Dean Koontz - Sussurri

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A ventinove anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, la bella e intelligente Hilary Thomas è arrivata al successo. Ma quando viene aggredita nella sua lussuosa villa di Beverly Hills da un maniaco omicida, i peggiori incubi del passato sembrano rimaterializzarsi nei bagliori della lama acuminata del suo aggressore. Non basterà fuggire, non basterà lottare, non basterà nemmeno ucciderlo: lui tornerà, più forte della morte, a ossessionarla, costringendola a scavare disperatamente nei segreti sepolti per scoprire una realtà allucinante. Da Hollywood a Napa Valley, dalle piscine soleggiate delle dimore dei divi alla penombra umida di morte dell’obitorio, il ritmo tranquillo della vita quotidiana in California viene sconvolto da eventi ben più spaventosi e dirompenti dei terremoti ai quali la gente è ormai abituata. Esistono forze, nella mente umana, al confronto delle quali le scosse telluriche sono carezze e le urla di morte soltanto sussurri.

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«Nessun problema,» rispose Mrs Yancy. «Se i bambini fossero morti, li avremmo portati via in una valigia. Li avremmo sepolti da qualche parte in cima alle colline. Oppure avremmo messo qualche pietra nella valigia e l’avremmo fatta cadere dal Golden Gale.»

Joshua provò l’irrefrenabile impulso di afferrare la donna per lo chignon e di sbatterla a terra, per farle perdere quell’aria compiaciuta e strafottente. Ma si limitò a voltarsi e respirare a fondo, prima di ricominciare a camminare nervosamente sulla passatoia, con gli occhi fissi sul pavimento.

«E Katherine?» domandò Hilary. «Che cos’avrebbe fatto se fosse morta lei

«La stessa cosa che avrei fatto con i due gemelli,» affermò Mrs Yancy senza scomporsi. «Anche se, naturalmente, non avremmo potuto mettere Katherine in una valigia.»

Joshua si bloccò all’estremità della stanza e osservò la donna, sbigottito. Non cercava di essere spiritosa. Non si era assolutamente resa conto del macabro umorismo contenuto in quella frase: si era limitata a enunciare un dato di fatto.

«Se qualcosa fosse andato storto, avremmo eliminato il corpo,» proseguì Mrs Yancy rispondendo alla domanda di Hilary. «E avremmo fatto in modo che nessuno venisse a sapere che Katherine era stata da me. E non mi guardi con quell’aria sbigottita e di disapprovazione, signorina bella. Non sono un’assassina. Le sto spiegando che cosa avrei fatto, che cosa avrebbe fatto qualsiasi persona ragionevole nella mia situazione, nel caso in cui la madre o il bambino fossero morti in circostanze naturali. Parlo di morte naturale. Santo cielo, se fossi un’assassina, mi sarei sbarazzata della povera Katherine mentre era fuori di sé, quando non sapevo neppure se si sarebbe ripresa. Per me era una minaccia. Per colpa sua rischiavo di rimetterci il bordello, i miei soldi, tutto, insomma. Ma non l’ho strangolata. Mio Dio, non ho mai pensato una cosa del genere! Ho nutrito quella povera ragazza fra una crisi e l’altra, l’ho aiutata a uscire dallo stato di follia in cui si ritrovava e poi è andato tutto bene.»

Tony la interruppe: «Ha detto che Katherine balbettava, vaneggiava e delirava. È come se…»

«Solo per tre giorni,» precisò Mrs Yancy. «Dovemmo persino legarla al letto per impedire che si facesse del male. Ma è durato solo tre giorni. Forse non era un vero e proprio esaurimento nervoso. Forse era solo una crisi passeggera. Infatti, dopo tre giorni, ritornò a star bene come prima.»

«I gemelli,» disse Joshua. «Ritorniamo ai gemelli. Sono loro che ci interessano.»

«Penso di avervi raccontato tutto,» ribattè Mrs Yancy.

«Erano identici?» domandò Joshua.

«Come si fa a dirlo appena nati? Sono tutti grinzosi e rossi. E impossibile stabilire se si somigliano soltanto o se sono identici.»

«Ma il medico avrebbe potuto fare un esame…»

«Eravamo in un bordello di lusso, Mr Rhinehart, non in un ospedale.» Solleticò il gatto sotto il mento e l’animale allungò felice una zampa verso di lei. «Il dottore non aveva né il tempo né gli strumenti necessari per una cosa del genere. E inoltre, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di scoprire se i due bambini erano identici o no?»

Hilary osservò: «Katherine chiamò uno dei due Bruno.»

«Sì,» rispose Mrs Yancy. «L’ho scoperto quando ha iniziato a spedirmi gli assegni, dopo la morte di Katherine.»

«Come ha chiamato l’altro bambino?»

«Non ne ho la più pallida idea. Quando se n’è andata, non aveva ancora scelto i nomi.»

«Ma i nomi non sono stati riportati sul certificato di nascita?» domandò Tony.

«Non c’era alcun certificato,» precisò Mrs Yancy.

«Ma com’è possibile?»

«Le nascite non sono state registrate.»

«Ma la legge…»

«Katherine insistè affinchè i bambini non venissero registrati. Ci stava offrendo un bel mucchio di soldi e ci comportammo come voleva lei.»

«Anche il dottore era d’accordo?»

«Si beccò mille dollari per far nascere i gemelli e tenere la bocca chiusa,» rispose la donna. «A quei tempi mille dollari erano una bella somma. Poteva anche infrangere un paio di regole.»

«I due neonati stavano bene?» domandò Joshua.

«Erano magri,» disse Mrs Yancy. «Anzi, scheletrici. Due creaturine patetiche. Probabilmente perché Katherine era rimasta a dieta per mesi. E anche per colpa dei busti. Ma strillavano come tutti gli altri bambini e avevano un discreto appetito. Insomma, sembravano sani, erano solo un po’ mingherlini.»

«Per quanto tempo si è fermata Katherine?» domandò Hilary.

«Quasi due settimane. Ha avuto bisogno di un po’ di tempo per recuperare le forze dopo un parto tanto difficile. E anche i bambini dovevano rimpolpare un po’ le ossa.» «Quando se ne andò, prese con sé entrambi i bambini?»

«Ma certo. Non gestivo un asilo. Fui felice quando decise di tornare a casa.»

«Sapeva che aveva intenzione di riportare solo uno dei gemelli a St. Helena?»

«Sì, credo fosse questa la sua intenzione.»

«Le ha forse detto che cosa voleva fare dell’altro bambino?» intervenne Joshua precedendo Hilary.

«Penso volesse farlo adottare,» rispose Mrs Yancy.

«Lei pensa ?» sbottò Joshua, esasperato. «Non era minimamente preoccupata per quello che avrebbe potuto succedere a due creature indifese, nelle mani di una donna evidentemente squilibrata?»

«Si era ripresa.»

«Stronzate.»

«Glielo assicuro, se l’avesse incontrata per strada, non avrebbe mai immaginato che avesse dei problemi.»

«Ma per l’amor del cielo, dietro quella facciata…»

«Era la madre,» ribattè Mrs Yancy. «Non avrebbe fatto loro alcun male.»

«Lei non poteva esserne sicura,» continuò Joshua.

« Certo che ne ero sicura,» recitò Mrs Yancy. «Ho sempre avuto il massimo rispetto per la maternità e per l’amore di una madre. L’amore di una madre può operare miracoli.»

Ancora una volta, Joshua dovette reprimere l’impulso di afferrarla per i capelli.

Tony obiettò: «Katherine non avrebbe potuto far adottare il bambino. Non in mancanza di un certificato di nascita che provasse che il neonato era suo.»

«Questo lascia aperta la strada a possibilità decisamente meno simpatiche,» mormorò Joshua.

«Onestamente, non riesco a capirvi,» protestò Mrs Yancy scuotendo la testa e accarezzando il gatto. «Volete sempre credere al peggio. Non ho mai conosciuto persone più pessimiste di voi. Non avete mai pensato che forse si è limitata a lasciare uno dei due bambini davanti a una porta? Probabilmente l’avrà abbandonato davanti a un orfanotrofio o a una chiesa, in un luogo dove avrebbero potuto trovarlo facilmente e prendersi cura di lui. Immagino sia stato adottato da una giovane coppia facoltosa, in grado di offrirgli una casa confortevole, tanto amore, un’ottima istruzione e una miriade di vantaggi.»

Bruno Frye si sentiva nervoso, annoiato, solo, impaurito, a tratti sonnolento, ma molto più spesso frenetico. In attesa che calasse la notte, trascorse il martedì pomeriggio a conversare con la parte di sé che era morta. Sperava di calmare la sua mente irritata e di riacquistare una fredda determinazione, ma non riuscì a compiere grandi progressi in tal senso. Decise che si sarebbe sentito sicuramente più felice e meno solo se avesse potuto guardare se stesso negli occhi, come ai vecchi tempi, quando trascorrevano il tempo così, seduti l’uno di fronte all’altro e comunicavano fra loro senza bisogno di parole: quando erano una cosa sola. Si ricordò della scena nel bagno di Sally, accaduta solo poche ore prima, quando si era fermato davanti allo specchio e aveva confuso la propria immagine riflessa con quella di se stesso. Guardando negli occhi quello che pensava essere il suo altro sé, si era sentito meravigliosamente bene, in pace con il mondo. Ora doveva assolutamente recuperare quello stato mentale. E non c’era niente di meglio che guardare se stesso diritto negli occhi, per quanto fossero ormai vuoti e ciechi. Ma l’altro era sdraiato sul letto, con gli occhi serrati. Bruno sfiorò l’altro Bruno, quello morto, e sentì due orbite gelide; le palpebre non volevano sollevarsi nonostante il tocco delicato delle sue dita. Esaminò i contorni e avvertì le suture agli angoli, i minuscoli nodi di filo che tenevano abbassate le palpebre. Eccitato all’idea di tornare ad ammirare gli occhi dell’altro, Bruno si alzò di scatto e si precipitò da basso alla ricerca di un rasoio, di un paio di forbicine, di spilli, di un uncinetto e degli altri strumenti chirurgici di fortuna necessari per riaprire le palpebre dell’altro Bruno.

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