Lui annuì.
Dopo un po’ sentii che i suoi muscoli si rilassavano. Lo sollecitai a seguirmi tra le onde dell’acqua bassa, dove avremmo potuto camminare con maggiore facilità, quale che fosse la nostra forza. Passeggiammo insieme lungo la spiaggia.
«Avrai bisogno di nutrirti», dissi. «Credi di poterlo fare da solo?»
Scosse la testa.
«Va bene, ti prenderò con me e ti mostrerò tutto ciò che devi sapere. Ma prima la cascata, laggiù. Io la posso udire. Tu riesci a sentirla? Ti potrai lavare.»
Annuì e mi seguì a capo chino. Gli tenevo il braccio ancora serrato intorno alla vita, e il suo corpo si tendeva ogni tanto, per gli ultimi violenti crampi, tipici della morte.
Quando raggiungemmo la cascata, salì senza difficoltà sulle rocce infide, si tolse i pantaloncini e rimase nudo sotto il grande getto scrosciante, facendoselo passare sul volto, sul corpo e sugli occhi spalancati. Ci fu un momento in cui venne scosso da capo a piedi e sputò l’acqua che gli era entrata accidentalmente in bocca.
Rimasi a fissarlo, sentendomi sempre più forte a mano a mano che i secondi passavano. Poi balzai in alto, sopra la cascata, e atterrai sulla scogliera. Lo potevo vedere laggiù, una minuscola figura, in piedi, coperta dal getto, che mi guardava.
«Puoi raggiungermi?» mormorai.
Annuì. Era davvero un’ottima cosa che mi avesse udito. Si rizzò e fece un grande balzo, saltando fuori dell’acqua e atterrando sul fianco inclinato della scogliera solo alcuni metri più in basso rispetto a me, con le mani che afferravano con facilità le scivolose rocce bagnate. Vi si arrampicò senza guardare in basso neppure una volta, finché non si trovò al mio fianco.
In tutta franchezza ero sbalordito dalla sua forza. Ma non si trattava solo di quello. Era anche la sua assoluta mancanza di timore a stupirmi. E lui stesso sembrava essersi dimenticato della paura. Stava guardando di nuovo lontano, verso le nuvole che correvano e il vago luccichio del ciclo. Stava contemplando le stelle, e poi l’interno, la vegetazione che scendeva lungo la scogliera.
«Riesci a sentire la sete?» chiesi. Lui annuì, guardandomi solo di sfuggita, e poi rivolgendo gli occhi verso il mare.
«Va bene, ora torniamo ai tuoi vecchi alloggi. Ti vestirai adeguatamente per andare in cerca di prede nel mondo mortale. Poi andremo in città.»
«Così lontano?» chiese. Indicò l’orizzonte. «C’è una piccola imbarcazione da quella parte.»
La individuai, e la vidi attraverso lo sguardo dell’uomo a bordo. Una creatura crudele e disgustosa. Era impegnato in una missione di contrabbando. E lui era risentito perché i compagni ubriachi lo avevano lasciato da solo a compierla. «D’accordo», dissi. «Andremo insieme.» «No», replicò lui. «Credo che dovrei andare… da solo.» Si voltò senza attendere la mia risposta e discese con rapidità e grazia sulla spiaggia. S’inoltrò come un lampo di luce attraverso l’acqua bassa, si tuffò tra le onde e cominciò a nuotare con bracciate rapide e potenti.
Camminando, scesi verso il bordo della scogliera, trovai un piccolo sentiero accidentato, e lo seguii finché non raggiunsi la stanza. Fissai la devastazione: lo specchio rotto, il tavolo rovesciato e il computer lì accanto, il libro caduto sul pavimento, la sedia ribaltata sulla piccola veranda. Mi girai e uscii.
Salii fino ai giardini. Era sorta la luna, molto in alto, e io camminai lungo il sentiero di ghiaia fino all’estremità del punto più elevato, rimanendo là a guardare, in basso, il sottile nastro di spiaggia bianca e il dolce mare silenzioso.
Alla fine mi sedetti contro il tronco di un grande albero scuro i cui rami si aprivano sopra di me a formare un etereo baldacchino, e feci riposare il braccio sul ginocchio, appoggiandovi poi la testa. Trascorse un’ora.
Lo udii arrivare, camminando sul sentiero di ghiaia veloce e leggero, con un passo che nessun mortale ha mai avuto. Quando alzai lo sguardo, capii che aveva fatto il bagno e si era vestito, e che persino i suoi capelli erano pettinati. L’aroma del sangue che aveva bevuto aleggiava: forse era quello sulle sue labbra. Non era una creatura debole, di carne, come Louis. Oh, no, era assai più forte. E il processo non era ancora terminato. I dolori della morte erano cessati, ma lui si stava indurendo anche mentre lo guardavo, e la tenera lucentezza dorata della sua pelle era incantevole a vedersi.
«Perché lo hai fatto?» domandò. Il suo volto sembrava una maschera. E poi si accese d’ira quando riprese a parlare. «Perché lo hai fatto?»
«Non lo so.»
«Oh, non prendermi in giro. E non piangere! Perché l’hai fatto?»
«Ti sto dicendo la verità: non lo so. Potrei darti una lunga serie di motivi, ma la verità è che non lo so. L’ho fatto perché volevo farlo. Volevo vedere cosa sarebbe successo se lo avessi fatto, volevo… e non potevo non farlo. L’ho capito al mio ritorno a New Orleans. Io… ho aspettato e aspettato, ma non potevo non farlo. E ora è fatto.»
«Miserabile, bastardo bugiardo. L’hai fatto per crudeltà e bassezza! L’hai fatto perché il tuo piccolo esperimento col Ladro di Corpi è andato male! E perché, da quell’esperimento, io sono stato miracolato, ho avuto la giovinezza, una rinascita! Ti faceva infuriare che una cosa simile potesse accadere, che io potessi guadagnarci mentre tu avevi tanto sofferto!»
«Forse è vero!»
«È vero. Ammettilo. Ammetti la tua meschinità. Ammetti la tua bassezza, il fatto che non potevi soffrire che io scivolassi nel futuro con questo corpo che tu non avevi il coraggio di sopportare!»
«Forse è così.»
Mi si avvicinò e, afferrandomi con una presa salda il braccio, cercò di trascinarmi in piedi. Non accadde nulla, ovvio. Non riuscì a muovermi di un centimetro.
«Non sei ancora abbastanza forte per questi giochi», dissi. «Se non la smetti, ti colpirò, facendoti finire a terra. Non ti piacerebbe. Hai troppa dignità perché una cosa del genere ti piaccia. Perciò piantala con le scazzottate mortali da quattro soldi.»
Mi voltò le spalle, incrociando le braccia sul petto e chinando il capo. Riuscivo a sentire i vaghi suoni di disperazione che provenivano da lui, e quasi riuscivo a percepire la sua angoscia. Si allontanò, e io seppellii di nuovo il volto nel braccio.
Ma poi lo udii tornare.
«Perché? Voglio qualcosa da te. Voglio un’ammissione di qualche genere.»
«No.»
Allungò una mano e mi prese per i capelli, intrecciandovi le dita. Quindi mi tirò di scatto la testa verso l’alto, mentre il dolore si diffondeva per il cuoio capelluto.
«Stai davvero raggiungendo il limite, David», ringhiai, liberandomi. «Ancora uno scherzo come questo e ti butto giù dalla scogliera.»
Tuttavia quando vidi il suo volto, quando vidi la sofferenza che c’era in lui, tacqui.
S’inginocchiò davanti a me, così che eravamo quasi alla stessa altezza.
«Perché, Lestat?» chiese. La sua voce suonava triste e distorta, e mi spezzò il cuore.
Travolto dalla vergogna e dalla disperazione, premetti gli occhi chiusi contro il braccio destro, e alzai il sinistro a coprirmi la testa. E nulla, né le sue preghiere, le maledizioni, le imprecazioni contro di me, né, alla fine, la sua silenziosa partenza, riuscì a farmi alzare di nuovo lo sguardo.
Andai a cercarlo molto prima che sorgesse il mattino. La piccola stanza sembrava di nuovo in ordine e la valigia era appoggiata sul letto. Il computer era stato richiuso e la copia del Faust giaceva nella sua custodia di plastica.
Ma lui non c’era. Lo cercai in tutto l’albergo, ma non riuscii a trovarlo. Cercai nei giardini, e poi nei boschi, ma senza fortuna.
Infine trovai una piccola caverna, in alto, sulla montagna, vi scavai una buca profonda e dormii.
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