John Varley - Demon

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Demon: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel silenzio più assoluto lei ricreava La Sylphide lì sopra le assi di quell'immondo pontile, piroettando leggera a due passi dalla pattumiera dell'umanità.

Concluse con una riverenza, poi gli sorrise. Rocky frugò nella sua borsa e ne trasse un altro pacchettino di cocaina, pensando che era una ricompensa modesta anche solo per quel sorriso. Lei lo prese e s'inchinò ancora. D'impulso, egli si cercò fra le chiome spiccandone un fiore bianco, uno dei tanti che vi si annidavano intrecciati, e glielo porse. Lei lo ricambiò stavolta con un sorriso ancor più dolce, che andò a mutarsi in pianto.

Grazie, padrone, mille grazie - gli disse, e corse via.

— E a me non me l'hai portato un fiore, scimmione?

Volgendosi, Rocky si trovò di fronte un esemplare basso e muscoloso di maschio umano, o "maschio canadese", come costui amava definirsi. Il titanide conosceva Conal da tre anni, e lo giudicava magnificamente pazzo.

— Non credevo che venivi qui a cercare umani per…

— Non dire "chiavare", Conal, o ti butto giù qualche dente.

— E cosa dovrei dire? Che grande affare avreste concluso?

— Insensibile come sei alla bellezza, non potresti assolutamente capire. Ti basti sapere che il tuo arrivo è stato come una cacata dentro un vaso Ming.

— Be', io ci provo. — Si tolse il mantello foderato di lana che portava sulle spalle, diede uno sguardo in giro, tirò un'ultima boccata dal mozzicone del sigaro e lo buttò nell'acqua sudicia. Conal non si separava mai dal suo mantello. Rocky pensava che quell'indumento gli desse un odoreinteressante.

— Visto gnente? — chiese infine Conal, senza perder d'occhio le sette sorelle appostate a guardia del Quartiere. Anche loro lo stavano osservando, armi rilassate ma pronte all'uso.

— No. Non conosco la città, però mi sembra tutto tranquillo.

— Pure a me. Speravo che il tuo naso aveva annusato qualcosa che a me non mi era saltato all'occhio. Ma però ci ho l'impressione ch'è un pezzo che non vengono qui.

— Se fossero venuti, me ne sarei accorto — confermò Rocky.

— Allora credo che potete andare avanti. — Aggrottò le sopracciglia, poi guardò in su verso Rocky. — A meno che non decidi di dissuaderla.

— Non posso, e non voglio — replicò Rocky. — C'è in giro qualcosa di tremendamente brutto. Bisogna agire subito.

— Già, però…

— Non è poi così pericoloso, Conal. Non le farò alcun male.

— Diavolo d'un cane, sarà proprio meglio, te lo dico io!

Cirocco e Conal avevano passato un po' di tempo a contrattare, quel primo giorno. Ne erano trascorsi, di anni, ma Conal se lo ricordava bene. Lui le aveva offerto la propria sottomissione vita natural durante. Cirocco aveva argomentato che era troppo: sarebbe stata una crudele e inaudita punizione. La sua controproposta suggeriva due miriariv. Un po' alla volta Conal era sceso a venti. La Maga aveva rilanciato con tre.

Alla fine si erano messi d'accordo su cinque. Quello che Cirocco non sapeva, era che Conal aveva avuto allora, e nutriva ancora, l'inflessibile determinazione di mantenere la sua iniziale promessa. Le sarebbe stato fedele servitore sino alla morte.

Egli l'amava con tutta l'anima.

Ciò non vuol dire che non avesse mai conosciuto esitazioni e momenti neri. Gli era capitato che standosene seduto al buio, da solo, talune barriere mentali erano cadute, e aveva incominciato a provare un certo risentimento, ad accarezzare l'idea che lei l'aveva trattato davvero male, che gli aveva inflitto un calvario non del tutto meritato. Quante penose interminabili "notti" aveva consumato insonne, nell'eterno crepuscolo di Gea, sentendo la ribellione crescergli dentro e sperimentando un terrore assoluto… Perché talvolta non poteva fare a meno di pensare che, in profondissime inaccessibili regioni del suo cuore, egli doveva odiarla, e questo era un concetto spaventoso, poiché mai egli aveva conosciuto una persona così meravigliosa. La vita stessa, gli aveva donato. Ed egli sapeva ora, cosa ignorata allora, che un gesto come quello, lui , non l'avrebbe mai compiuto. Lui gli avrebbe sparato, invece, a quello stupido impiccione, a quell'idiota coi suoi fumetti. Anche adesso gli avrebbe sparato, se gli fosse capitato d'incontrare un simile imbecille. Un bel buco tondo proprio in mezzo alla fronte, bang! , com'era giusto e inevitabile.

I primi chiloriv erano stati duri. Si chiedeva ancora come avesse fatto a superarli. Sostanzialmente. Cirocco non aveva tempo di starsi a preoccupare per lui, e Conal era rimasto confinato in quella inaccessibile caverna. Di tempo per riflettere ne aveva in abbondanza, e così, intanto che guariva, diede un'occhiata a se stesso per la prima volta in vita sua. Ma non in uno specchio; non esistevano specchi, nella grotta, e per un po' tale circostanza lo fece ammattire, avvezzo com'era a contemplarsi per ammirare il rigoglio possente dei propri muscoli… e anche perché avrebbe voluto verificare sino a che punto era rimasto sfigurato. Alla fine, incominciò a guardare in altre direzioni. Prese a usare lo specchio della trascorsa esperienza, e ciò che vide non gli piacque.

Vediamo un po': che cosa possedeva, lui? A conti fatti, risultò disporre di un fisico vigoroso (al momento piuttosto malridotto) e… della sua parola. Nient'altro.

Intelligenza? Lasciamo perdere. Fascino? Rassegnati, Conal. Eloquenza, purezza, rettitudine, ritegno, onestà, gratitudine, simpatia? Be'…

— Sei forte — si disse — ma non in questo momento, e poi, devi ammetterlo, lei ti può battere quando vuole. Possedevi una qualche bellezza, almeno così dicevano le ragazze, ma non puoi mica attribuirtene il merito, è stata tua madre a farti così. Anche la salute, avevi, ma non è il caso di farci affidamento adesso, che ti reggi in piedi a malapena.

Cosa rimaneva? L'onore. Punto e basta.

Era tutta da ridere. «Una questione d'onore» aveva detto Cirocco, pochi istanti prima che il titanide lo colpisse alle spalle. E allora, alla fin fine, che diavolo era l'onore?

Conal non aveva mai sentito parlare del Marchese di Queensbury, ma conosceva ugualmente le regole del comportamento cavalieresco. Mai sparare a un uomo nella schiena. La tortura è contraria alla Convenzione di Ginevra. Prima tirare sempre un colpo di avvertimento in aria. Illustrare all'avversario le proprie intenzioni. Concedere all'antagonista una sia pur minima possibilità di reazione.

Tutti princìpi che andavano benissimo, in una competizione. I giochi, infatti, sono governati da regole.

— A volte devi fartele da te, le tue regole — gli aveva spiegato Cirocco diverso tempo dopo. Ma, a quel punto, Conal l'aveva già capito da solo.

Voleva forse dire che le regole non esistevano per niente? No. Voleva solo dire che bisognava decidere con quali regole si poteva convivere, e con quali regole si poteva sopravvivere , perché era di sopravvivenza che parlava Cirocco, e si trattava di un argomento che lei conosceva meglio di chiunque altro nella storia dell'umanità.

— Prima devi decidere quanto t'importa di restare vivo — gli aveva detto — e dopo scoprirai che cosa devi fare per riuscirci.

Non esistevano regole, coi nemici. L'onore non c'entrava nulla. Il miglior modo per uccidere un nemico era tirargli da lontano, senza preavviso, nella schiena. Se si presentava la necessità di torturare il nemico, bisognava strappargli le budella. Se c'era da mentire, si mentiva. Senza scrupoli di sorta. È così che si fa, con i nemici.

L'onore vale unicamente fra amici.

Per Conal era un concetto difficile da mandar giù. Lui non l'aveva mai avuto, un amico, e Cirocco non pareva molto promettente come punto di partenza… anzi, aveva tutta l'aria di poter aspirare a essere il peggior nemico ch'egli avesse mai avuto. Nessuno era mai giunto a procurargli neppure la millesima parte delle sofferenze inflittegli da lei.

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