Mi fissò, cercando di capire cosa intendessi con quelle parole, o forse come ribattere. «Vieni dentro», disse infine.
«Perché non ci sediamo qui sulla veranda, nell’oscurità? Mi piace la brezza.»
«Certo, come vuoi.»
Entrò nella stanza per prendere la bottiglia di scotch e versarsene un bicchiere, poi mi raggiunse al tavolo di legno. Io mi ero appena seduto in una delle sedie e stavo guardando verso il mare.
«Allora, che cosa stai combinando?» chiesi.
«Mah, da cosa comincio? Non ho fatto che scrivere, cercando di spiegare tutte le piccole sensazioni, le nuove scoperte.»
«Non ci sono dubbi che tu sei saldamente ancorato a questo corpo, vero?»
«Nessuno.» Bevve una lunga sorsata del suo scotch. «E non noto deterioramenti di nessun tipo. Sai, lo temevo. Lo temevo anche quando, in questo corpo, c’eri tu, ma non volevo dirlo. Avevamo abbastanza di cui preoccuparci, no?» Si voltò a guardarmi e sorrise. Con voce bassa e confusa continuò: «Stai guardando un uomo che conosci dentro e fuori».
«No, in realtà no», replicai. «Dimmi, come te la cavi con gli estranei… con quelli che non immaginano neppure chi sei? Le donne t’invitano nella loro camera da letto? E i giovani?»
Guardò il mare e sul suo volto comparve una certa amarezza. «Conosci già la risposta. Non mi possono interessare simili incontri. Non significano nulla per me. Non dico di non essermi goduto alcuni… safari in camera da letto. Ho cose più importanti da fare, Lestat, ben più importanti. Ci sono posti in cui voglio andare: Paesi e città che ho sempre sognato di visitare. Rio è solo l’inizio. Ci sono misteri che devo risolvere, cose che devo scoprire.»
«Sì, posso immaginarlo.»
«Mi hai detto qualcosa di molto importante, l’ultima volta che ci siamo visti. ‘Non vorrai dare al Talamasca anche questa vita, no?’ Ebbene, non gliela darò. Ciò che ritengo essenziale è non sprecarla, è fare qualcosa di decisivo. Che cosa? La risposta non giungerà all’improvviso, certo. Ci sarà un periodo di viaggi, di apprendimento, di valutazione, prima che io decida quale direzione scegliere. E, mentre sono impegnato nei miei studi, scrivo. Scrivo ogni cosa. A volte lo scopo di tutto sembra la registrazione stessa.»
«Lo so.»
«Ci sono molte cose che voglio chiederti. Sono stato tormentato dalle domande.»
«Perché? Quale genere di domande?»
«Ho bisogno di sapere quello che hai provato durante quei pochi giorni. Hai qualche rimpianto per il fatto di essere giunto così presto alla fine dell’avventura?»
«Quale avventura? Intendi la mia vita da uomo mortale?»
«Sì.»
«Nessun rimpianto.»
Riprese a parlare, poi s’interruppe. Quindi parlò di nuovo. «Che cosa ti sei portato dietro?» chiese a voce bassa e fremente.
Mi voltai e lo guardai ancora. Sì, il volto era più angoloso. Era stato il carattere ad affilarlo e a conferirgli una maggiore definizione? È perfetto, pensai. «Scusami, David, mi sono perso. Ripetimi la domanda.»
«Che cosa ti sei portato dietro?» mi chiese di nuovo, in un tono che rispecchiava quella pazienza che conoscevo così bene. «Quale lezione?»
«Non sapevo ci fosse una lezione», replicai. «E mi ci potrebbe volere del tempo per comprendere ciò che ho imparato.»
«Sì, certo, capisco.»
«Sono consapevole di un rinnovato desiderio di avventura. Voglio andare in giro, proprio come dici tu. Voglio tornare nelle foreste pluviali. Le ho viste così poco quando sono andato a trovare Gretchen. C’era un tempio, laggiù. Voglio rivederlo.»
«Non mi hai mai detto cos’è accaduto.»
«Ah, in realtà te l’ho detto, ma tu eri Raglan, allora. È stato il Ladro di Corpi che ha assistito a quella piccola confessione. Perché mai avrà voluto rubare una cosa simile? Ma sto divagando. Sono tanti i posti in cui anch’io voglio andare…»
«Sì.»
«È di nuovo un desiderio di tempo e di futuro, di misteri naturali. Il desiderio di essere l’osservatore che ero diventato a Parigi quella notte di tanto tempo fa, quando ero stato costretto a diventarlo. Avevo perduto le mie illusioni e le mie menzogne preferite. Si potrebbe dire che io abbia rivisitato quel momento e che sia risorto nelle tenebre di mia spontanea volontà. E che volontà!»
«Ah, sì, capisco.»
«Davvero? È un bene, se è così.»
«Perché parli in questo modo?» chiese. Poi abbassò la voce e continuò: «Hai bisogno della mia comprensione quanto io ho bisogno della tua?»
«Tu non mi hai mai capito», dissi. «Oh, non è un’accusa. Tu coltivi una serie d’illusioni su di me, illusioni che ti rendono possibile frequentarmi, parlarmi, persino darmi rifugio e aiutarmi. Non lo potresti fare se sapessi davvero cosa sono. Io ho cercato di dirtelo. Quando raccontavo dei miei sogni…»
«Ti sbagli. È la tua vanità che parla», ribatté. «Ti piace immaginare di essere peggio di quello che sei. Quali sogni? Non ricordo che tu mi abbia mai parlato di sogni.»
Sorrisi. «No? Ripensaci, David. Il mio sogno della tigre. Ero preoccupato per te. E ora la minaccia del sogno si realizzerà.»
«Cosa vuoi dire?»
«Sto per farlo, David. Sto per portarti con me.»
«Cosa?» La sua voce si ridusse a un mormorio. «Cosa stai dicendo?» Si sporse in avanti, cercando di vedere con chiarezza l’espressione del mio volto. Ma la luce si trovava dietro di noi e la sua vista mortale non era sufficientemente acuta.
«Te l’ho appena detto. Sto per farlo, David.»
«Perché? Perché mi dici questo?»
«Perché è vero», risposi. Mi alzai e scostai la sedia con la gamba.
Alzò lo sguardo su di me. Soltanto in quel momento il suo corpo avvertì il pericolo. Vidi tendersi i bei muscoli delle sue braccia. I suoi occhi erano fissi nei miei.
«Perché parli così? Non potresti mai farlo», replicò.
«Certo che potrei. E lo farò. Adesso. Ti ho sempre detto che ero malvagio. Ti ho detto che sono il Diavolo in persona. Il Diavolo del tuo Faust, il Diavolo delle tue visioni, la tigre nel mio sogno!»
«No, non è vero.» Si alzò, facendo cadere la sedia e quasi perdendo l’equilibrio. Arretrò verso la stanza. «Tu non sei il Diavolo e sai di non esserlo. Non farmi questo! Te lo proibisco!» Serrò i denti sulle ultime parole. «Nel profondo del cuore, tu sei umano quanto lo sono io. E non lo farai.»
«Col cavolo che non lo farò», dissi. Risi. Non riuscii a trattenermi. «David, il Generale Superiore», sussurrai. «David, il sacerdote del Candomblé.»
Arretrò sul pavimento di piastrelle, mentre la luce gli illuminava in pieno il volto e i potenti muscoli tesi delle braccia.
«Vuoi opporti? È inutile. Non c’è forza al mondo che possa impedirmi di farlo.»
«Morirò piuttosto», disse con voce bassa e soffocata. Il suo volto stava diventando più scuro per l’afflusso di sangue. Ah, il sangue di David.
«Non ti lascerò morire. Perché non ti rivolgi ai tuoi spiriti brasiliani? Non ti ricordi come si fa, vero? Non sei concentrato. Be’, non ti servirebbe proprio a niente farlo.»
«Non puoi farmi questo», sussurrò. Stava lottando per rimanere calmo. «Non puoi ripagarmi in questo modo.»
«Oh, ma è così che il Diavolo ripaga chi lo aiuta!»
«Lestat, ti ho aiutato contro Raglan! Ti ho aiutato a recuperare quel corpo e tu mi hai promesso lealtà! Ricordi le tue parole?»
«Ti ho mentito, David. Ho mentito a me e agli altri. Ecco che cosa mi ha insegnato la mia piccola escursione nella carne: io mento. Mi sorprendi, David. Sei arrabbiato, tanto arrabbiato, però non hai paura. Tu sei come me, David. Tu e Claudia siete gli unici ad avere davvero la mia forza.»
«Claudia…» ripeté, annuendo. «Ah, già, Claudia. Ho qualcosa per te, amico mio.» Si allontanò, voltandomi le spalle, ostentando con quel gesto la sua mancanza di timore, e si mosse con calma verso il cassettone, accanto al letto. Quando tornò a voltarsi aveva in mano un medaglione. «Viene dalla Casa Madre. È il medaglione che mi hai descritto.»
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