John Varley - Demon

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Demon: краткое содержание, описание и аннотация

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Ma pian piano il vero scopo di quei semi venne compreso. Ciascuno di essi si dirigeva verso il luogo di un massacro nucleare, atterrava, e incominciava a proclamare a gran voce che la salvezza era a portata di mano. I semi parlavano, diffondevano musica intesa a risollevare gli animi delle avvilite creature in fuga dall'olocausto, promettevano cure mediche, aria incontaminata, cibo, acqua, e sconfinati orizzonti fra le ospitali braccia di Gea.

Le radiotelereti mondiali ripresero la notizia, e soprannominarono i semi "voli benedetti". All'inizio era rischioso salirvi a bordo, dato che molti ne venivano abbattuti nel tentativo di lasciare la Terra. Ma di rado i superstiti esitavano. Quella gente aveva veduto orrori al cui confronto anche l'inferno sarebbe parso un'amena località di villeggiatura estiva. Dopo un poco i contendenti presero a ignorare i voli dei semi di Gea. Avevano questioni ben più importanti cui badare, come ad esempio quanti milioni di persone trucidare nel corso della settimana.

Ciascun seme poteva trasportare un centinaio di persone. A ogni atterraggio scoppiavano spaventosi tumulti. I bambini venivano spesso abbandonati, poiché gli adulti, usciti ormai dall'alveo del vivere civile, scaraventavano via i propri figli pur di avere la possibilità d'imbarcarsi.

Nessun radiotelegiornale accennava a tali fatti, ma in compenso il viaggio verso Saturno si rivelava un'esperienza portentosa. Non v'era lesione tanto grave da non poter essere risanata. Gli orrori della guerra biologica venivano tutti curati. Ciascuno aveva cibo e bevande in abbondanza. Rinasceva la speranza, durante i voli benedetti.

L'interno di Gea era diviso in dodici regioni. Sei di esse godevano in permanenza della luce del giorno, mentre le altre sei erano immerse in un'eterna notte. Fra tali regioni esistevano strette fasce di luce declinante o nascente (a seconda della direzione di marcia o dello stato d'animo) dette zone crepuscolari.

La zona compresa fra Giapeto e Dione conteneva una vasto lago di forma irregolare, circondato da montagne, noto col nome di Moira. Moira vuol dire Fato o Destino.

Il litorale di Moira era frastagliato e scosceso. Esso comprendeva a sud numerose penisole, che a loro volta delimitavano baie strette e profonde. Le penisole erano in gran parte anonime, ma ogni baia aveva un nome. C'erano la Baia dell'Inganno, la Baia dell'Avidità, la Baia del Dolore, la Baia dell'Ambiguità, e poi le Baie dell'Indifferenza, della Fame, della Malattia, dell'Ostilità e dell'Ingiustizia. Un elenco interminabile e sconfortante. Si trattava nondimeno di una nomenclatura lucidamente adottata dai primi cartografi, i quali si erano messi all'opera armati di una serie di nomi tratti dalla mitologia greca. Tutte le baie erano state battezzate rifacendosi ai figli della Notte, madre di Moira. Moira era la più anziana; Inganno, Avidità, Dolore ecc. costituivano la tenebrosa progenie cadetta.

La più orientale del gruppo era nota come Baia della Menta Piperita, denominazione facile a spiegarsi: nessuno voleva vivere in un luogo chiamato Baia dell'Omicidio, e allora la Maga gli aveva cambiato nome.

Sulla Baia esisteva un solo insediamento: Bellinzona. Era un posto disordinato, rumoroso e sudicio. Per metà si avvinghiava alle rocce pressoché verticali della penisola orientale, e per il resto si estendeva sull'acqua in un proliferare di banchine e pontoni. Le isole di Bellinzona erano artificiali, e poggiavano su piloni o su scabre sporgenze di roccia emergenti dalle acque cupe.

La città cui Bellinzona assomigliava di più, con la sua umanità cosmopolita e l'infinito numero d'imbarcazioni, era Hong Kong. Le barche stavano legate ai moli oppure ad altre barche, in file talvolta di venti o trenta, erano fatte di legno e si presentavano in tutte le fogge possibili e immaginabili: gondole e giunche, chiatte e sambuchi, pescherecci, sandolini, sampan.

Quando Rocky vi si recò, Bellinzona esisteva solo da tre anni, ma possedeva già una lunga esperienza di delitti e corruzione: un gigantesco sfregio ferocemente inferto al volto della Baia della Menta Piperita.

Era una città umana, e gli umani che essa accoglieva innumerevolmente variavano al pari delle loro barche, rappresentando ogni razza e nazionalità. A Bellinzona non esistevano polizia né vigili del fuoco né scuole né tribunali né tasse. C'erano un sacco di armi, ma niente munizioni. Ciò nonostante, il tasso di omicidi era astronomico.

Poche razze native di Gea frequentavano la città. Essa era troppo umida per i fantasmi della sabbia e troppo fumosa per gli aerostati. I Fabbri Ferrai di Febe mantenevano su una delle isole un'enclave per poter più agevolmente procedere all'acquisto di bambini umani, che utilizzavano come incubatrici e riserva alimentare per le loro covate nelle prime fasi di sviluppo. Di tanto in tanto una sottomarina veniva a nutrirsi a spese della città, staccandone grandi pezzi e ingoiandoli tutti interi, ma in linea di massima il sistema di scarico delle acque luride teneva lontani quei leviatani senzienti. I titanidi venivano a commerciare, ma trovavano la città deprimente.

La maggior parte degli abitanti di Bellinzona erano d'accordo con i titanidi. C'erano invece quelli che trovavano affascinante quel luogo rude, aggressivo, pieno di vita, "Feroce come un lupo che, a fauci spalancate, si getta sulla preda, infido come un selvaggio…". Ma, a differenza dell'antica Chicago, Bellinzona non aveva allevamenti di maiali, né fabbriche di utensili, né silos pieni di grano. Il cibo veniva dal lago, dalla manna, oppure dai pozzi profondi cui si attingeva il latte di Gea. I principali prodotti della città consistevano in chiazze marrone scuro nell'acqua e pennacchi di fumo nell'aria; c'era sempre qualche parte di Bellinzona che bruciava. Nel dedalo delle sue umide stradine si potevano comprare lacci da strangolatore, veleni, schiavi. Sulle bancarelle dei macellai si trovava apertamente in vendita carne umana.

Era come se tutte le miserie della Terra martoriata fossero state portate in quel luogo, distillate, concentrate, e lasciate imputridire.

Il che corrispondeva esattamente ai piani di Gea.

Il 97.761.615 riv del ventisettesimo gigariv, Mellotron (Trio Lidio Doppiodiesis) Rock'n'Roll discese dalla sua barcalonga mettendo piede sull'estremità del Molo Diciassette, alla periferia di Bellinzona.

Di quel titanide, Ci rocco Jones aveva affermato una volta che «è la dimostrazione vivente di come un sistema studiato per semplificare le cose possa divenire incontrollabile.» La sua osservazione nasceva dal fatto che il vero nome di ogni titanide consisteva in un canto che diceva molto circa il suo possessore, ma non poteva venir traslitterato in alcun idioma terrestre. Poiché non era mai esistito essere umano che avesse imparato a cantare in titanide senza l'aiuto di Gea, era parso logico ai titanidi adottare nomi in inglese, tra i linguaggi umani il preferito su Gea.

Il sistema risultava funzionale… per un titanide. L'ultimo nome era quello dell'accordo di appartenenza. Gli accordi corrispondevano a clan, o associazioni, o stirpi, o razze. Pochi esseri umani comprendevano la natura degli accordi, sebbene molti fossero in grado di riconoscere il particolare manto che li distingueva, simile al tartan degli scozzesi o alle cravatte dei differenti college. Il secondo nome, quello entro parentesi, indicava quale delle ventinove possibili varianti era stata impiegata per generare il titanide, che poteva possedere da uno a quattro genitori. Il nome iniziale evidenziava il terzo elemento importante nell'esistenza di ogni titanide: la musica. Tutti loro sceglievano, come nomi di battesimo, degli strumenti musicali.

Ma con Mellotron quel metodo aveva subito una battuta d'arresto. La Maga aveva deciso che il suo nome era davvero troppo stravagante per poter essere usato: l'aveva quindi soprannominato Rocky, e la designazione gli era rimasta. Fu un bel colpo per Cirocco, che era stata afflitta da quel nomignolo per oltre un secolo. Dopo averlo affibbiato al titanide, poté verificare che nessuno la chiamava più Rocky, non foss'altro che per evitare equivoci.

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