Se pronuncio questo giuramento, Gilean farà sì che lo rispetti. Mi sarà proibito cercare di sedurla.
Chemosh era sicuro del proprio potere su di lei. Gli bastava soltanto vederla, parlarle, prenderla fra le braccia…
Non poteva andare a cercarla, non certo in questo momento, non certo mentre Nuitari lo osservava come un serpente osserva un ratto; non certo mentre Sargonnas lo scrutava con cupo sospetto e Gilean chiedeva a ogni dio di giurare. Chemosh non poteva andare a cercare Mina, ma aveva ai propri ordini qualcuno in grado di farlo. Fortunatamente aveva un po‘“di tempo. Gli Dei della Magia esigevano di sapere perché mai dovessero pronunciare quel giuramento.
Chemosh biascicò un’invocazione, i suoi pensieri sfrecciarono rapidamente attraverso il castello fino a raggiungere Ausric Krell, l’ex Cavaliere della Morte, maledetto da Mina e ridiventato umano. Chemosh doveva affrettarsi. Doveva dare l’ordine di trovare Mina prima di pronunciare il giuramento. Nessuno avrebbe potuto incolparlo se Mina fosse venuta da lui di propria spontanea volontà.
Una spinta impercettibile in quella direzione non sarebbe stata rilevante.
“Noi non dovremmo essere obbligati a pronunciare questo giuramento”, stava sostenendo Nuitari. “Noi non eravamo neanche nati quando questa dea bambina venne alla luce.”
“A noi non importa niente di Mina”, affermò Lunitari.
“Lei non ha nulla a che vedere con la magia. Lasciaci fuori da questa cosa”, soggiunse Solinari.
“Oh, ma lei possiede qualcosa che voi desiderate”, disse Morgion, Dio delle Pestilenze, parlando con la sua voce bassa e malsana. “Mina ha in proprio possesso una Torre dell’Alta Magia. E vi ha chiusi fuori!”
“È vero?” domandò Gilean, accigliandosi.
“È vero”, ammise Solinari. “Eppure, anche se noi siamo costretti a pronunciare questo giuramento, riteniamo giusto che ci sia consentito cercare di farci restituire la torre, che di diritto è nostra e che Mina ci ha rubato vigliaccamente.”
“Incapaci piagnucoloni”, disse Hiddukel con un sogghigno.
“Io ho altrettanto diritto a quella torre quanto loro”, sostenne Zeboim. “Dopo tutto, si trova nel mio mare.”
“L’ho costruita io”, gridò Nuitari, fremente. “L’ho innalzata io dalle rovine carbonizzate! E tutti voi dovreste sapere”, soggiunse con un’occhiata malevola a Chemosh, “che dentro quella torre, nelle sue profondità, si trova il Solio Febalas, la Sala del Sacrilegio. All’interno di quella Sala vi sono molti oggetti sacri e reliquie considerati perduti durante il Cataclisma. I vostri oggetti sacri e reliquie”.
Gli dei non sorridevano più. Fissavano con stupore Nuitari.
“Avresti dovuto dirci che la Sala era stata ritrovata”, disse Mishakal, ardente di fiamma bianca.
“E tu avresti dovuto dirci di Mina”, ribatté Nuitari stringendosi con le mani la veste nera. “Direi che così siamo pari.”
“I nostri oggetti benedetti sono al sicuro?” domandò Kiri-Jolith.
“Non saprei dirlo”, ribatté Nuitari alzando le spalle. “Lo erano, fintanto che la torre era sotto il mio dominio. Adesso non lo garantisco. Specialmente perché la torre attualmente è infestata dai Prediletti.”
Gli dei volsero lo sguardo verso Chemosh.
“Non è stata colpa mia!” esclamò quest’ultimo. “Quei demoni spettrali sono creature di Mina!”
“Basta!” disse Gilean. “L’unica cosa che questo dimostra è che adesso è ancora più importante pronunciare tutti questo giuramento. Oppure volete rischiare che un altro abbia successo dove voi fallite?”
Gli dei brontolarono ma alla fine si dissero d’accordo. Non avevano scelta. Ciascuno fu costretto a pronunciare il giuramento se non altro per accertarsi che lo pronunciassero gli altri, anche se ognuno forse pensava tra sé come fare per aggirarlo, o per svuotarlo almeno un po‘“del suo significato.
“Mettete la mano sul Libro”, disse Gilean, facendo materializzare il volume sacro, “e giurate sul vostro amore per il Dio Supremo, che ci creò, e sul vostro timore di Chaos, che ci distruggerebbe, di non minacciare, circuire, sedurre, scongiurare o contrattare con la dea chiamata Mina per cercare di influire sulla sua decisione”.
Gli Dei del Bene posero una mano sul Libro, così come gli Dei della Neutralità. Quando venne il turno degli Dei del Male, Sargonnas abbassò la mano con un tonfo, così come fece Morgion. Zeboim esitò.
“Sono sicura che la mia unica preoccupazione”, disse, asciugandosi una lacrima salata, “è per quella povera ragazza infelice. È come una figlia per me”. “Giura e basta, maledizione”, ringhiò Sargonnas. Zeboim tirò su col naso e pose la mano sul Libro. Dopo di lei, ultimo fra tutti, arrivò Chemosh. “Lo giuro”, disse.
La morte era stata bella per Ausric Krell, e lui la rivoleva.
Krell un tempo era stato un potente cavaliere della morte. Maledetto dalla Dea del Mare, Zeboim, aveva conosciuto l’immortalità. Poteva uccidere con un’unica parola. Era così spaventoso e orribile a vedersi, con la sua armatura nera e l’elmo a cranio di ariete, che alcuni poveri disgraziati erano morti di terrore alla semplice vista del suo aspetto terribile.
Ora non più. Quando si guardava allo specchio, non vedeva i suoi occhi riflettere il bagliore rosso dei morti viventi. Vedeva gli occhi strabici e porcini di un uomo di mezza età dalle guance cascanti e dal volto accigliato e animalesco, arti lunghi ed esili, carne floscia, e un pancione. Krell, il Cavaliere della Morte, un tempo regnava supremo sul Bastione della Tempesta, una poderosa fortezza nel nord di Ansalon (perlomeno era così che se lo ricordava. In verità era stato prigioniero, laggiù, e l’aveva detestato, ma non tanto quanto detestasse ciò che era adesso).
Fra tutti i morti viventi che percorrono Krynn, un cavaliere della morte è uno dei più temibili. Maledetto dagli dei, un cavaliere della morte è costretto a esistere in un mondo di vivi, odiandoli, pur invidiandoli ferocemente. Un cavaliere della morte è incapace di dormire o di trovare requie. È prigioniero della propria immortalità, costretto a riflettere continuamente sui propri crimini e sulle passioni volubili che lo hanno condotto in questo stato infelice, finché non giunge a pentirsi e la sua anima può passare alla fase successiva del suo viaggio.
Questo, perlomeno, era il progetto degli dei.
Purtroppo con Krell il progetto non aveva funzionato. In vita, Krell era stato un traditore, un assassino, un ladro. Aveva ingannato, raggirato, distrutto e tradito tutti coloro che si fossero mai fidati di lui. Non possedendo un grande intelletto, Krell si era affidato a una meschina astuzia, a grette imposture, a una completa mancanza di coscienza e alla forza bruta, per aprirsi a forza la strada nella vita. Krell era un bravaccio e, come tutti i bravacci, aveva vissuto ogni giorno in preda a un segreto terrore ed era morto da vigliacco, urlante e pusillanime, per mano della Dea del Mare, Zeboim, la quale non gli avrebbe mai perdonato di averle ucciso l’amato figlio.
Ritenendo che il suo tormento fosse stato troppo breve, Zeboim aveva maledetto Krell, trasformandolo in un cavaliere della morte, con l’intenzione di farlo soffrire per l’eternità. Invece, con ira della dea, Krell in realtà si divertiva a essere un morto vivente. Brandiva con crudele delizia la sua potenza letale. Divenne il bravaccio supremo, provando piacere nel tormentare, terrorizzare e infine uccidere quei mortali che erano abbastanza stupidi o coraggiosi da affrontarlo. E sapeva infliggere le sue punizioni senza la paura continua che qualcuno più grosso e più forte facesse lo stesso con lui.
Certo, Zeboim aveva continuato a essere una spina nel suo fianco scheletrico, ma Krell alla fine aveva risolto questo problema. Aveva giurato di servire Chemosh, il Signore della Morte, e in cambio Chemosh gli aveva offerto protezione contro la Dea del Mare.
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