Arthur Clarke - Le sabbie di Marte

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Le sabbie di Marte: краткое содержание, описание и аннотация

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Classico romanzo di «fantascienza», per usare un neologismo abbastanza efficace, «Le sabbie di Marte» descrive il viaggio inaugurale dell’astronave «Ares» — prima nave di linea regolare fra i pianeti — e le lotte di un gruppo di pionieri del XXI secolo per colonizzare le rosse distese desertiche del pianeta Marte. È una lotta affascinante e paurosa su un mondo in agonia dove non esiste quasi più traccia di vegetazione e l’aria è così povera di ossigeno da essere praticamente irrespirabile. Ma la fine del romanzo darà al lettore la più straordinaria — e la meno impossibile — delle sorprese… «Le sabbie di Marte» è un autentico capolavoro della narrativa a sfondo scientifico e fantastico. Non per nulla il suo autore, Arthur C. Clarke, è un noto scienziato, membro della British Astronomical Association e Presidente della Società interplanetare britannica.

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«Va bene, ho capito!» disse Gibson ridendo. «Continuate pure.»

«Immaginiamo dunque che nel primo entusiasmo delle conquiste interplanetarie il pianeta A abbia fondato una colonia sul pianeta B. Dopo qualche anno, A scopre che B gli costa molto di più di quello che aveva previsto, senza ricompensare in nessun modo la spesa. Allora sul pianeta d’origine si formano due fazioni. La prima, conservatrice, vuol chiudere baracca e burattini, tagliare cioè i viveri a B e non occuparsene più. L’altro gruppo invece, quello progressista, vuole continuare l’esperimento perché ritiene che l’Uomo è destinato a esplorare tutto l’universo, per vivere e cercare nuove esperienze e per non ridursi a stagnare nel suo vecchio pianeta. Ma questa argomentazione non ha alcuna presa sui cittadini che pagano le tasse, e i conservatori cominciano a prendere il sopravvento.

«Questo stato di cose mette in agitazione i coloni, nei quali si va formando una mentalità sempre più indipendente, e che non sono affatto contenti di essere considerati come parenti poveri costretti a vivere di carità. Però non riescono a trovare una via d’uscita finché un giorno viene fatta una scoperta scientifica rivoluzionaria. Avrei dovuto premettere che il pianeta B ha interessato e attirato i migliori cervelli di A, il che costituisce un’altra delle ragioni per cui A è tanto seccato. Questa scoperta apre orizzonti pressoché illimitati all’avvenire di B, ma la sua applicazione comporta certi rischi, oltre che l’assorbimento di una buona parte delle limitate risorse di B. Con tutto questo, il progetto viene presentato, e A lo boccia immediatamente. Tra le quinte si svolge un prolungato tira e molla, ma il pianeta d’origine rimane incrollabile nel suo rifiuto.

«Ai coloni si offrono due alternative. Possono proclamare apertamente i loro diritti, e rivolgersi all’opinione pubblica di A. Ma questo può dare molti svantaggi, perché i pezzi grossi di laggiù cercherebbero in ogni modo di boicottarli. L’altra alternativa suggerisce invece di mettere in attuazione il progetto senza informarne la Terra, volevo dire A. E alla fine vien deciso di adottare questa soluzione.

«Naturalmente nel dissidio sono implicati molti fattori politici e personali, oltre che scientifici. Si dà poi il caso che il capo dei coloni sia uomo di tenacia inconsueta il quale non ha paura di nessuno, né su un pianeta né sull’altro. Inoltre è fiancheggiato da un gruppo di scienziati di prim’ordine i quali lo aiutano in ogni modo. Così il progetto viene messo allo studio, ma nessuno può dire se riuscirà o no. Mi rincresce di non potervi raccontare la fine della storia. Sapete anche voi come sono questi romanzetti a puntate: s’interrompono proprio nel momento più emozionante.»

«Credo che mi abbiate detto più o meno tutto» disse Gibson. «Tutto, cioè, tranne un piccolo particolare tutt’altro che trascurabile, perché ancora non so che cosa sia il Progetto Aurora. » Si alzò per accomiatarsi. «Domani tornerò per farmi raccontare l’ultima puntata del vostro interessantissimo romanzo.»

«Non ne avrete bisogno» disse Whittaker, e involontariamente diede un’occhiata all’orologio. «Prima di domani saprete tutto.»

Mentre lasciava il Palazzo dell’Amministrazione, Gibson fu rincorso da Jimmy.

«Dovrei essere al lavoro» disse il ragazzo, ansimando, «ma dovevo vedervi assolutamente. Sta succedendo qualcosa di molto importante.»

«Lo so» rispose Gibson quasi con impazienza. «Il Progetto Aurora è arrivato a maturazione e Hadfield ha lasciato la città.»

«Oh» fece Jimmy, un po’ mortificato. «Credevo che non lo sapeste. Ma c’è una cosa che non potete sapere certamente… Irene è sconvolta. Mi ha detto che ieri sera suo padre l’ha salutata come… come se ci fosse la possibilità che non la vedesse più.»

Gibson fece un fischio significativo. Questo poneva la situazione sotto una luce diversa. Dunque il Progetto Aurora non era soltanto una grossa impresa ma era anche una faccenda pericolosa. Non aveva pensato a quell’eventualità.

«Comunque vadano le cose» disse «domani sapremo. Me l’ha detto adesso Whittaker. Ma credo di capire dove si trovi Hadfield in questo momento.»

«Dove?»

«Su Phobos. Sono convinto che la chiave del Progetto Aurora è in quella piccola luna, ed è lì che potrai scovare il presidente, se è questo che t’interessa.»

Gibson sarebbe stato pronto a scommettere qualsiasi somma sulla sua supposizione, e fu una vera fortuna per lui che non ci fosse nessuno ad accettare la scommessa, perché in caso contrario avrebbe dovuto pagare. In quel momento Hadfield era ugualmente distante sia da Phobos sia da Marte. In quel preciso momento se ne stava infatti seduto alquanto scomodamente in una piccola astronave, zeppa di scienziati e di loro apparecchiature smontate in tutta fretta. Giocava a scacchi, e molto male, contro uno dei più insigni fisici del Sistema Solare. Anche il suo avversario del resto giocava malissimo, e chiunque avrebbe capito che gli scacchi erano solo un modo per passare il tempo. Come qualsiasi abitante di Marte, anche loro aspettavano. Loro però erano i soli a sapere esattamente che cosa.

Quel giorno interminabile, uno dei più lunghi vissuti da Gibson, si trascinò lentamente. Fu una giornata all’insegna delle chiacchiere e delle supposizioni. A Porto Lowell avevano tutti una loro teoria in proposito. Ma siccome quelli che sapevano la verità se ne stavano muti come pesci, mentre quelli che non sapevano niente gracchiavano come cornacchie, quando scese la notte la città si trovava in uno stato di confusione estrema. Gibson era incerto se restare alzato o meno, ma verso mezzanotte decise di andare a letto. Era profondamente addormentato nel momento in cui invisibilmente, silenziosamente, il Progetto Aurora raggiunse la sua fase finale. Soltanto gli uomini chiusi nella nave spaziale la videro attuarsi, e da bravi scienziati si trasformarono di colpo in scolari urlanti di gioia al pensiero di andare in vacanza.

Nelle primissime ore del mattino Gibson fu svegliato da un vigoroso colpo alla porta. Era Jimmy che gli gridò di alzarsi subito e di uscire. Si vestì in tutta fretta, ma quando fu pronto Jimmy era già in strada. Lo raggiunse davanti all’albergo. Da ogni parte arrivava gente. Tutti si fregavano gli occhi ancora pieni di sonno, e si chiedevano l’un l’altro che cosa fosse successo. Si udiva ovunque un brusìo di voci, e grida lontane. Porto Lowell aveva tutte le caratteristiche di un alveare nel quale fosse stato improvvisamente infilato un bastoncino.

Ci volle un minuto buono prima che Gibson capisse che cosa aveva svegliato la città. L’alba stava spuntando in quel momento: il cielo a est era rischiarato dai primi raggi del Sole nascente. A est? Gran Dio, ma il chiarore si stava diffondendo a ovest!

Gibson non era affatto superstizioso, ma per un attimo la sua mente fu sommersa da un’onda di pensieri irrazionali. Ma solo per un attimo. Subito la logica riprese il sopravvento. La luce che si allargava sull’orizzonte era sempre più luminosa. Poi i primi raggi toccarono le colline intorno alla città. Si muovevano in fretta, troppo in fretta per essere i raggi del Sole. E a un tratto una meteora dorata, fiammeggiante, si alzò sopra il deserto e salì verso lo zenith con moto quasi verticale.

Fu proprio la sua stessa velocità a tradirne la vera natura. Quello era Phobos, o meglio, quello che fino a poche ore prima era stato Phobos. Adesso invece era un giallo disco di fuoco, e Gibson poteva sentirne il calore sulla faccia. La città intorno a lui era ammutolita nella contemplazione del miracolo, conscia, anche se ancora confusamente, di ciò che quel miracolo avrebbe significato per Marte.

Ecco dunque il Progetto Aurora. Gli avevano dato un nome appropriato! Adesso finalmente tutte le tessere del mosaico combaciavano, però lo scopo primo non era ancora chiaro. Aver trasformato Phobos in un piccolo sole secondario era un prodigio di… di ingegneria nucleare, forse, ma Gibson non vedeva ancora come questo avrebbe contribuito a risolvere i problemi della colonia. Si stava tormentando con mille interrogativi, quando il sistema di altoparlanti di Porto Lowell, che veniva usato raramente, si svegliò all’improvviso e la voce di Whittaker riempì le strade.

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