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Anne Rice: Il ladro di corpi

Здесь есть возможность читать онлайн «Anne Rice: Il ladro di corpi» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 2001, ISBN: 978-88-304-1915-5, издательство: Longanesi, категория: Ужасы и Мистика / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Anne Rice Il ladro di corpi
  • Название:
    Il ladro di corpi
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2001
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1915-5
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Il ladro di corpi: краткое содержание, описание и аннотация

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È la solitudine, la “maledizione” che si è impadronita di Lestat, affascinante e incontrastato principe del cupo universo dei vampiri. Sulla dolorosa, inarrestabile onda di quella solitudine, Lestat ha accarezzato un bruciante desiderio: rinascere come mortale, liberandosi del suo corpo di “non-morto” e impadronendosi invece di un corpo “vivo”, per dimenticare la sua condizione di tenebroso viaggiatore della notte e riprovare l’ebbrezza dei sensi umani, avvertire di nuovo sulla pelle il calore del sole, vivere il giorno in tutte le sue ore, non soltanto tra il crepuscolo e l’alba. E qualcuno, quel desiderio, può renderlo realtà, soddisfacendo così anche il proprio anelito a diventare vampiro, almeno per un breve periodo: l’ammaliante Raglan James, il Ladro di Corpi, che da tempo insegue Lestat lasciando dietro di sè tracce e indizi delle sue straordinarie ed enigmatiche capacità. Il Ladro di Corpi si rivelerà ben presto più sinistro e malvagio di qualsiasi demone e trascinerà Lestat in un viaggio interminabile, da New Orleans a Barbados, da Miami alla giungla amazzonica, costringendolo altresì a riscoprire ciò che aveva dimenticato da secoli: la sofferenza e l’angoscia insite nella natura umana…

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«Ah, già, il medaglione. Dammelo.»

Soltanto allora, mentre lui lottava col piccolo scrigno d’oro ovale, vidi come gli tremavano le mani. Alla fine riuscì ad aprirlo e lo protese verso di me. Io guardai la miniatura dipinta: il volto, gli occhi, i riccioli d’oro… Una bambina che mi fissava, l’effigie dell’innocenza. Oppure non era un’effigie?

Lentamente, dal vortice incerto della memoria, emerse il momento in cui per la prima volta avevo posato lo sguardo su quel ciondolo e sulla sua catena d’oro… Quando, nella strada buia e fangosa, ero capitato nel tugurio infestato dalla peste in cui sua madre giaceva, morta, e la bambina era diventata cibo per il vampiro, un corpicino bianco che tremava impotente tra le braccia di Louis.

Come avevo riso di lui, strappando dal letto puzzolente il corpo della donna morta, la madre di Claudia. Poi avevo preso a danzare col cadavere. E sulla sua gola brillavano la catena d’oro e il medaglione, poiché nemmeno il più ardito dei ladri sarebbe entrato in quel tugurio per rubare quel gingillo dalle fauci stesse della peste.

L’avevo afferrato con la sinistra, proprio mentre lasciavo cadere quel povero corpo. La chiusura si era rotta e io feci roteare la catena sopra la testa come se agitassi un piccolo trofeo, quindi mi feci scivolare il ciondolo in tasca, scavalcai il corpo di Claudia morente e corsi dietro a Louis, in strada.

Mesi dopo, mi ero ritrovato il ciondolo in tasca e lo avevo guardato alla luce. Quando il ritratto era stato dipinto, lei era una bambina viva, ma il Sangue Tenebroso le aveva conferito quella sdolcinata perfezione artistica. Era quella, la mia Claudia, e io avevo lasciato il medaglione in un baule. Come fosse finito presso il Talamasca, non lo sapevo proprio.

Lo tenni fra le mani. Alzai lo sguardo. Era come se fossi appena stato là, in quella catapecchia, e adesso invece mi trovavo lì, a fissare David. Mi aveva parlato, ma io non lo avevo sentito. D’un tratto però la sua voce mi giunse, chiara.

«Faresti questo a me?» m’interrogò, col timbro della voce che però lo tradiva, come lo tradivano le mani tremanti. «Guardala. Lo faresti a me?»

Guardai il minuscolo volto di Claudia, poi di nuovo lui.

«Sì, David», risposi. «Le ho detto che lo avrei fatto ancora. E lo farò a te.»

Lanciai fuori il medaglione, che volò sulla veranda, sulla spiaggia e infine cadde nel mare. Per un istante, la catenella sembrò uno strappo dorato nel tessuto del ciclo, poi sparì come se fosse stata inghiottita da una luce splendente.

Lui si ritrasse con una velocità che mi stupì, appiattendosi lungo il muro. «Non farlo, Lestat.»

«Non mi opporre resistenza, vecchio mio. È fatica sprecata. Ti aspetta una lunga notte di scoperte.»

«Non lo farai!» gridò, con una voce così bassa da parere un ruggito. Mi balzò addosso, come se pensasse di potermi sbilanciare, ed entrambi i suoi pugni mi colpirono il petto: io non mi mossi. Allora ricadde all’indietro, stremato dallo sforzo; mi fissava con gli occhi pieni di lacrime e colmi di puro sdegno. Ancora una volta il sangue gli era affluito alle guance, scurendo la carnagione. E soltanto allora, comprendendo la totale inutilità della sua difesa, cercò di fuggire.

Lo afferrai per il collo prima che raggiungesse la veranda. Lasciai che le mie dita massaggiassero la carne mentre si dibatteva come un animale, nel tentativo di svincolarsi dalla mia presa e liberarsi. Lentamente lo sollevai e, circondando senza sforzo la sua nuca con la sinistra, feci penetrare i denti nella bella, giovane pelle profumata del suo collo, e accolsi il primo getto ribollente di sangue.

Ah, David, il mio adorato David. Non mi ero mai calato in un’anima che conoscessi così bene. Quanta consistenza, quale meraviglia c’era nelle immagini che mi avvolsero: la dolce e splendida luce del sole che tagliava la foresta di mangrovie, lo scricchiolio dell’erba alta nel veldt, il colpo del grande fucile e il tremore della terra calpestata dall’elefante. Era tutto lì: tutte le piogge estive che scrosciavano senza fine nella giungla, l’acqua che risaliva fin sulle assi della veranda e il ciclo lampeggiante di fulmini. E sotto tutto ciò il suo cuore batteva, ribellandosi, recriminando… Mi tradisci, mi tradisci, mi prendi contro la mia volontà… E poi c’era il ricco, profondo, salato calore del sangue stesso.

Lo gettai all’indietro. Era abbastanza, come prima bevuta. Lo osservai lottare per mettersi in ginocchio. Che cosa aveva visto durante quei secondi? Sapeva com’era nera e caparbia la mia anima?

«Mi ami?» domandai. «Sono l’unico amico che hai al mondo?»

Lui strisciava sulle piastrelle. Si aggrappò al fondo del letto e si alzò, poi ricadde, stordito, sul pavimento. Lottò di nuovo.

«Ah, lascia che ti aiuti!» esclamai. Lo feci voltare e lo sollevai e affondai i denti esattamente nel punto di prima, nelle stesse, minuscole ferite.

«Per l’amor di Dio, fermati, non farlo. Lestat, ti supplico, non farlo.»

Supplichi invano, David. Oh, com’era delizioso quel corpo giovane, quelle mani che mi spingevano, perfino nella trance… Di quanta volontà disponi, mio bell’amico. E ora siamo nel vecchio Brasile, non è vero? Siamo in quella stanzetta, e lui sta invocando i nomi degli spiriti del Candomblé. Li sta invocando… Ma gli spiriti verranno?

Lo lasciai andare. Cadde di nuovo in ginocchio, poi rotolò su un lato, con gli occhi sbarrati. Come secondo assalto, poteva bastare.

Nella stanza si udì un vago suono ritmico. Un debole bussare.

«Oh, abbiamo compagnia? Abbiamo qualche piccolo amico invisibile? Sì, guarda, lo specchio traballa. Sta per cadere!» Ed ecco che lo specchio andò a urtare le piastrelle, esplodendo in frammenti di luce che sfuggivano dalla cornice.

David stava di nuovo cercando di alzarsi.

«Sai cosa sembrano, David? Puoi sentirmi? Sono come stendardi di seta che si dispiegano intorno a me. E sono così deboli…»

Rimasi a guardare mentre lui si rimetteva in ginocchio. Ancora una volta prese a strisciare lungo il pavimento. Improvvisamente si alzò, lanciandosi in avanti. Afferrò il libro accanto al computer e, voltandosi, me lo scagliò contro. Cadde ai miei piedi. Stava annaspando. Con lo sguardo annebbiato, riusciva a malapena a stare in piedi.

Poi si voltò e quasi cadde in avanti nella piccola veranda, incespicando sul parapetto in direzione della spiaggia.

Gli andai dietro, seguendolo mentre barcollava sul pendio di sabbia bianca. La sete crebbe: soltanto pochi secondi prima aveva assaggiato il sangue, e ne doveva avere ancora. Quando raggiunse l’acqua, David rimase lì, malfermo sulle gambe. Solo una volontà di ferro lo tratteneva dal crollare al suolo.

Lo presi per una spalla, teneramente, cingendolo col braccio destro.

«No, dannazione, va’ all’inferno. No…» sibilò. Sebbene le forze stessero scemando, mi aggredì, spingendo contro il mio volto entrambi i pugni, e lacerandosi le nocche nel colpire la pelle invulnerabile.

Lo rigirai, guardandolo mentre scalciava contro le mie gambe e continuava a colpirmi con quelle morbide mani impotenti. E di nuovo strofinai il naso contro il suo collo, leccandolo, annusandolo e poi affondando i denti per la terza volta. Mmm… questa è pura estasi. Quell’altro corpo, logorato dall’età, avrebbe mai consentito un tale banchetto? Sentii il palmo della sua mano contro il mio volto. Oh, era così forte. Sì, combatti, combatti contro di me come io ho combattuto contro Magnus. È così dolce che tu lo faccia. Lo adoro. Davvero.

E come fu, quella volta, il deliquio? Giungevano da lui le preghiere più pure, rivolte però non agli dei nei quali non credevamo, non a un Cristo crocifisso o a una vecchia Regina Vergine. Ma preghiere rivolte a me. «Lestat, amico mio. Non prenderti la mia vita. Non farlo. Lasciami andare.»

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