Jeanne Kalogridis - Il Signore dei Vampiri

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Il Signore dei Vampiri
Diari della famiglia Dracula
Il patto con il Vampiro
I figli del Vampiro
Dracula
In questo libro conclusivo della sensualissima trilogia
, Jeanne Kalogridis fonde brillantemente la sua appassionante storia della famiglia Tsepesh con quella narrata da Stoker, rivelando i retroscena del grande classico.

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Non esitai che un solo istante al pensiero del costo di una tale responsabilità.

«Benissimo! Ad ogni generazione, consegnerò in tuo potere il primogenito della mia famiglia, ma quale sarà il momento in cui diventerò immortale?»

«Il Cambiamento inizierà questa stessa notte, quando il sole sarà tramontato, e sarà portato a termine prima dell’alba. Un avvertimento: al mattino ti devi chiudere in qualche luogo solitario per riposare indisturbato. Non sarai più un uomo, ma una creatura del tutto diversa».

«Come cambierò?».

Il bambino sorrise, ma non c’era disprezzo né condiscendenza nei suoi occhi.

«Questo dipende dal tuo cuore e dalla tua mente. Infatti ognuno è diverso. Diventerai più potente, ma ci saranno delle limitazioni al tuo potere. Ci sono sempre delle limitazioni. Lascio a te di scoprirle».

«Limitazioni?». Assaporai quella nuova informazione e feci l’esperienza di un’improvvisa rivelazione che mi restituì un po’ della mia fiducia precedente di poter essere in grado di controllare quell’entità e così il mio destino finale. «E tu non hai limitazioni al tuo potere?», gli chiesi.

Un’altra risata dolce e tintinnante, poi il silenzio. Il bambino mi guardò con improvvisa solennità.

«Ci rimane soltanto una cosa da fare per completare il nostro patto», disse.

Mentre parlava, mi venne la pelle d’oca sulle braccia e sulla nuca. Quello era il momento che avevo atteso da tanto tempo, il momento che mi aveva sostenuto durante quegli ultimi, amari giorni, nel sapere che il mio regno terreno e la mia vita sarebbero ben presto finiti: il momento in cui avrei oltrepassato la soglia dell’immortalità.

«Un bacio», disse l’Oscuro. «Soltanto un bacio».

Si allontanò dal caminetto e si alzò in punta di piedi, con le braccia lungo i fianchi, e i petali rosa delle labbra atteggiati al bacio.

Mi mossi verso di lui, comprendendo finalmente, mentre mi chinavo, perché mi fosse apparso nelle sembianze di un bambino: così avrei dovuto inchinarmi davanti a lui per accettare il suo dono. Quel pensiero mi bruciò fin nel profondo, poiché non mi sono mai inchinato a nessuno tranne che a mio padre e a Mathias ma, anche allora, soltanto con riluttanza. Mi riempì anche di cattivi presentimenti, poiché sottolineava il fatto che non potevo controllare l’Oscuro Signore e convocarlo quando lo desideravo; ora, ero io sotto il suo controllo.

Ma non riuscivo ad accettare l’idea della morte, e così mi chinai e lo baciai; in quel momento, quando le mie labbra toccarono quella carne tenera e immortale, sentii un’ondata di potenza, di ebbrezza, uscire da lui ed entrare in me.

Lo fissai negli occhi e li vidi diventare profondi, passando dall’azzurro cielo all’indaco, il colore della notte. Erano scuri, splendidi e magnifici, occhi che facevano sì che un uomo non volesse fare altro che fissarli per l’eternità. Non riuscivo a resistere.

Mentre guardavo profondamente quegli occhi, vidi in essi lo sguardo della mia amata, lo sguardo dei miei morti. Lo sguardo dell’unica femmina a cui avevo permesso di amarmi, la mia defunta Ana; lo sguardo seducente, bello, traditore, di Radu; lo sguardo astuto, calcolatore, di mio padre Vlad e, dietro di esso, una oscurità infinita…

Caddi così profondamente in quell’oscurità che, quando ritornai in me pochi istanti più tardi — o furono ore? — aprii gli occhi e mi trovai in ginocchio davanti al camino. Il bambino era svanito, e il fuoco si era spento, lasciando solo cenere e braci ardenti.

Ma non sentivo freddo; le mie membra, la mia testa, il mio petto, formicolavano per una strana sensazione. Non il formicolio delle membra intorpidite ma, piuttosto, una strana sensazione di movimento interno, come se il mio corpo fosse stato svuotato del suo contenuto e poi riempito di api ronzanti. Mi sentii stranamente leggero e, quando mi alzai in piedi, lo feci con estrema facilità, senza i dolori dell’età e le ossa scricchiolanti che mi avevano afflitto negli anni passati.

Anche la mia vista era migliorata; il chiarore dei carboni nel caminetto sembrava incredibilmente lucente e come sfiorato dai colori dell’arcobaleno. In. effetti, mentre mi guardavo intorno nella stanza, vidi ogni oggetto più nitidamente e con maggiori dettagli di quanto avessi fatto in gioventù. Ognuno di essi era pervaso da una stupefacente profondità di colore e di struttura.

Mi voltai lentamente, guardando ogni cosa con il senso di meraviglia di un bambino e ridendo forte di puro piacere. Potevo vedere ogni luccicante granello della sabbia che formava le pietre nel caminetto, e ogni crepa, sottile come un capello nel mortaio.

Ma la luce delle candele (che ancora bruciavano, sebbene fossero mezze consumate e dritte nella cera fusa) mi accecò gli occhi tanto dolorosamente che le spensi tutte tranne una. Quella fioca luce si dimostrò più che sufficiente, poiché il colore e i dettagli non sbiadirono affatto, sebbene un rapido sguardo alla finestra mi mostrasse l’oscurità e la neve vorticante. Il sole era tramontato e, alla fine, arrivò la tempesta.

Corsi allo specchio, ansioso di esaminare il mio volto in cerca di cambiamenti… ma, ahimè!, quando fissai la lucida superficie di metallo, il mio viso era pallido e indistinto, e andava sbiadendo così come si potrebbe immaginare un fantasma che si dissolva nella notte. Avevo temuto che una cosa del genere potesse accadere, poiché avevo udito dei racconti dalla mia governante e da altri servi sul fatto che i volti dei morti non si riflettono negli specchi. Era forse la non visibilità il costo segreto del mio Patto?

Vi fu un discreto bussare alla porta: gridai, e udii in risposta la voce educata del mio giovane assassino. I monaci erano ritornati dalla foresta ed erano stati uccisi secondo le mie istruzioni.

Come prova per vedere se restavo visibile ai mortali, aprii la porta e guardai il soldato dalla barba rada.

«Eccellente», dissi, aspettandomi che gridasse nell’udire la mia voce senza corpo, o che invece mi oltrepassasse e guardasse al di là di me, cercandomi all’interno della stanza.

Mi aspettavo perlomeno di vedere quello che vedevo io: un uomo che stava scomparendo, ma lui mi guardò dritto in faccia e s’inchinò, senza manifestare alcun segno di turbamento o stupore.

«Benissimo, mio signore», disse, e allora gli ordinai di preparare il cavallo e di portarlo al palazzo, poiché entro breve tempo avrei lasciato il monastero.

«Ma è arrivata la neve, mio signore. Viaggiare non è sicuro».

Risi con disprezzo, poi ripetei la mia richiesta e gli diedi il permesso di andarsene. Non avevo più alcuna paura del freddo, della neve o di Basarab. Non temevo che una cosa: l’Oscuro Signore.

Ora il cavallo è pronto ma, prima, ho dovuto scrivere la storia della mia trasformazione poiché, sicuramente, nel corso dei secoli venturi ne dimenticherò le circostanze e la meraviglia.

Un giorno — ben presto — arriverà l’annuncio che il Principe valacco è morto, poiché è solo questione di tempo prima che il corpo decapitato di Gregor sia scoperto nella foresta. Non ho dubbi che Basarab abbia distrutto il mio esercito e il mio castello a Bucarest, ma io ho ottenuto la mia vittoria. Tra una generazione lui sarà morto, mentre io vivrò per sempre. Ho mandato un corriere con un messaggio per Ilona e i miei figli affinché mi raggiungano nella nostra nuova proprietà nei Carpazi.

E ora andrò a nord, per diventare una leggenda.

Capitolo primo

Lettera da Vlad Dracula, Bistritsa, a E. Bathory, Vienna

15 aprile 1893

Cara cugina,

Sembrano secoli da quando abbiamo tenuto una corrispondenza, e ancora di più da quando ci siamo incontrati in carne e ossa. Da allora sono accadute molte cose: io ho incontrato difficoltà di grave natura, talmente gravi, in effetti, che non so a chi rivolgermi per chiedere aiuto tranne che a te, mia astuta cugina piena di talento.

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