Poul Anderson
Cacciatore di liberta
Dopo aver messo in ordine, uscii fuori per dare un’occhiata alla serata. Mi ero trasferito qui solo da pochi giorni. Prima ero stato nei boschi. Ora mi trovavo al limitare della zona ricoperta dalla vegetazione, e avevo avuto appena il tempo di sistemarmi — rimontare la capanna e i mobili, esplorare la zona, disporre i rivelatori, far abituare i polmoni all’aria più fine. Stentavo ancora a trovare la mia giusta dimensione.
Mi mancavano i riflessi dorati del sole sulla soffice polvere marrone scuro, l’asprezza maschile e la dolce fragranza femminile dei pini e del loro verde che s’innalzava verso il cielo, un ruscello che mormorava e scintillava, il richiamo degli uccelli, e un vapiti dalle splendide corna che era diventato mio amico e prendeva il cibo dalle mie mani. (Gli piacevano molto le bucce di cetriolo. L’avevo chiamato Charlie.) Non si può vivere sei mesi in uno stesso luogo, passando dallo splendore dell’autunno al ferreo candore dell’inverno, per rinascere con la terra sotto l’alito della primavera — non si può farlo senza che qualcosa di quel luogo ti rimanga nelle ossa, per sempre.
Tuttavia avrei continuato a ricordare quella parte della regione, e quando Jo Madzeleski disse che non avrebbe potuto prolungare la mia permanenza, decisi di tornarci per tutto il tempo che restava. Questo faceva parte del mio piano; lei amava la natura quanto me, ma il suo cuore era tutto per le montagne, e questo l’avrebbe aiutata ad essere dell’umore giusto. Comunque, anch’io ero felice di esserci tornato. E mentre mi allontanavo dalla capanna, oltrepassando il mio rozzo velivolo, in modo che nulla di artificiale si trovasse tra me e il mondo, d’un tratto tutto il mio essere tornò ad appartenere completamente al luogo dove mi trovato.
Questa base si trovava in un prato alpino. L’erba cresceva folta ed umida, elastica sotto i piedi, trapuntata di margherite. Qua e là troneggiavano massi grandi come edifici, le pietre grigiastre erose dal ghiaccio che un tempo aveva scavato il piccolo lago che scintillava e si increspava poco lontano: per me era il segno che anch’io potevo partecipare dell’eternità. Tutto intorno, la catena di Wind River si stagliava con le sue vette innevate ed il blu intenso delle rocce in un cielo vertiginosamente profondo, nel quale vidi planare un’aquila. La luce del sole che spioveva da ovest, riuscendo in qualche modo ad addolcirlo; e le cime erano animate da ombre.
Sentivo l’odore delle piante, più austero che nella foresta, ma non meno intenso. Un pesce guizzò, ne vidi il rapido bagliore e un attimo dopo sentii il rumore dell’acqua, che turbò appena la quiete assoluta. Anche se non c’era una brezza vera e propria, sentivo l’aria accarezzarmi il viso.
Abbottonai il giaccone di lana scozzese, presi il necessario per fumare, e mi guardai intorno. Già un paio di volte avevo intravisto un orso. Sapevo che non era il caso di tentare un approccio con quell’animale come avevo fatto con Charlie, ma certo potevamo dividere il territorio amichevolmente, e se avessi imparato presto le sue abitudini avrei potuto collocare dei rivelatori e registrare la sua vita — e se era femmina, avrebbe avuto anche dei cuccioli…
No. Devi far ritorno alla civiltà alla fine di questa settimana. Ricordi?
Oh, ma potrei tornare.
Come in risposta a quel pensiero, sentii un rumore di eliche sopra di me. Crebbe fino a che non apparve un altro velivolo. Jo stava arrivando all’appuntamento prima del previsto. Le avevo detto: — Vieni a cena al tramonto — Ed eccola più presto di quanto sperassi. Il cuore mi batteva forte. Rimisi in tasca la pipa e la borsa del tabacco e camminai in fretta per andarle incontro.
Lei atterrò, e saltò giù dalla bolla prima che i motori si fossero fermati del tutto. I suoi movimenti erano sempre stati vivaci ed aggraziati. Per il resto non era granché: bassa, tarchiata, il naso schiacciato, gli occhi pallidi e tondi sotto i corti capelli neri. Per l’occasione aveva sostituito l’uniforme da guardiaboschi con una tuta aderente dai colori iridescenti: un abito che non poteva migliorarla granché, neanche se avesse saputo come indossarlo.
— Benvenuta — dissi, poi le strinsi entrambe le mani e le rivolsi un grande sorriso.
— Ciao. — Sembrava senza fiato. Il suo sorriso cominciò a riprendere colorito. — Come stai?
— Bene. Però mi dispiace andare via, naturalmente. — Feci un sorriso sarcastico, per cancellare ogni traccia di autocommiserazione.
Lei guardò altrove. — Stai per tornare da tua moglie. Non correre troppo. — Sei in anticipo, Jo. Vorrei che fosse già tutto pronto. Ora dovrai entrare e guardare mentre lavoro.
— Ti do una mano.
— Mai, quando sei mia ospite. Siedi, rilassati. — La presi per un braccio e la guidai verso la capanna.
Lei si lasciò sfuggire una risata incerta. — Hai paura che ti sia d’intralcio, Pete? Non ti preoccupare. Conosco queste unità scomponibili — dovrei, dopo tre anni…
Io sono qui da quattro, e questo dopo più di sei anni trascorsi in altre zone selvagge prima di decidere che questa era quella che volevo conoscere a fondo, perché per me era la più splendida di tutte.
— … e hanno solo un posto pratico dove mettere ogni genere di cose — stava dicendo lei. Poi si fermò, obbligandomi a fare lo stesso, scosse lievemente la testa, aspirò a fondo l’aria e il bagliore de! sole. — Per piacere, non voglio metterti fretta. È una serata così bella. Eri all’aperto a godertela.
Sottinteso: E non te ne sono rimaste molte, Pete. Il progetto di documentazione è terminato ufficialmente lo scorso anno. Sei l’ultimo dei pochissimi inviati che siano riusciti ad ottenere il permesso speciale di restare per finire le loro sequenze: e adesso, niente più ritardi, niente più proroghe, la parola d’ordine è «Tutti Fuori».
La mia risposta implicita: Eccetto voi guardie forestali. Un manipolo di persone con lauree in ecologia, biologia del territorio e chissà cos’altro… pochi privilegiati scelti tra un’orda di aspiranti… e questo vi dà il diritto di dettare legge?
— Be’ sì — dissi, e proseguii: — Me la godrò, specialmente ora che sono in compagnia.
— Grazie, molto gentile, signore. — Non le riuscì di sembrare allegra.
Le strinsi forte il braccio. — Sai, mi mancherai, Jo. Mi mancherai terribilmente. — Durante questo ultimo anno, mentre davo forma al mio progetto, l’avevo coltivata. Non solo partite a carte e lunghe conversazioni al sensifono; no, incontri in carne ed ossa per fare escursioni, passeggiate, picnic, pesca, per studiare gli uccelli, i cervi, le stelle. Un inviato diventa bravo a coltivarsi la gente, ed anche se negli ultimi dieci anni avevo avuto poche occasioni di usarla, questa abilità non era svanita. Con la stessa facilità con cui respiravo, potevo mostrare interesse per le sue osservazioni piuttosto banali, le sue opinioni piuttosto melense… — Vieni a trovarmi quando avrai una vacanza.
— Oh, io… ti chiamerò ogni tanto… se a Marie non… dispiacerà.
— Volevo dire vieni di persona. L’immagine olografica, il suono stereo, anche l’odore e la temperatura ed ogni altro tipo di circuito che una persona può pagare per l’uso di… un sensifono non è la stessa cosa che avere un amico davanti a sé.
Lei sussultò. — Sarai in città.
— Non è poi così male — dissi col mio atteggiamento più spavaldo. — Appartamenti della grandezza giusta, molto più grandi di quella baracca di plastica laggiù. Insonorizzati. Aria filtrata e condizionata. Tutto l’agglomerato è schermato e pattugliato. Veicoli corazzati a disposizione per quando vuoi uscire.
— E una maschera per naso e bocca! — Disse lei, quasi soffocando.
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