Un suono raschiante giunse dalla prua, al di là delle tremolanti fronde del calafataggio.
— Amico, attento alla gravità — avvertì Maelcum. — Una decina di minuscoli oggetti colpì in contemporanea il pavimento della cabina, come se fossero stati attratti da un magnete. Case si lasciò sfuggire un rantolo quando i suoi organi interni subirono un energico risucchio che li costrinse a una diversa configurazione. Il terminale e il costrutto gli erano caduti dolorosamente in grembo.
Adesso erano attaccati al fuso e stavano ruotando con esso.
Maelcum allargò le braccia, flette le spalle per rilasciare la tensione e si tolse il copricapo viola, dando un’energica scrollata ai dreadlock. — Vieni adesso, amico, se hai detto che tempo è prezioso.
Mentre oltrepassava le liane del calafataggio e superava il portello di prua del Marcus Garvey , Case rammentò a se stesso che villa Straylight era una struttura parassitaria. Straylight succhiava aria e acqua dal Freeside, e non possedeva un proprio ecosistema.
Il tubo di accesso che il molo aveva estroflesso era una versione più elaborata di quello lungo il quale era ruzzolato per raggiungere l’ Haniwa , concepito per essere impiegato nella gravità rotazionale del fuso. Una galleria serpeggiante, articolata in segmenti idraulici autonomi, ogni tratto inanellato da un cappio di robusta plastica antisdrucciolo che fungeva da piolo di una scala. La passerella a tubo s’era snodata come un serpente intorno all’ Haniwa , orizzontale là dove si univa alla camera stagna del Garvey , ma incurvata bruscamente a sinistra in una scalata verticale intorno alla curvatura dello scafo dello yacht. Maelcum si stava già arrampicando sugli anelli, issandosi con la mano sinistra e impugnando il Remington nella destra. Indossava un paio di sformati calzoni da mimetica, la giacca verde di nylon senza maniche e un paio di scarpe da ginnastica in tela sbrindellata, con delle suole d’un rosso vivo. La passerella si spostava leggermente tutte le volte che montava su un altro anello.
I moschettoni dell’improvvisata tracolla di Case gli affondavano nelle spalle a causa del peso dell’Ono-Sendai e del costrutto di Flatline. Provava solo una sensazione di paura, un timore generalizzato. Lo respinse, costringendosi a ripetere la lezioncina di Armitage sul fuso e su villa Straylight. Cominciò a salire. L’ecosistema del Freeside era limitato, non chiuso. Invece Zion era un sistema chiuso, capace di riciclarsi per anni senza l’introduzione di materiali esterni. Il Freeside produceva la propria aria e acqua, ma necessitava del costante rifornimento di generi alimentari, dal regolare incremento di sostanze nutritive nel terreno. Villa Straylight non produceva niente di tutto ciò.
— Amico, sali qua sopra, al mio fianco — disse Maelcum, con calma. Case si spostò di lato sulla scala circolare e salì i pochi pioli che ancora mancavano. Il tubo terminava con un portello liscio, leggermente convesso, di due metri di diametro. I meccanismi idraulici del passaggio scomparivano all’interno degli alloggiamenti flessibili dentro il telaio del portello.
— Allora, cosa dobbiamo…
Case chiuse la bocca quando il portello si sollevò e una leggera differenza di pressione gli soffiò del pulviscolo negli occhi. Maelcum s’arrampicò oltre il bordo, e Case sentì il minuscolo scatto della sicura del Remington che veniva tolta. — Sei tu l’uomo che ha fretta — gli bisbigliò Maelcum, rannicchiandosi. Poi Case gli fu accanto.
Il portello si apriva al centro di una camera circolare con il soffitto a volta, il pavimento rivestito di piastrelle di plastica azzurra antisdrucciolo. Maelcum gli diede di gomito, indicando qualcosa, e Case vide un monitor incassato nella parete ricurva. Sullo schermo, un uomo giovane, alto, con i lineamenti dei Tessier-Ashpool, si stava spazzolando qualcosa dalle maniche della tuta scura. Si trovava accanto a un portello identico, in una camera identica. — Molto spiacente, signore — disse una voce proveniente da una griglia centrata sopra il portello. Case sollevò lo sguardo. — L’aspettavo più tardi al molo assiale. Un momento, per favore. — Sul monitor il giovanotto scrollò la testa con impazienza.
Maelcum si girò di scatto quando una porta si aprì alla loro sinistra scivolando sulle guide, e tenne pronto il fucile a canna mozza. Un piccolo eurasiatico con una tuta arancione varcò la soglia e li guardò strabuzzando gli occhi. Spalancò la bocca, ma non ne uscì alcun suono. La richiuse. Case si girò verso lo schermo. Vuoto.
— Chi siete? — riuscì a dire l’ometto.
— La marina rastafariana — replicò Case, sollevandosi, mentre il terminale del cyberspazio gli batteva contro il fianco. — E tutto quello che vogliamo è un collegamento con il vostro sistema di sicurezza.
L’ometto deglutì. — È un test? È un controllo-fedeltà. Dev’essere un controllo-fedeltà. — Si asciugò le mani sui pantaloni della tuta arancione.
— No, amico, questo è vero. — Maelcum lasciò la posizione rannicchiata, tenendo il Remington puntato contro il viso dell’eurasiatico. — Muoviti.
Seguirono il piccoletto oltre la porta, all’interno di un corridoio le cui pareti di cemento levigato e il pavimento ricoperto da strati di tappeti erano familiari a Case. — Bei tappeti — commentò Maelcum, pungolando l’uomo sulla schiena. — Sa di chiesa.
Arrivarono a un altro monitor, un vecchio Sony montato sopra una consolle con una tastiera e un complesso spiegamento di pannelli con le prese per i collegamenti. Lo schermo si accese quando si fermarono. Finn li fissò sorridendo con aria un po’ tesa da quella che pareva l’anticamera della Metro Holografix. — Va bene — disse. — Maelcum, accompagna quel tizio in fondo al corridoio fino alla porta aperta dell’armadio, sbattilo dentro e chiudi a chiave. Case, a te serve la quinta presa da sinistra del pannello superiore. Ci sono degli adattatori per le spine in un armadietto sotto la consolle. Ne serve uno da un Ono-Sendai a venti poli per un Hitachi 40. — Mentre Maelcum spingeva il suo prigioniero, Case s’inginocchiò e rovistò in un assortimento di spine e adattatori, e alla fine trovò quello che gli serviva. Con il suo innesto applicato all’adattatore, si fermò in attesa.
— Devi proprio avere quella faccia, amico? — chiese al volto nello schermo. Finn venne cancellato una linea per volta e sostituito dall’immagine di Lonny Zone appoggiato a una parete di manifesti giapponesi strappati.
— Se ti serve qualcosa, bimbo, basta che tu faccia un salto da Lonny — disse Zone con voce strascicata.
— No — ribatté Case. — Usa Finn. — Mentre l’immagine di Zone spariva, infilò l’adattatore Hitachi nella presa e si sistemò gli elettrodi sulla fronte.
— Cosa ti ha trattenuto? — chiese il Flatline, e scoppiò a ridere.
— Ti avevo detto di non farlo — disse Case.
— Sto scherzando, ragazzo — replicò il costrutto. — Per me il tempo trascorso è zero. Fammi vedere cosa abbiamo qui…
Il programma Kuang era verde, esattamente la sfumatura dell’ice della T-A. Proprio mentre Case stava a guardare, divenne a mano a mano più opaco, malgrado il cowboy potesse distinguere con chiarezza la cosa simile a uno squalo che rifletteva le immagini come uno specchio nero quando sollevò lo sguardo. Adesso le linee frammentate e le allucinazioni erano sparite, e la cosa pareva vera quanto il Marcus Garvey , un antiquato jet privo d’ali, la sua liscia epidermide placcata di cromo nero.
— Avanti dritto — disse il Flatline.
— Bene — disse Case, e cambiò.
— … così. Mi dispiace — stava dicendo 3Jane, mentre bendava la testa di Molly. — La nostra unità dice che non c’è commozione cerebrale, nessun danno permanente all’occhio. Non lo conoscevi granché prima di venire qui?
Читать дальше