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Ursula Le Guin: Il mondo di Rocannon

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Ursula Le Guin Il mondo di Rocannon

Il mondo di Rocannon: краткое содержание, описание и аннотация

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In un mondo ai confini della Galassia, tre razze native – gli Odemiar, abitanti delle caverne, gli elfici Fiia e i Liuar, guerrieri divisi in clan – vengono improvvisamente aggredite e conquistate da una flotta di astronavi provenienti da un universo sconosciuto. Lo scienziato terrestre Rocannon, che si trova in quel mondo, assiste impotente allo sterminio dei suoi amici e alla distruzione della sua astronave. Abbandonato tra popoli alieni, Rocannon guida allora la battaglia per la liberazione, scoprendo che, in breve tempo, la sua figura assume contorni leggendari e che qualcuno lo considera addirittura un dio…

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Il vento soffiava fischiando; il rigagnolo caldo mormorava ai suoi piedi. Muovendosi lentamente e con passo leggero, l'abitante della caverna si fece da parte, e Rocannon, curvandosi, entrò nell'oscurità.

Che cosa intendi dare per ciò che ti ho dato?

Che cosa devo dare, Antico?

La cosa che hai più cara e che meno facilmente daresti di tua volontà.

Su questo mondo non ho niente di mio. Che cosa posso dare?

Una cosa, una vita, una possibilità; un occhio, una speranza, un ritorno: non è necessario che si sappia il nome. Ma tu griderai forte il suo nome quando l'avrai perduta. La dai liberamente?

Liberamente, Antico.

Silenzio interrotto soltanto dal soffio del vento. Rocannon curvò la testa e uscì dall'oscurità. Quando raddrizzò la schiena, una luce rossa gli colpì dolorosamente gli occhi: un'alba fredda e rossastra su un mare grigio e scarlatto di nubi.

Sulla sporgenza più bassa dormivano Mogien e Yahan, raggomitolati insieme: un mucchio di pellicce e di mantelli, che non si scosse quando Rocannon scese fino a loro. — Sveglia — disse, piano. Yahan si rizzò a sedere, con uno sguardo stordito, infantile sotto la luce rossa dell'alba.

— Olhor! Pensavamo… Non c'eri più… pensavamo che fossi caduto…

Mogien scosse la testa dai capelli biondi per liberarsi dal sonno, e per un lunghissimo istante fissò Rocannon. Poi disse gentilmente, con voce roca: — Benvenuto, Signore delle Stelle, compagno. Ti abbiamo atteso qui.

— Ho trovato… Ho parlato con…

Mogien alzò la mano. — Sei ritornato; io mi rallegro del tuo ritorno. Andiamo verso sud?

— Sì.

— Bene — disse Mogien. In quel momento non parve affatto strano a Rocannon che Mogien, che fin dalla partenza si era comportato come il capo del gruppo, si rivolgesse a lui come un Signore di grado inferiore si rivolge a uno di alto rango.

Mogien soffiò nel fischietto, ma anche se attesero a lungo, i destrieri non comparvero. Consumarono gli ultimi rimasugli del pane duro e nutriente dei Fiia, e ripartirono a piedi. Il calore della tuta aveva rinvigorito Yahan, e Rocannon insistette perché continuasse a indossarla. Il giovane avrebbe avuto bisogno di cibo e di un vero riposo per riprendere le forze, ma era in grado di procedere, e, soprattutto, non potevano fermarsi lassù: il rosso dell'alba preannunciava il cattivo tempo.

La discesa non era pericolosa, ma era lenta e faticosa. A metà mattino comparve uno dei grifoni: il grigio di Mogien proveniente dalle foreste della lontana pianura. Lo caricarono con le selle, i finimenti e le pellicce (non avevano portato altro con sé: avevano dovuto abbandonare il resto dell'equipaggiamento), e l'animale continuò a volare intorno a loro a suo piacere, di tanto in tanto miagolando per chiamare il compagno dal manto a strisce, che stava ancora cacciando o nutrendosi nelle foreste.

Verso mezzogiorno giunsero a un passaggio difficile: una parete verticale che si innalzava come uno scudo, e che avrebbero dovuto discendere in cordata. — Dall'aria potresti trovare un percorso più facile, Mogien — suggerì Rocannon. — Vorrei che tornasse anche l'altro grifone. — Sentiva che doveva fare presto; voleva lasciare quanto prima la montagna grigia e nuda, per nascondersi tra gli alberi.

— Quell'animale era esausto, quando l'abbiamo lasciato libero; può darsi che non sia ancora riuscito a catturare una preda. Quello che è tornato ha portato un carico più leggero, sul passo. Vado a controllare la larghezza di questa parete. Forse l'animale che abbiamo ci potrà portare tutti e tre, per un breve tratto.

Soffiò nel fischietto, e il grifone grigio, con quella fedele obbedienza che non mancava di stupire Rocannon in bestie così grandi e così carnivore, fece una curva nell'aria e venne a posarsi con grazia sulla sporgenza dove erano fermi i tre uomini. Mogien salì in sella e partì con un grido, e i suoi capelli biondi colsero l'ultimo raggio di sole che riusciva a superare i banchi di nuvole sempre più densi.

Il vento gelido continuava a soffiare. Yahan andò a raggomitolarsi al riparo di una roccia e chiuse gli occhi. Rocannon sedette sulla roccia, con lo sguardo perso nella distanza, ai cui estremi confini si poteva scorgere lo splendore del mare. Non osservò l'immenso, vago paesaggio che compariva a tratti fra le nubi mosse dal vento, ma fissava un unico punto a sudest, un solo luogo. Chiuse gli occhi, e ascoltò. E udì.

Era uno strano dono, quello che aveva ricevuto dall'abitante della caverna, il guardiano della sorgente calda, sulla montagna senza nome. Un dono che non avrebbe mai osato chiedere. Laggiù nell'oscurità, accanto alla profonda sorgente calda, gli era stata insegnata un'arte dei sensi che la sua razza, e gli uomini della Terra, avevano incontrato e studiato in altre razze, ma verso la quale erano ciechi e sordi, salvo qualche breve visione e qualche rara eccezione. Per restare fedele alla propria umanità, Rocannon non aveva voluto accettare la totalità del potere che il guardiano della fonte possedeva e offriva. Egli aveva imparato ad ascoltare la mente di una sola razza, di un solo tipo di creature; una sola voce fra tutte le voci dell'universo: quella dei suoi nemici.

Con Kyo aveva sperimentato una forma elementare di linguaggio mentale, ma non desiderava conoscere la mente dei compagni, se i compagni non potevano leggere la sua. La comprensione doveva essere reciproca, se la fiducia e l'amicizia lo erano.

Ma quando si trattava di coloro che avevano ucciso i suoi amici e che avevano spezzato il vincolo della pace, egli era disposto a spiare nelle loro menti, a origliare i loro pensieri. Seduto su una sporgenza di granito, su una montagna senza sentieri, adesso Rocannon ascoltava i pensieri di uomini che si trovavano in edifici circondati da basse colline, migliaia di metri al di sotto della sua altitudine, a cento chilometri di distanza. Chiacchiere confuse, ronzii, mormoni, un remoto agitarsi di sensazioni ed emozioni tempestose.

Non sapeva ancora come distinguere una voce dall'altra, ed era stordito da cento diversi luoghi, cento diverse posizioni: ascoltava come i bambini in fasce, senza capacità di discriminazione. Coloro che nascono con occhi e orecchi devono imparare a vedere e ad ascoltare, e distinguere una faccia in mezzo alle duplici immagini, una per occhio, che gli giungono da un mondo in cui il «sopra» e il «sotto» sono invertiti, a scegliere un significato in mezzo a una confusione di rumori. Il guardiano della fonte aveva un dono di cui Rocannon aveva sentito parlare una sola volta, su un pianeta lontano: quello di dischiudere il senso della telepatia. Aveva insegnato a Rocannon come limitarlo e come dirigerlo, ma Rocannon non aveva avuto il tempo di imparare a usarlo, di fare esercizio.

Rocannon si sentiva girare la testa sotto gli urti dei pensieri estranei, come se mille sconosciuti si fossero affollati nel suo cranio. Ma non gli giungevano parole. Il termine che gli Angyar (i quali però non ne disponevano) usavano per definire quel nuovo senso era «ascoltare con la mente». Ma ciò che Rocannon «ascoltava» non erano le parole, bensì le intenzioni, i desideri, le emozioni, le collocazioni nello spazio e le direzioni sensoriali-mentali di molti uomini diversi; tutto ciò si accalcava e si sovrapponeva nel suo sistema nervoso: terribili ventate di paura e di invidia, soffi di soddisfazione, abissi di sonno, una tormentosa e selvaggia vertigine di mezze comprensioni e mezze sensazioni.

E poi, all'improvviso, emerse dal caos qualcosa di assolutamente chiaro, un contatto più netto di quello di una mano posata sulla sua pelle nuda. Qualcuno stava venendo verso di lui, un uomo che con la mente aveva percepito la mente di Rocannon. Insieme a questa certezza, impressioni minori: velocità, un luogo chiuso, curiosità e paura.

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