Non essere troppo dispiaciuta per lei, concluse Pen. Anche Bodie e io abbiamo il nostro mondo di dolore, tutto perché non volevamo farle male.
Ma l’abbiamo offesa e ferita.
E anche noi.
Maledizione.
Perché non ha preso le pillole?
Forse è meglio così. Se avesse dormito, Bodie e io… avremmo finito con il fare l’amore.
Probabilmente.
Senza probabilmente.
Non pensarci. Non pensarci proprio.
Tirò giù il secondo cuscino e se lo strinse sui seni.
Ricordava la sensazione di baciare Bodie.
La lancetta della benzina del furgone di Bodie indicava che c’era solo un quarto di carburante. Lui procedeva verso sud in Robertson Boulevard. Se ricordava correttamente, mancavano solo un paio di chilometri alla rampa d’ingresso della Santa Monica Freeway. Una volta in autostrada, fermarsi a far benzina sarebbe diventato un problema.
Mentre aspettava a un semaforo, vide una stazione di servizio sull’altro lato dell’incrocio.
Scattò il verde. Bodie passò l’incrocio e svoltò nella stazione di servizio. Si fermò accanto alle pompe. Levò la chiavetta dell’accensione. Girandosi sul sedile sbirciò nel buio del fondo del veicolo e disse: «Torno fra un minuto».
Melanie non rispose.
E se non era là dietro?
Doveva esserci. Bodie sapeva che avrebbe sentito aprirsi le portiere, se lei avesse cercato di sgattaiolare via.
Ma lui si pose la domanda.
Accese la luce e vide Melanie distesa sul sacco a pelo, le mani allacciate sul ventre. «Stai bene?» le chiese.
Lei non parlò e non si mosse.
«Non prendertela», aggiunse lui. «D’accordo? Non è successo niente fra me e Pen. Inutile rimuginarci sopra.»
Lei non rispose.
Bodie scese dal furgone. Mise la chiave nella tasca dei pantaloni e tirò fuori il portafoglio mentre si avvicinava all’ufficio della stazione. Camminando, guardò dietro un paio di volte.
In realtà non si aspettava che Melanie scattasse all’improvviso, ma ultimamente la ragazza aveva compiuto un sacco di gesti imprevedibili.
Inserì la carta di credito nella fessura sotto il divisorio di vetro. L’uomo dall’altra parte la raccolse. Bodie gli disse il numero della pompa che voleva usare, poi si diresse verso il veicolo.
Anche se non aveva mai perso d’occhio il furgone, decise di assicurarsi ancora una volta che Melanie fosse nell’interno, prima di ripartire.
Non va da nessuna parte, pensò. È sotto choc.
Infilò il becco della pompa nel serbatoio e tenne abbassata la leva.
Domani probabilmente le sarà passata. Forse mi pianterà, così mi risparmia il disturbo.
Quando il serbatoio fu riempito, Bodie riattaccò la pompa al suo posto, avvitò il tappo e ritornò verso l’ufficio.
Manca meno di un mese alla fine del semestre. In un modo o nell’altro per allora avremo troncato e io tornerò da Pen.
Bodie riprese la sua carta di credito, firmò il modulo. Staccò la ricevuta del cliente e lasciò cadere il resto nell’apposita fessura. L’uomo del distributore lo ringraziò.
Tornò indietro verso il furgone.
Salì al volante, accese la luce e controllò dietro. Melanie giaceva là come prima. Sembrava che non avesse mosso un muscolo per tutto il tempo che lui aveva impiegato a riempire il serbatoio.
Spense la luce, tirò fuori le chiavi e avviò il motore.
Con un po’ di fortuna, pensò, lei se ne starà buona e tranquilla là dietro per tutto il viaggio.
Bodie proseguì su una via laterale, si fermò all’angolo, poi svoltò a destra su Robertson Boulevard. Di nuovo nel viale, si chiese se doveva svoltare a destra o a sinistra quando avesse raggiunto l’autostrada.
Bastava aspettare i cartelli.
Qualsiasi strada vada a est… non devi finire davanti all’oceano.
Forse per l’estate ci sarà un appartamento libero nello stabile di Pen.
Si fermò ad aspettare il verde.
La questione reale è: ce la farò ad aspettare che finisca il semestre?
Sentì un leggero movimento alle sue spalle.
Perlomeno Melanie non era paralizzata.
Potrei andare a trovarla durante il week-end. Appena chiarita la situazione con Melan…
Un dolore atroce esplose nella testa di Bodie.
Pen si svegliò di soprassalto tremando e respirando a fatica, con il cuore che martellava.
Un campanello.
Qualcuno alla porta?
Suonò di nuovo.
Il telefono?
Scese dal letto e corse nella stanza, timorosa che il suono cessasse prima che lei raggiungesse l’apparecchio.
Chi poteva essere?
Sperò che fosse Bodie. Poteva essere chiunque.
L’uomo delle telefonate oscene. Harrison o Joyce. L’ospedale. Mio Dio, fa’ che non siano cattive notizie.
Forse hanno sbagliato numero.
Il telefono squillò di nuovo.
Il corridoio era illuminato debolmente dalla lampada in soggiorno che lei non s’era curata di spegnere.
Sbatté la mano contro lo stipite della porta della cucina per fermarsi, girò l’angolo e sollevò la cornetta…«Pronto.»
«Sei tu, vero?»
Pen conosceva la voce. La sua pelle parve accartocciarsi. La sentì formicolare.
«Niente segreteria, stavolta?»
«No.»
«Sai chi sono?»
«Che cosa vuoi?» domandò Pen con voce tremante.
«Voglio parlare. Mi sei mancata. Sei stata via?»
Riappendi, pensò lei. Ma se lo faccio, lui richiamerà.
O verrà qui. Sa che sono in casa.
Pen si ricordò del fucile. L’aveva lasciato in soggiorno, appoggiato contro il muro vicino alla porta, dietro le tende.
Lascialo venire. Fagli una bella sorpresa.
«Oppure avevi paura di rispondere al telefono? Non avrai paura di me, eh, dolcezza?»
«Perché dovrei aver paura?» ribatté Pen, cercando di tener ferma la voce.
Lui rise. Una risata quieta e sicura che le diede una stretta allo stomaco.
«Speravo che richiamassi», disse Pen.
«Davvero?»
«Le cose che hai detto… Ho ascoltato tante volte il nastro. Mi piace.»
«Ti eccita?»
«Certo. Mi sto eccitando anche ora.»
«Che cosa indossi?»
Niente. Pen avrebbe voluto prendere la vestaglia mentre si precipitava al telefono.
«Jeans e maglietta.»
«Hai il reggiseno?» sibilò lui.
Per poco non rispondeva di sì. Avrebbe voluto portare il reggiseno. Avrebbe voluto essere completamente vestita. Non si era mai sentita così esposta e vulnerabile.
Non mollare, si disse.
Con un brivido rispose: «No».
«Favoloso. Una maglietta senza reggiseno. Mi pare di vederla. Sicuro. Oh, il mio cazzo si sta ingrossando, diventa caldo. Sai che cosa vorrei fare? Sollevarti la maglietta e succhiarti le tette.»
«Vuoi che me la levi?» chiese Pen.
«Oh, sì.»
Che diavolo sto facendo? Si chiese lei. Sono impazzita? «Ecco, l’ho levata.»
Lui sospirò. «I tuoi capezzoli sono duri?»
Lei guardò giù. Erano duri. Ma non per il desiderio. «Sì, sono duri», rispose.
«Mi piacerebbe sfregarci sopra il mio cazzo. A te piacerebbe?»
«Certo.»
«Oh, lo so, lo so. Non ti toglieresti anche i pantaloni?»
«Solo un secondo.»
«E le mutandine. Ti voglio nuda.»
Pen sentì il respiro aspro all’altro capo del filo. Mentre ascoltava, si appoggiò allo stipite. Sfregò le gambe fredde e guardandole si accorse di avere la pelle d’oca.
«Va bene», disse. «Sono nuda. E tu?»
«Naturale. Il mio cazzo è grosso grosso. Lui ti vuole.»
«Lui?»
«Spike.»
Quasi divertente, pensò Pen. Il verme ha dato un nome al suo pene. Un nome da cane, Spike.
«Scommetto che Spike è grosso e poderoso», riprese Pen. «Mi piacerebbe sentirlo.» Sentì le proprie parole come in sogno. Non sono io, pensò, è un personaggio di una delle mie storie che parla con un pazzo.
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