Annie Vivanti - Vae victis!
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Un brivido scosse l'uomo che la guardava – un brivido di presciente orrore. Non erano già vicine le orde nemiche, briache di sangue e di ferocia? Non stavano già aprendosi con violenza la via verso questo fiore verginale? Ed egli doveva lasciarla! lasciarla, sola, alla mercè della loro brutalità? Di nuovo il brivido terribile lo scosse; mentre quei limpidi occhi ingenui lo fissavano, sorridenti.
«Chérie!» diss'egli con voce rauca. «Chérie!» La trasse a sè, le alzò il viso delicato e guardò profondamente dentro l'azzurra meraviglia dei suoi occhi.
Essa non parlò; nè ebbero un battito le sue ciglia. Offerse allo sguardo di lui tutta la trasparente profondità della sua anima. Ed egli ripetè ancora quella sola parola: « Chérie!… »
I quaranta minuti erano passati. Vi fu un affrettato congedarsi, un'ultima agitata parola di avvertimento e monito; poi con un tintinnio di speroni Florian era corso giù per le scale e s'era slanciato in sella.
Girò la testa del cavallo, che s'impennava, verso il Nord, e levò lo sguardo alle finestre.
Sì, erano tutte là a fargli cenno d'addio! Tutte vicine, le teste bionde e le brune; gli occhi ceruli e gli occhi neri lo seguivano....
«Ricordatevi,» gridò ancora Florian a Luisa, «ricordatevi – dovete partire domattina all'alba! Domattina all'alba!» E ancora mentre parlava, quell'indicibile brivido lo riprese. Era forse un presagio di ciò che l'indomani avrebbe recato? Era forse una visione di ciò che la tragica e sanguinosa aurora teneva in serbo per coloro ch'egli lasciava, sole nella loro indifesa bellezza e gioventù?…
Spronò il cavallo e partì.
Giunto in fondo alla strada egli si girò in sella un'ultima volta a riguardare la casa; vide che Chérie era corsa fuori sulla terrazza e stava lì, ritta e bianca come un giglio nella luce lunare.
Egli levò in alto la mano in segno di saluto. Poi si volse e partì al galoppo.
Via! – via nella notte, via verso i tonanti cannoni di Liegi e i sanguinanti campi di Visé! Via, portando con sè quella visione di candida e delicata bellezza.
E ripensò che non le aveva detto una parola d'amore, nè le sue labbra avevano osato toccare quelle di lei. No; la sua purità eterea lo aveva intimidito; il nimbo della sua virginale giovinezza era intorno a lei come un'armatura di neve....
Così – così egli la lasciò: pura, fragile e dolce, bianca come un giglio, veduto in un giardino sotto la luce lunare…
Così – così egli la lasciò.
V
Le fanciulle, nelle vesti di mussola e le scarpette di raso, si sparpagliarono verso le loro case come un volo di farfalle spaurite.
L'avevano sognato, o c'era stato proprio, mentr'esse correvano sopra il ponte, un suono profondo e rimbombante come tuono lontano?… Ristettero ad ascoltare.
Sì.... eccolo di nuovo quel profondo fragore, tuonante da lungi nella notte stellata.
«Jésus, Marie, St. Joseph, ayez pitié de nous,» susurrò Jeannette, e le altre ripeterono tremanti la invocazione. Quindi attraversarono correndo il ponte e giunsero alle loro abitazioni.
Luisa, Chérie e Mirella erano rimaste sole nella casa deserta. Quando salirono a cercare di Frida trovarono la sua stanza vuota. Nulla di suo vi rimaneva, soltanto due libri – il « Deutscher Dichterschatz », e « Der Trompeter von Säkkingen » – giacevano sulla tavola, e il busto in gesso di Mozart stava ancora al suo posto sul caminetto.
«Sarà sgusciata via mentre noi parlavamo con Florian», disse a bassa voce Chérie volgendo una faccia pallida e stravolta a Luisa che girava lo sguardo stupefatto intorno alla stanza vuota.
«Era una vipera,» osservò Mirella tenendosi un po' più stretta al braccio di sua madre. «E anche Fritz era un serpe.»
Al nome di Fritz Luisa fu scossa da un brivido.
«Fritz!… Non sarà tornato?» disse piano, lanciando uno sguardo pauroso verso la finestra. Di là del cortile si scorgeva ancora nella semi-oscurità il fabbricato rustico dove il domestico aveva la sua camera. «Che ci sia?…»
Nel silenzio che seguì tutte guardarono quelle finestre chiuse e buie sopra il garage; e l'idea che Fritz potesse essere là nascosto e in agguato era assai inquietante.
«Bisogna andare a vedere,» disse Chérie, tremante ma risoluta.
Così – tenendosi vicinissime l'una all'altra, e Luisa portando alta sopra la testa una lanterna – attraversarono il cortile silenzioso. Spinsero la porta di legno, socchiusa, e salirono per le scale scricchiolanti alla camera di Fritz.
Vuota! – Era vuota anch'essa.
Luisa tirò un tremulo sospiro di sollievo; ma Chérie le additò il baule accanto al letto, e gli abiti sparsi per la stanza.
«Si vede che ha l'idea di tornare,» susurrò Chérie; e tutt'e tre tremarono a questo pensiero. Allora scesero rapide, attraversarono il cortile e rientrarono in casa. Si trassero dietro la pesante porta d'ingresso che si chiuse con fragore; ma quando vollero spingere il catenaccio e chiudere a chiave trovarono che questa era stata portata via, e la grossa spranga di ferro era staccata dal battente.
Fu in quel momento che il primo rombo lontano giunse alle loro orecchie.
«Che rumore è quello?» chiese Mirella, scotendo il braccio di sua madre. «Rispondi!»
Chérie le prese la manina. «Niente.... era niente,» disse rapida. «Andiamo su a preparare le nostre cose…» E vedendo Luisa che stava ancora davanti alla porta, impietrita come una statua colla lanterna in mano, le gridò: «Lulù! Ti prego.... va in camera tua a radunare ciò che vuoi portar via domattina.»
Luisa si volse e la guardò con occhi di sonnambula; indi lentamente si mosse, ed obbedì.
.... Ardua cosa scegliere fra tutti gli oggetti che ci circondano quelli da portarsi via, così, nelle nostre due mani! Ah, queste cose inanimate come ci crescono profondamente nel cuore, come diventano, col passar degli anni, una parte integrale della nostra esistenza!
Ma come? Si devono prendere solamente i denari e pochi gioielli?… E non questo quadro? Non queste lettere? Non questo dono prezioso di chi non è più?… Non la massiccia argenteria che per generazioni è stata nostra? Non il caro velo delle nostre nozze?.... Non lo sgualcito libriccino da Messa della nostra Prima Comunione?… E non le preziose medaglie che commemorano le campagne di guerra di nostro padre? Nè i documenti che dimostrano chi siamo e ciò ch'è nostro?…
Ma – e la gabbia con dentro i canarini che dormono – lievi pallottole di lanugine dorata? Si devono lasciarli qui a morire?… E il cane – il fedele compagno che alza su di noi i suoi occhi buoni e intelligenti?…
«Ah! Amour, a qualsiasi costo, lo portiamo con noi,» disse Chérie.
«Lo portiamo con noi…» ripetè trasognata Luisa che errava come un'anima smarrita per le stanze raccogliendo degli oggetti e poi rimettendoli giù.
Un orologio lontano suonò le undici.
Mirella, ancora nel suo vestitino di mussola rosa, s'era arrampicata sul letto di Luisa e sonnecchiava.
Ah!… Eccolo di nuovo quel rimbombo cupo, tuonante, perdentesi in un lungo e minaccioso brontolio....
«E' più vicino!» ansò Luisa, torcendosi le mani. «E' più vicino!» E mentre ancora lo diceva, ecco ripetersi il suono terribile – e più vicino, infatti, e più cupo, più profondo, più temibile.... Le vetrate della casa tremarono.
Mirella balzò a sedere sul letto cogli occhi spalancati e lucenti. «Cos'è?» Poi gridò forte: «Mamma! dimmi cos'è?»
Luisa accorse. «Zitta, cara, zitta,» disse chinandosi su di lei e baciandola.
«Ma cos'è?» insistette la bambina. «Voglio sapere! E' un temporale? O sono i nemici?»
«Ma no, piccola cara, no!» la rassicurò Chérie, accorsa anch'essa. «Sono i nostri cannoni, che sparano appunto per tenerli lontani.»
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