fuga.
‹‹Dove credi di andare, bellezza?››.
Geb le bloccò le braccia con le mani e la trascinò verso il centro della stanza. Nael urlò e chiese aiuto. Cercò di divincolarsi. La stretta era troppo forte, non ce l’avrebbe mai fatta.
‹‹Urla pure quanto vuoi, non ti sentirà nessuno››, disse Male, che apparve dal nulla di fronte a lei con un pezzo di scotch in mano, pronto a tapparle la bocca.
Una forza misteriosa si impossessò del corpo di Nael. Partiva proprio dal punto esatto in cui era comparso il simbolo e le diede la forza per spingerla a combattere e non arrendersi. D’istinto la ragazza fece leva poggiando la schiena addosso a Geb e diede un calcio con entrambi i piedi sullo stomaco di Male facendolo volare fuori dal nucleo, riducendo in mille pezzi la porta di legno bianco.
Geb cadde di schiena portandosi dietro il corpo di Nael. Quando toccò il pavimento perse la presa e lei rotolò su un fianco, si alzò e scappò fuori dal varco che era riuscita a crearsi. Non ebbe il tempo necessario per stupirsi di tutta quella forza improvvisa. La sua mente, ora, era programmata su un solo comando: salvarsi la pelle.
Dopo il coprifuoco le luci della cittadella erano soffuse e tutto sembrava essersi tinto di grigio. A Nael vennero i brividi, c’era qualcosa di strano che non riusciva a capire. Qualcosa di diverso aveva preso il posto delle famigliari vie ordinate di Kali Phi.
Correva a più non posso, girando casualmente di qua e di là, nel reticolato stradale. Ad un certo punto, un grido spettrale la fece inciampare. Si rialzò e si guardò alle spalle. La sua fine era giunta, non sarebbe potuta scappare da nessuna parte. Tre Nia-Za fluttuavano a pochi metri da lei, i mantelli neri fumanti e il corpo invisibile. L’odore di zolfo le penetrò nelle narici. Rimase a bocca aperta a guardare quelle specie di spettri dell’inferno.
Era la prima volta che li vedeva e, forse, sarebbe stata anche l’ultima.
Il corpo di Nael sembrava pesare tonnellate. I piedi le erano rimasti incollati al terreno, non osava muovere un muscolo. Era terrorizzata e si stava già immaginando quali atrocità le sarebbero state inflitte.
I Nia-Za fluttuavano a mezz’aria. Il capo davanti, gli altri due un passo più indietro. Nael guardò dentro il cappuccio vuoto del leader e, nonostante il demone non avesse occhi, ebbe la stranissima impressione che la stesse osservando a sua volta. L’oscurità sembrava penetrarle dentro il corpo attraverso quello sguardo invisibile.
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