— Shepry, siamo ancora collegati alla rete? — Per l’energia e le comunicazioni l’isola disponeva di un cavo in fibra ottica steso sul fondale oceanico. L’osservazione di quella notte avrebbe richiesto la collaborazione dei computer che c’erano sul continente.
— Controllerò. — Neterain rise. — Potremmo avere qualcosa di interessante da mostrare a quella gente, a Principalia! — Accese il radar e cominciò a studiare lo schermo. Era la Natura o la Guerra a parlare con loro quella notte? Comunque fosse, lui sapeva che quel messaggio era molto importante.
Era soprattutto quando volava che Hrunkner Unnerbai sentiva la lontananza della sua giovinezza. A quel tempo gli aerei venivano portati in aria da motori a pistoni, su ali fatte di legno e tela.
Inoltre, quello del generale Smait non era uno dei comuni jet usati dai dirigenti. Stavano volando verso sud a trentamila metri di quota, a una velocità tripla di quella del suono, e i due motori emettevano soltanto una vibrazione che si sentiva nelle viscere più che negli orecchi. All’esterno la luce delle stelle e quella ormai scarsissima del sole consentivano appena di vedere i colori delle nuvole, più in basso. L’ufficiale alle comunicazioni aveva detto che intorno a loro c’era uno squadrone di aerei da caccia dell’Alleanza, da cui sarebbero stati scortati fino all’aeroporto dell’ambasciata, a Meridionalia, ma l’unica traccia che Unnerbai vedeva di loro era un effimero e non identificabile scintillio nel cielo, ogni tanto. Fece un sospiro. Come tutto ciò che contava, in quel mondo moderno, anche loro si muovevano troppo veloci per l’occhio dei semplici mortali.
L’aereo privato del generale Smait era in realtà un bombardiere supersonico, il genere di apparecchio che l’avvento dei satelliti stava mandando in disuso. — La Difesa Aerea me l’ha praticamente regalato — aveva detto il generale mentre s’imbarcavano. — Roba del genere sarà messa da parte quando l’aria comincerà a nevicare al suolo. — Allora avrebbe preso inizio un’industria dei trasporti di nuovo genere. Velivoli balistici? Dirigibili antigravità? Inutile pensarci. Se la loro missione fosse fallita non ci sarebbero state nuove industrie di nessun genere, solo combattimenti fra le rovine del mondo.
Il centro della fusoliera ospitava una quantità di computer e di equipaggiamento elettronico. Unnerbai aveva visto le antenne laser e a microonde sulla coda dell’aereo. I tecnici mantenevano i contatti con l’Alleanza come se fossero ancora a Comando Territoriale. Non c’erano camerieri a bordo. Hrunkner e il generale sedevano su trespoli che dopo tre ore di volo sembravano strumenti di tortura. E c’era da scommettere che gli addetti alle armi di bordo erano ancora più scomodi di loro. Dieci militari; questo era tutto il personale che il generale si portava dietro per la sua sicurezza personale.
Victreia Smait era stata molto occupata e molto silenziosa. Il suo segretario Mit Daunin aveva portato a bordo numerosi computer, tutta roba ingombrante che doveva essere piena di sistemi protettivi. Nelle ultime tre ore il generale non aveva fatto che consultare una dozzina di schermi, girati verso di lei. Hrunkner s’era domandato cosa stesse guardando. Le reti militari, sommate a quelle pubbliche, le davano una visione del mondo completa come quella di Dio.
Stavano sorvolando gli stretti, coperti di iceberg, quando uno dei tecnici di bordo richiamò la loro attenzione sullo schermo comune dei passeggeri. — È successo qualcosa di strano, signora. Si direbbe una specie di esplosione nucleare, ma molto lontana, forse sull’altro emisfero.
— Mmh — disse Victreia Smait. Unnerbai guardò lo schermo ma non gli parve di vedere proprio niente.
— Dev’essere accaduto sul Mare Nordico, oltre la curvatura del pianeta, signora. Fra poco avremo altri dati. Le mando a schermo una carta geografica.
Nell’inquadratura che Hrunkner stava scrutando apparve una carta della Costa Settentrionale. C’erano dei cerchi colorati concentrici in una zona milleduecento chilometri a nord di Isola Paradiso, una vecchia base navale Tiefer convertita in stazione turistica. Era praticamente dalla parte opposta del pianeta rispetto a loro.
— Soltanto un’esplosione? — domandò il generale.
— Sì, ma a quota molto elevata. Un attacco elettromagnetico, si direbbe, con potenza esplosiva inferiore a un megatone. Stiamo assemblando questa carta con tutto ciò che ci arriva dai satelliti e dalle stazioni al suolo, e da Principalia. — Cifre e dati presero a scorrere su un lato della mappa. Uh. Hrunkner vide che c’era perfino il resoconto di un testimone oculare da Isola Paradiso, un astronomo dell’osservatorio.
— Quali sono le nostre perdite?
— Nessuna perdita militare, signora. Due satelliti non trasmettono, ma forse sono stati accecati solo temporaneamente. Non si può dire che sia stata un’esplosione termonucleare, signora.
E allora cos’era stato? Un test? Un avvertimento? Hrunkner continuò a guardare lo schermo.
Jau Xin s’era già avvicinato al pianeta un anno addietro, ma a bordo di una scialuppa a sei posti e per una missione di poca importanza. Ora stava dirigendo la manovra della Mano Invisibile, un’astronave interstellare di un milione di tonnellate.
Questo era il vero arrivo dei conquistatori, anche se la maggior parte di quei conquistatori vedevano se stessi come dei benemeriti salvatori. Seduto accanto a Jau, Ritser Brughel occupava quella che un tempo era stata la poltroncina del comandante Qeng Ho della nave. Il Dirigente snocciolava ordini in tono saccente, come se presumesse di essere all’altezza di governare quella nave. A ogni modo erano scesi fino a sfiorare l’atmosfera sul polo nord di Arachna, per poi decelerare a circa 1 G. L’accensione dei propulsori era avvenuta su una zona d’oceano poco abitata, ma senza dubbio era stata vista in buona parte di quell’emisfero come qualcosa di simile alla coda di una cometa.
Brughel osservava la distesa di iceberg che scivolava via sotto di loro, con espressione dura. Provava disgusto davanti a quel mare di ghiaccio immerso nel buio? Oppure trionfo, nel vedere il mondo di cui sarebbe stato il vice governatore? Probabilmente entrambe le cose. E lì in plancia ogni sua parola esprimeva una soddisfazione truculenta e desiderio di violenza. Tomas Nau aveva mascherato i suoi sentimenti mentre tornava su L1, ma lasciato a se stesso Ritser Brughel stava scatenando i suoi. Jau aveva visto di sfuggita i corridoi che portavano agli alloggi privati del vice caponave: pareti dipinte di vortici rosa stranamente sensuali, spiacevoli, malsani. Al personale era proibito entrare là. Mentre si allontanavano da L1, Jau aveva sentito Brughel parlare col caporale Anlang del regalo speciale che avrebbe scongelato per festeggiare la vittoria. No, non pensare a questo. Sai già troppe cose che non dovresti sapere.
Le voci dei piloti erano un mormorio continuo negli auricolari di Jau, e gli confermavano quel che vedeva sugli schermi. Si volse a Brughel col tono rispettoso che l’altro pretendeva. — La frenata è finita, signore. Siamo in orbita polare, a centocinquanta chilometri di quota. — Un po’ più in basso e la Mano avrebbe dovuto mettersi le ruote.
— Siamo visibili da migliaia di chilometri a occhio nudo, signore — disse ancora Jau, con aria preoccupata. Stava recitando la parte dello sciocco fin da quand’erano partiti. Era un gioco pericoloso, ma lui non aveva abbastanza pelo sullo stomaco da recitare l’altra, quella del complice, come Anlang. Eppure sto per rendermi complice di uno sterminio di massa.
Brughel gli elargì un sorrisetto sprezzante. — E con ciò, signor Xin? Il trucco sta appunto in questo: farci vedere ben bene… e poi intervenire per manipolare il modo in cui loro interpretano ogni informazione. — Apri il canale audio col reparto delle testerapide di bordo. — Signor Phuong! Avete mimetizzato il nostro arrivo?
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