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Эд Гринвуд: Elminster: la nascita di un mago

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Эд Гринвуд Elminster: la nascita di un mago

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I banditi abbandonarono i resti fumanti della carcassa affinché li trovassero i lupi; poi si rotolarono nella neve per ripulirsi un po’ dal sangue e proseguirono il loro cammino. Si diressero a nord nella bufera incalzante, arrampicandosi su per le forre anguste e buie, fino alla Caverna del Vento, dove le brezze gelide sussurravano incessantemente in una fessura senza luce. Uno alla volta si chinarono per passare dalla stretta apertura, attraversarono al buio la caverna accidentata, e raggiunsero la pietra debolmente illuminata che segnava l’imboccatura del passaggio successivo. Procedettero lungo la cavità scura finché non videro il bagliore pallido di un’altra pietra. Sargeth bussò lentamente sul muro per sei volte, fece una pausa, e poi bussò un’ultima volta. Giunse un colpo di risposta, l’uomo fece due passi e svoltò in un passaggio laterale nascosto. I banditi lo seguirono nella galleria stretta, che odorava di terra e di pietra umida, e scendeva ripida sotto le Colline del Corno.

Più avanti la luce aumentava, una grotta piena di funghi luminosi emanava un debole bagliore dalle sfumature color birra. Una volta sbucati in essa, Sargeth pronunciò con calma il suo nome all’oscurità oltre la grotta, e gli uomini di guardia abbassarono le balestre e domandarono: «Tutti sani e salvi?»

«Sani e salvi, e abbiamo carne da arrostire», rispose Sargeth con aria trionfale.

«Cavallo», chiese aspramente una seconda voce, «o soldato a fette?»

Dopo essersi scambiati dei risolini procedettero lungo un altro passaggio, attraverso una caverna dove spuntoni di roccia sporgevano dal suolo e dal soffitto simili a fauci congelate di un mostro enorme, e giunsero in un passaggio illuminato da un vivace bagliore rosso. Una scala robusta conduceva in un’ampia caverna, sempre avvolta nel vapore. La luce e il vapore provenivano da una fessura all’estremità opposta della cavità, attorno alla quale vi erano vari individui seduti o sdraiati avvolti in coperte. A ogni passo, l’aria umida diventava sempre più calda, e i guerrieri stanchi si ritrovarono vicino alle acque bollenti della sorgente, dove mani di benvenuto si alzarono per stringere le loro. Erano di nuovo a casa, nel luogo chiamato orgogliosamente Castello Senza Leggi.

Era un buon posto, arredato con mucchi di coperte e vecchi mantelli. Gli gnomi l’avevano mostrato a Helm Spadadipietra molto tempo addietro, e di tanto in tanto i banditi vi trovavano ancora legna da ardere, torce pronte da accendere o casse di dardi lasciate nei passaggi laterali più profondi, vicino alle fosse usate come latrine dai fuorilegge. Una volta, Mauri, un’anziana rugosa fuorilegge, aveva detto a El che loro non avevano mai visto gli gnomi. «Ma vogliono che restiamo qui. Il Popolo Robusto approva tutto ciò che indebolisce i maghi, poiché l’eccessivo potere degli uomini significa la loro distruzione… Infatti ci riproduciamo già come conigli, e se mai dovessimo vincere la magia degli elfi, saremmo per loro una minaccia mortale… Li abbiamo già superati come numero e, se mai supereremo le loro magie, non potranno che fissare le loro tombe…»

La donna dal viso ricoperto di bitorzoli e di peli ispidi osservò la banda avvicinarsi, poi abbozzò un sorriso sdentato e domandò: «Cibo, miei prodi guerrieri?»

«Sì», scherzò Engarl, «e quando avremo festeggiato, ti riforniremo volentieri». Ridacchiò per la sua battuta, ma in risposta si udirono solo gli sbuffi sonori dei banditi che dormivano lì accanto; non era avanzato nulla da mangiare, se non quattro patate avvizzite che Mauri aveva conservato per due giorni nelle pieghe sudice del suo enorme petto, e avevano iniziato a masticare gli amari funghi luminosi per placare lo stomaco dolorante in attesa che una delle bande tornasse con un po’ di carne.

Ora si affrettarono ad accendere un fuoco su una sorta di fornello costruito con lame di spada arrugginite incrociate fra loro.

Gli uomini si scrollarono la neve restante dagli stivali e srotolarono i fardelli insanguinati. Mauri si chinò, e schiaffeggiò le mani dei fuorilegge per vedere cosa avevano portato alla sua mensa.

La banda di Sargeth era la migliore; lo sapevano tutti. El, il meno abile con la spada ma il più veloce con i piedi, era contento di farne parte e restava in silenzio quando i compagni litigavano o davano in escandescenze. Durante quasi tutto l’inverno faceva troppo freddo ed erano troppo stanchi per permettersi di litigare tra loro. Una volta un mago trovò la Caverna del Vento e morì in una gragnola di dardi di balestra, ma, a eccezione di quell’occasione, Elminster aveva visto raramente gli odiati maghi di Athalantar da quelle parti; i fuorilegge attaccavano tanto spesso le pattuglie di soldati, che i maghi avevano smesso di cavalcare con loro.

Un furfante sorridente, dalla barba rossa, che tutti conoscevano come Javal, soffiò per alimentare il fuoco ed esclamò con soddisfazione: «Ne abbiamo presi altri due che venivano da Daera ieri sera».

«È meglio smettere per un po’», grugnì Sargeth, mentre, con i suoi compagni, si toglieva i guanti, il copricapo, e le pellicce più pesanti, «altrimenti penseranno che le ragazze del locale lavorino con noi e le bruceranno, oppure ci organizzeranno una trappola».

Il sorriso di Javal scomparve. Fece una smorfia e un lento cenno col capo. «Hai ragione come sempre, Sar».

Sargeth si limitò a grugnire e stese le mani al calore crescente del fuoco. I soldati del Corno di Heldreth, la fortezza più remota di Athalantar, comperavano i favori delle ragazze del villaggio. Una decina di estati addietro alcune donne avevano trasformato una vecchia fattoria in una casa di piacere e inoltre vendevano ai loro clienti vino di fiore selvatico. I banditi avevano ucciso più di una volta i soldati ubriachi e soli che tornavano al castello. «Sì, meglio lasciar perdere fino a primavera».

«Che cosa, lasciare che uccidano e saccheggino fino a primavera? Quanti soldati potete permettervi di perdere ancora?»

La voce del mago era fredda, più fredda delle merlature gelide su cui si trovavano, che davano sulle acque ghiacciate del Torrente Unicorno. Il maestro di spada di Sarn Torel allargò le mani forti e pelose ed esclamò rassegnato: «Nessuno, Signor Mago. Ecco perché non oso mandarne altri… ogni uomo che da qui si dirige a ovest sa di andare incontro alla propria morte. Sono molto vicini alla sfida aperta ora… e devo anche far rispettare la legge qui nelle strade. Se le carovane di mercanti e i venditori ambulanti sono tanto pazzi da viaggiare di regno in regno nella neve alta, lasciamo che si difendano da soli, e lasciamo pure che i banditi congelino nelle colline senza che le nostre spade li intrattengano».

Il mago gli lanciò un’occhiata ancora più fredda della sua voce.

Il maestro di spada fu colto dal terrore e afferrò fermamente il merlo di pietra davanti a lui per evitare di indietreggiare mostrando in tal modo la propria paura. Abbassò lo sguardo sul muschio congelato che riempiva le fessure e le incrinature nella pietra e desiderò ardentemente di trovarsi altrove. In un luogo più caldo, dove non si era mai sentito parlare di maghi.

«Non ricordo che il re abbia chiesto un vostro parere sui vostri doveri, sebbene non abbia alcun dubbio che sarà più interessato a scoprire in quale modo… creativo… divergano dai suoi», rispose il mago con voce ora morbida come la seta.

Il maestro di spada si sforzò di voltarsi e fissare quegli occhi scuri che luccicavano di malizia. «È vostro desiderio, dunque, signor Mago», chiese, enfatizzando la parola quanto bastava affinché sapesse che considerava il re un guerriero più saggio di tutti i boriosi signori maghi, che di certo non avrebbe disprezzato la prudenza del suo maestro di spada, «che mandi ulteriori soldati in pattuglia dalla fortezza Corno?»

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