Mogien e Yahan si addormentarono non appena fece buio, stendendosi accanto alla cenere ancora calda; avevano spento il fuoco per non attirare gli Uomini Alati. Come Rocannon aveva intuito, Kyo era più resistente degli uomini per ciò che riguardava il veleno. Rimase a sedere con Rocannon, al buio, sulla riva del fiume.
— Hai salutato i Kiemhrir come se tu li conoscessi già — osservò Rocannon.
Il Fian rispose: — Se uno di noi ricordava una cosa, al villaggio, la ricordavamo tutti, Olhor. Per questo noi conosciamo molte storie, e molte dicerie, e menzogne e verità, e non si può mai sapere quanto siano antiche…
— Eppure non conoscevi gli Uomini Alati.
Sembrava che Kyo preferisse evitare l'argomento, ma infine rispose: — I Fiia non ricordano le cose di cui hanno avuto paura, Olhor. La notte e le caverne, e le spade di metallo, le abbiamo lasciate al Popolo dell'Argilla, quando il nostro cammino si e separato dal loro, e abbiamo dimenticato molto!
La sua voce leggera era più ferma, più ansiosa di prima, quella sera, e giungeva chiara attraverso il rumore dell'acqua che scorreva sotto di loro e di quella che precipitava dalla cascata, sopra di loro.
— Ogni giorno — riprese Kyo, — a mano a mano che procediamo verso sud, io penetro sempre più profondamente nelle favole che i miei compagni imparano da bambini, nelle valli dell'Angien. E vedo che quelle favole sono vere. Ma abbiamo dimenticato metà di quelle favole. I piccoli Divoratori di Nomi, i Kiemhrir, sono presenti nelle vecchie canzoni che ci cantiamo da una mente all'altra, ma non gli Uomini Alati.
«Ci sono gli amici, ma non i nemici. C'è la luce del sole, ma non il buio. E io sono il compagno di Olhor che viaggia verso sud, verso le leggende, senza portare spada. Io viaggio con Olhor, che cerca di ascoltare la voce del suo nemico, Olhor che ha attraversato il grande buio, che ha visto il Mondo sospeso nell'oscurità come una gemma azzurra. Io sono soltanto un mezzo uomo. Io non posso oltrepassare le montagne. Io non posso recarmi nei Luoghi Alti con te, Olhor.
Rocannon posò delicatamente la mano sulla spalla del Fian, e subito la piccola creatura tacque. Rimasero seduti ad ascoltare lo sciacquio del fiume, della cascata nella notte, a guardare la luce grigia delle stelle riflessa sull'acqua che scorreva, tra le macchie e le volute del polline trasportato dal vento, fredda come il ghiaccio, proveniente dalle montagne del sud.
Due volte, durante il volo del giorno successivo, videro lontano, a est, le cupole e le strade a raggiera delle città alveare. Quella notte fecero doppi turni di guardia. La sera del giorno dopo erano penetrati per un buon tratto nella zona delle montagne, e una pioggia gelida e sferzante li accompagnò per tutta la notte e per il giorno seguente, in volo. Quando le nubi gonfie di pioggia si aprirono un poco, videro che tutt'intorno a loro, nella distanza, si alzava una catena di montagne altissime.
Trascorse un'altra notte di pioggia e di turni di guardia: questa volta si accamparono sulla cima di una montagnola, sotto le rovine di un'antica torre, e l'indomani, poco dopo il mezzogiorno, si trovarono dall'altra parte del passo, dove vennero accolti dal sole e da un'ampia valle che si dirigeva a sud, verso una lontanissima catena di monti.
Ora, alla loro destra, mentre percorrevano in volo la valle come se fosse stata una grande autostrada verde, i picchi bianchi si ergevano serrati, lontani e immensi. Il vento era tagliente e dorato, e i destrieri si facevano trasportare come foglie cadenti illuminate dal sole. Sopra la dolce conca verde che si stendeva sotto di loro, e sulla quale parevano disegnate a smalto macchie più scure di alberi e cespugli, aleggiava una striscia sottile di grigio. Il grifone di Mogien scese a grandi cerchi, Kyo indicò a Rocannon un punto, e presto giunsero al villaggio che giaceva tra fiume e collina, illuminato dal sole e con i piccoli camini che fumavano. Un gregge di herilor brucava tranquillamente sul fianco della collina, al di sopra di esso. Al centro del cerchio irregolare di casette, tutte di travi sottili, con schermi scorrevoli e porticati grandi e soleggiati, si alzavano cinque grandi alberi. I viaggiatori presero terra accanto a questi alberi, e i Fiia vennero a salutarli, timidi e sorridenti.
I Fiia di quel villaggio parlavano male la Lingua Comune, e non erano abituati a usare la voce. Tuttavia ai viaggiatori sembrò di essere ritornati a casa, quando entrarono nelle ariose casette, quando mangiarono in piatti di legno levigato, lontano dalla solitudine e dall'inclemenza del tempo per una sera, accolti dall'allegria e dall'ospitalità. Era uno strano minuscolo popolo, sfuggente, mutevole, aggraziato: Kyo stesso l'aveva chiamato il Mezzo Popolo.
Eppure lo stesso Kyo era ormai diventato leggermente diverso da loro. Sebbene, nell'abito che gli avevano dato, sembrasse identico, e si muovesse e gesticolasse come loro, quando era insieme con gli altri lo si riconosceva subito. Forse perché, essendo un forestiero, non poteva parlare liberamente con il pensiero con gli abitanti del villaggio, forse perché l'amicizia di Rocannon l'aveva cambiato, l'aveva fatto diventare un altro tipo di essere, più solitario, più triste, più completo.
I Fiia conoscevano la configurazione del paese. La zona al di là della grande catena posta a occidente era deserta; per continuare il viaggio verso sud, i viaggiatori avrebbero dovuto seguire la valle, tenendosi a est delle montagne, finché la catena stessa non si fosse volta a est.
— Ci sono dei passi che permettono di oltrepassarla? — domandò Mogien, e i piccoli Fiia dissero: — Certo, certo.
— E sapete cosa giace al di là di quei passi?
— Quei passi sono molto alti, molto freddi — risposero i Fiia, educatamente.
I viaggiatori si trattennero per due notti nel villaggio a riposare, e ripartirono con i bagagli pieni di pane e di carne secca regalata loro dai Fiia, popolo che provava grande piacere nel donare.
Dopo due giorni di volo giunsero a un altro villaggio del piccolo popolo, dove furono nuovamente ricevuti in grande amicizia, tanto che il loro, più che l'arrivo di persone estranee, si sarebbe detto il ritorno di amici lungamente attesi. Quando i destrieri presero terra, un gruppo di Fiia, uomini e donne, venne ad accogliere i viaggiatori, salutando Rocannon, che era stato il primo a smontare di sella, con le parole: — Salve, Olhor!
Rocannon rimase assai sorpreso, e la sorpresa non cessò neppure dopo che si fu detto che quella parola, naturalmente, significava «viaggiatore, errante» e così via, tutti appellativi che corrispondevano al vero. Eppure, a dargli quel soprannome era stato proprio Kyo, il Fian.
In seguito, mentre erano accampati più a valle, dopo un'altra lunga, tranquilla giornata di volo, Rocannon disse a Kyo: — Tra la tua gente, Kyo, avevi un tuo nome proprio?
— Mi chiamavano «pastore», o «fratello giovane», o «corridore». Ero sempre il primo della corsa.
— Ma questi sono soprannomi, descrizioni; come Olhor o Kiemhrir. Siete dei grandi inventori di appellativi, voi Fiia. Salutate ogni visitatore con un soprannome diverso: Signore delle Stelle, Portatore di Spade, Capelli di Sole, Signore delle Parole. Credo che gli Angyar abbiano preso da voi l'amore dei soprannomi. Eppure voi non avete nomi propri.
— Signore delle Stelle, Venuto da Lontano, Capelli di Cenere, Portatore del Gioiello — disse Kyo, sorridendo. — Che cos'è, un nome proprio?
— Capelli di Cenere? Mi sono venuti i capelli grigi? Non sono certo di sapere che cosa sia un nome proprio. Il mio nome, quello che mi è stato dato alla nascita, è Gaveral Rocannon. Una volta detto questo, non ho descritto niente, ma mi sono dato un nome. E quando vedo un nuovo tipo di albero chiedo a te (o a Yahan o a Mogien, perché tu rispondi raramente) quale sia il suo nome. Mi sembra che mi manchi qualcosa, finché non so il suo nome.
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