Dietro quel primo oggetto, qualche momento più tardi, arrivò qualcosa di grande e ingombrante, che utilizzava il Sole per mimetizzarsi, sovrapponendosi a uno sfondo fornito da un'azzurra e vibrante macchia solare che era sbocciata soltanto un'ora prima da un grande arco magnetico.
Quando colse anche quello con una raffica del laser, Virginia avvertì un brivido percorrerle la mente. Non si sarebbe mai accorta di quella leggera increspatura rivelatrice di luce ultravioletta che tradiva la testata nucleare in arrivo… soltanto, stava controllando la macchia, come parte del loro programma di ricerca in corso. Jeffers aveva avuto ragione quando aveva insistito perché conservassero i sistemi diagnostici scientifici… continuare a imparare era valsa senz'altro la pena.
Il terzo fu veloce, si avvicinava ad almeno cento chilometri al secondo, e continuava ad accelerare, spinto dalla propulsione foto-jonica. Virginia si chiese per quale motivo avessero lasciato acceso l'acceleratore elettrostatico, dal momento che proprio esso rendeva il proiettile assai più visibile. Gli sparò contro con i lanciatori di recente ripristinati, e durante l'intervallo di due secondi aspettò fiduciosa il segnale dell'avvenuta distruzione.
Non ne arrivò nessuno. E la sua rete a modulazione di fase le disse il perché. Il proietto stava manovrando lateralmente, schivando le raffiche di pallottole di ferro. Era evidente che era in grado di captare il ronzio prodotto dalle microonde dei lanciatori e vedere le pallottole a mano a mano che arrivavano.
Allora Virginia sparò senza indugi con tutti i banchi di laser di cui poteva disporre.
Anch'essi mancarono il colpo. Ma comunque mancavano ormai pochissimi secondi, e lei non aveva neppure il tempo di suonare l'allarme nelle gallerie di Halley.
Disperata, portò il livello della corrente della rete dei gigahertz fino alla potenza d'un megawatt e invertì il sistema da RICEVERE a TRASMETTERE. Quello spiegamento non era mai stato usato in quel modo. Per un breve istante avrebbe potuto inviare un saluto ad una civiltà che si trovasse sul lato opposto della stessa Galassia, se a qualcuno lungo la traiettoria del raggio fosse capitato di guardare. I «piatti» a ragnatela delle antenne potevano sondare lo spazio e mirare con precisione. Virginia sparò un impulso di energia elettromagnetica nel punto preciso che fluttuava nella sua triangolazione panoramica.
Avevano armato di salvaguardie quella testata nucleare. Quando quel tornado elettromagnetico le fu sopra, la mente-chip a bordo attivò gli esplosivi compressi prima che potessero evaporare. L'equivalente di venti megatori di cauterizzante energia a fusione sbocciò nel cielo nero sopra Halley, sollevando un lampo accecante di candida nebbia dal ghiaccio stagionato.
Durante tutta la battaglia Virginia non aveva avvertito nessuno. Gli uomini, le donne, le famiglie avevano continuato a vivere la loro vita, imperturbabili. Soltanto quando quelli che lavoravano in superficie si chiesero cosa fosse stato quell'improvviso fulgore, Virginia chiamò Carl e comunicò la notizia che la loro grande battaglia era cominciata e finita nel tempo da lui impiegato per mettere giù la sua tazza di caffè.
— Nessun segno di altri missili? — domandò Carl, in preda alla tensione.
— Nessuno — disse Virginia. — Ho esteso la mia ricerca a un'ora-luce tutt'intorno a noi, e non ho trovato niente.
Lani entrò fluttuando nella Centrale. Il suo volto era pallido e tirato. — Ho sentito il tuo annuncio, Virginia. Quanto ci sono andati vicini?
— Come il duca di Wellington disse dopo Waterloo… — La voce di Virginia cambiò, assumendo un pesante e aristocratico accento britannico: — Sì, è stata una cosa dannatamente vicina.
— E ci proveranno di nuovo, se continueremo sulla traiettoria da noi progettata — aggiunse Carl, con calma. — Non tollereranno che usiamo l'incontro con Giove per infilarci stabilmente in un cappio dentro il sistema solare interno. Hanno anni a disposizione per spararci addosso, ricordatevelo. Quando torneremo verso l'interno, ci prenderanno di mira di nuovo. Anche quell'attacco potrà fallire. E quello successivo. Ma alla fine…
— Quegli assassini! — gridò Lani. — Eravamo disposti ad accettare la quarantena, ma questo a loro non è bastato! Soltanto per proteggersi da una qualsivoglia esposizione alle halleyforme, ci uccideranno tutti.
Carl sentì l'inevitabilità di ciò che doveva dire, la fine di tante speranze… — È giunto il momento di guardare in faccia i fatti. Non possiamo far ritorno dal freddo.
Lani corrugò la fronte. — Ma questo significa…
— Proprio così. Dobbiamo scegliere una traiettoria che ci porti verso l'esterno, dopo Giove. È l'unico modo di tenerci lontani dalla portata della Terra.
Virginia chiese: — Credi che sarà abbastanza per far smettere la Terra?
Carl scosse la testa. — Dovremo sperarlo. Tracceremo una traiettoria che ci porti lontano nel sistema solare esterno.
Lani lo fissò, mordendosi le labbra, in silenzio.
— Per qualche motivo — replicò Virginia, lentamente, — credo che non si accontenteranno di niente di meno di un'orbita di partenza.
Lani sgranò gli occhi. — Che cosa? Lasciare completamente il sistema solare?
— Sì, in modo completo e definitivo — ribadì Virginia, con calore. — Soltanto allora si convinceranno che le halleyforme non raggiungeranno mai la Terra.
Carl annuì. — Non varrà più la pena darci la caccia, allora. Troppo costoso, comunque.
— Cosa faremo là fuori? — domandò Lani, incredula.
— Vivremo. Moriremo. — Carl fissava, senza vederlo, lo schermo principale dove i numeri vorticavano. — Dentro la Nube di Oort… — aggiunse, con voce remota. — Dovrebbero esserci triliardi di mondi di ghiaccio, là fuori, grandi come asteroidi. Così era anche Halley, prima che qualche sgomitata, forse a causa di una stella di passaggio, la facesse ruzzolare dentro il sistema solare.
Lani chiese dubbiosa: — E una volta che saremo là? Potremo usarli come risorse?
Carl scrollò le spalle. — Forse. Avremo centinaia d'anni per pensarci, durante il viaggio.
Lani si sistemò su una ragnatela, il volto impassibile. — Saremo tutti morti prima di allora, perfino con la colombarizzazione.
Carl provò una strana, remota rassegnazione. In qualche modo, aveva sempre saputo che non avrebbe mai lasciato quel luogo. Stavano consegnando non soltanto se stessi, ma anche tutte le future generazioni di Halley, alla tenebra esterna, all'ignoto senza confini. Fuggivano dentro l'abisso.
Lani disse: — Suppongo che dobbiamo… progettare quello che possiamo fare, non quello che preferiremmo fare.
La vita è una serie di schiaccianti condanne, una per volta pensò Carl. Sapeva anche che avrebbero potuto farlo, se si fossero semplicemente rifiutati di cedere alla disperazione. Se abbiamo qualcosa per cui vivere.
Anno 2141
Una buona metà di Stormfield Park era stata trasformata in asilo-nido. La vecchia ruota centrifuga era stata rinforzata per farla ruotare più in fretta, fornendo un buon decimo di gravità della Terra per aiutare le giovani ossa a crescere robuste. Ciò era duro per qualcuno della generazione più vecchia, ma comunque venivano spesso, finito il lavoro, ad ascoltare quelle voci acute e pigolanti che strillavano, giocavano e ridevano.
Era quello che provava Saul mentre camminava con cautela lungo il sentiero ricurvo rivestito d'erba ai margini del parco-della-ruota, dove gli ologrammi davano l'illusione d'una bassa siepe, con i cieli chiazzati di nubi calde e umide. Lì vicino le mamme e gli addetti all'asilo-nido accudivano la loro folla di rumorosi protetti, osservando i loro giochi, ammirando la bellezza dei loro corpi slanciati e lo sguardo limpido dei loro occhi.
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