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Lois Bujold: Il gioco dei Vor

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Lois Bujold Il gioco dei Vor

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Miles Vorkosigan, figlio del primo ministro di Barrayar e fresco di accademia militare, è riuscito finalmente a ottenere la sua prima nomina, nonostante i pesanti handicap fisici e la propensione a conbinare guai. Ma l'Alto Comando preferisce tenerlo lontano, inviandolo all'altro capo della Galassia per svolgere un'insignificante missione. Ma dove c'è di mezzo Miles nulla può rimanere a lungo «insignificante»…

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— Studente.

— Ah. Lingue galattiche, allora. E poi si farà avanti il Servizio Segreto. Sarai destinato su altri pianeti, poco ma sicuro — pronosticò Miles.

— Non necessariamente — disse Plause. — Potrebbero sbattermi fra quattro pareti di cemento chissà dove, a programmare computer finché mi si consumeranno gli occhi. — Ma sul suo volto splendeva una luce di speranza.

Caritatevolmente Miles non gli ricordò l'aspetto più sgradevole del Servizio Segreto: prima o poi si finiva per lavorare sotto il Capo della Sicurezza Imperiale, Simon Illyan, l'uomo che non dimenticava niente. Ma forse a un novizio come Plause sarebbe stato risparmiato il contatto personale con quell'aspro individuo.

— Alfiere Lobachick.

Lobachick occupava il secondo posto assoluto nella lista di persone zelanti che Miles avrebbe potuto stilare; di conseguenza non fu sorpreso quando appena aperta la busta lo vide sorridere con acre entusiasmo. — Sicurezza Imperiale. Corso avanzato di tecniche di sorveglianza e prevenzione attentati.

— Oh, guardia del corpo di palazzo, allora — commentò Ivan con interesse, sbirciando da sopra la spalla del compagno.

— È un privilegio — aggiunse Miles. — Di solito Illyan accoppia i novellini con gente che ha vent'anni di servizio e lunghe file di medaglie sul petto.

— Forse l'Imperatore Gregor ha chiesto a Illyan qualcuno della sua età — ipotizzò Ivan, — tanto per migliorare il panorama. A me quei fossili dalla faccia di pietra, che Illyan gli mette attorno, rovinerebbero la digestione. Non fargli vedere che hai il senso dell'umorismo, Lobachick: lo riterrebbe un punto a tuo sfavore.

Se era così, rifletté Miles, Lobachick non avrebbe rischiato di perdere il posto.

— Pensate che starò a contatto con l'Imperatore? — chiese Lobachick a Miles e a Ivan, con un'occhiata nervosa.

— Probabilmente ti toccherà stare a guardarlo ogni giorno mentre fa colazione — disse Ivan. — Povero ragazzo. — Si riferiva a Lobachick o a Gregor? A Gregor, decise Miles fra sé.

— Voialtri Vor, che lo conoscete… che tipo è?

Prima che la scintilla negli occhi di Ivan si trasformasse in una battuta maliziosa, Miles s'affrettò a intervenire: — È molto franco e spontaneo. Ti troverai bene.

Lobachick si avviò verso la porta, all'apparenza almeno un po' rassicurato, rileggendo il suo foglio d'ordini.

— Alfiere Vorpatril — chiamò il sergente. — Alfiere Vorkosigan.

L'alto e robusto Ivan prese la busta che gli veniva consegnata; Miles ebbe la sua, ed entrambi si spostarono fuori dalla fila.

Ivan tirò fuori il foglio di plastica. — Ehilà! Sono richiesto dal Quartier Generale Imperiale a Vorbarr Sultana. Per tua informazione, mio caro, hai di fronte il futuro aiutante di campo del Commodoro Jollif, Reparto Operazioni. — S'inchinò cerimoniosamente e ripiegò il foglio. — Comincio domattina, in effetti.

— Oh-oh — disse l'alfiere che era stato destinato al servizio di bordo, ancora eccitato e fremente. — Ivan diventerà una perfetta segretaria , allora. Ma stai attento quando il generale Lamitz ti farà sedere sulle sue ginocchia, cocco. Ho sentito dire…

Ivan gli allungò uno scherzoso pugno nello stomaco. — Invidia, sordida invidia. Io potrò permettermi gli agi di un civile: orario dalle sette alle cinque, appartamento in città e ragazze… bene quest'ultimo, devo puntualizzare, di cui purtroppo tu farai a meno, lassù sulle navi. — La sua voce era allegra e indifferente, ma gli occhi non riuscivano a nascondere la delusione. Ivan avrebbe voluto essere destinato sulle navi. Tutti l'avevano desiderato.

Anche Miles. Servizio a bordo. E alla fine un comando, come mio padre, e come mio nonno, e il padre di mio nonno… Un desiderio e una preghiera, un sogno… ed esitò ancora un poco, per autodisciplina, per paura, per concedersi un ultimo momento di rosee speranze. Poi appoggiò il pollice sul sigillo e aprì la busta, con deliberata precisione. Alcuni permessi di viaggio, un solo foglio di plastica… la sua compostezza durò solo i cinque secondi che gli occorsero per assorbire il breve paragrafo scritto su di esso. Congelato dallo stupore sbatté le palpebre e lo rilesse di nuovo.

— Allora cosa bolle in pentola, ragazzo? — chiese Ivan, da sopra una sua spalla.

— Ivan — disse Miles con voce rauca, — sono io che ho una amnesia, oppure di corsi di meteorologia non ce ne hanno mai fatto fare neppure uno, fra le materie scientifiche?

— Ricordo qualcosa, alle lezioni di Matematica pentaspaziale. E a Xenobotanica. — Ivan si grattò pensosamente la mandibola. — Anche a Geologia e valutazione del terreno. Be', c'è stato quel corso sul clima atmosferico, il primo anno.

— Sì, ma…

— Insomma, si può sapere cosa ti hanno fatto, stavolta? — chiese Plause, pronto a offrirgli tanto le sue congratulazioni quanto le condoglianze, a seconda del caso.

— Sono stato nominato Capo dell'Ufficio Meteorologico alla Base Lazkowski. Dove diavolo è la Base Lazkowski? Non l'ho mai sentita nominare!

Il sergente seduto alla scrivania si volse, con un sogghigno improvvisamente satanico. — Io sì, signore — disse. — Si trova su un'isola chiamata Kyril, dalle parti del circolo polare artico. Base d'addestramento invernale per la fanteria. Quelli di servizio lassù la chiamano Campo Cessofreddo.

Fanteria? - si stupì Miles.

Ivan, perplesso e aggrondato, inarcò le sopracciglia. — In fanteria? Tu? Questo non mi sembra giusto.

— Già, neppure a me — disse debolmente lui. E lo invase la gelida consapevolezza dei suoi handicap fisici.

Anni di arcane torture mediche avevano ormai quasi corretto le gravi deformità con cui Miles era venuto al mondo. Quasi. Rattrappito come un ranocchio durante l'infanzia, ora poteva almeno camminare in posizione eretta. Le sue ossa, un tempo friabili come il gesso, avevano assunto robustezza. Da omuncolo rachitico era riuscito a crescere fino a raggiungere il metro e cinquanta di altezza, anche se verso la fine s'era trattato di scegliere fra la lunghezza delle sue ossa e la loro capacità di resistenza, e i dottori erano stati dell'opinione che gli ultimi dieci centimetri fossero un errore di cui si sarebbe pentito. Miles s'era già fatto spezzare le gambe abbastanza volte da essere d'accordo con loro, ma la sua decisione era stata presa: qualunque cosa, pur di non sembrare un mutante… e della forza delle ossa gli importava poco: se un aspetto decente poteva consentirgli di lavorare al servizio dell'Imperatore, lui avrebbe cercato di far dimenticare la sua debolezza. I dottori non avevano saputo dargli torto.

Dovevano esserci migliaia di posti nel Servizio dove la sua statura e la sua fragilità non avrebbero avuto alcuna importanza. Aiutante di campo, ad esempio, o traduttore, o in un Reparto Informazioni. O perfino ufficiale alle armi imbarcato su una nave, ai computer della centrale di tiro. Questo dovevano averlo saputo, sicuramente c'era chi poteva capirlo. Ma… la fanteria? Qualcuno stava facendo un gioco sleale. O si trattava di un errore. Non sarebbe stata la prima volta. Esitò alcuni lunghi secondi, col foglio stretto in pugno, poi si diresse alla porta.

— Dove stai andando? — gli domandò Ivan.

— A parlare col maggiore Cecil.

Ivan si accigliò ancor di più. — Ah, sì? Buona fortuna.

Era un sorrisetto quello che il sergente nascose dietro la busta successiva, sollevandola con la punta delle dita come se fosse contaminata? — Alfiere Draut — chiamò. La fila si spostò avanti di un altro posto.

Il maggiore Cecil era seduto sul bordo della scrivania di un suo impiegato e stava consultando qualcosa su uno schermo, quando Miles apparve sulla soglia dell'ufficio e salutò facendo sbattere i tacchi per richiamare la sua attenzione.

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