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Эд Гринвуд: Elminster: il viaggio

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Эд Гринвуд Elminster: il viaggio

Elminster: il viaggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Era il tempo in cui il magnifico regno elfo di Cormanthor era dominato dai barbari, draghi malefici governavano i cieli e gli abitanti non nutrivano più fiducia in nessuno. Maghi e guerrieri minacciavano i regni poiché mossi dalla loro arrogante e rozza ignoranza anelavano alla gloria. Accadde in quel tempo che, dopo un interminabile viaggio, Elminster giungesse a Cormanthor, alle Torri del Canto, regno di Eltargrim. In quel luogo Elminster visse per più di dodici estati, dedicandosi allo studio della magia, imparando, grazie all'aiuto di una congrega di maghi sapienti, ad avvertire dentro di sé la forza della magia e a farvi ricorso per dominare il male...

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Le cosce, che si intravedevano dagli spacchi della tunica mentre avanzava, erano avvolte dalle pieghe nere e oro di un mantello d’onore, le cui estremità si univano a sostenere il fodero della spada di dente di drago finemente intagliato, che oscillava come una piccola lampada, circondata dal bagliore rosso, intenso e solenne del suo potere. L’Anello del Dragone Vigile scintillò al suo dito. Quella non era certo una visita informale.

La serata si prestava bene a una chiacchierata tra vecchi amici, ma nessuna matriarca si presentava nel pieno dei suoi poteri solo a tale scopo. Il Coronal fu pervaso da una grande tristezza. Sapeva che cosa lo aspettava.

Proprio per questo Ildilyntra lo stupì. Come previsto, la donna si fermò davanti a lui e, dopo aver scostato la tunica, posò le mani sui fianchi per mostrargli la luce del pieno potere della spada d’onore. Anche tale atteggiamento e l’ispirazione profonda che egli di lì a poco fece erano del tutto usuali.

Dopodiché sarebbe scoppiata la tempesta: avrebbe udito parole di fuoco pronunciate con gelido sarcasmo, veleno amaro per il quale la donna era famosa in tutta Cormanthor. Non sarebbero mancate nemmeno le formule di incantesimi pericolosi, ed egli avrebbe…

In un silenzio di tomba la matriarca degli Starym si inginocchiò, lo sguardo intenso sempre fisso su di lui.

Eltargrim deglutì nuovamente, abbassando gli occhi sulle sue ginocchia bianche, lievemente venate di blu nel punto in cui sprofondavano nel muschio ai suoi piedi. «Ildilyntra», esclamò piano. «Signora, io…»

Quand’era travolta da emozioni forti, proprio come in quel momento, i suoi occhi scuri si costellavano di bagliori dorati.

«Non è mia abitudine supplicare», affermò la voce melodiosa, suscitando nel Coronal un’ondata di ricordi di altre, più tenere, notti trascorse sotto quel pergolato, «ma ora lo sto facendo, sommo Coronal. Riconsidera l’Apertura di cui parli. Non lasciare che alcun estraneo cammini per Cormanthor senza il nostro permesso; fa che tale permesso sia concesso molto raramente, per la salvezza della nostra Gente!»

«Ildilyntra, alzati. Per favore», esclamò Eltargrim con fermezza, indietreggiando un poco. «E forniscimi un buon motivo per accogliere la tua supplica», aggiunse abbozzando un sorriso. «Sai di certo che ho già udito tali parole in passato».

La Signora degli Starym rimase in ginocchio, avvolta dai suoi capelli, e di nuovo lo guardò negli occhi.

Il Coronal sorrise, questa volta apertamente. «Sì, Lyntra, hai ancora molta influenza su di me. Ma dammi ragioni valide su cui riflettere, o parla di questioni più frivole».

Nei suoi occhi neri comparve per la prima volta la rabbia. «Cose più frivole? Feste scellerate, come quella che si sta svolgendo ora alle Torri degli Erladden?» La donna si alzò, rapida come un serpente, e aprì la tunica. La lucentezza bianco-bluastra del suo corpo nudo lo provocò quanto il suo sguardo penetrante. Poi Ildilyntra aggiunse freddamente, «o pensi che sia venuta per amoreggiare con te, mio caro? Incapace di rimanere un’altra notte lontana dal nostro affascinante sovrano, dal giovane forte e appassionato che conoscevo, ora depositario di tanta saggezza?»

Eltargrim lasciò che le sue parole svanissero nel silenzio, come pugnali che mancano il bersaglio e cadono nel vuoto. Dopodiché esclamò pacato: «Questa furia selvaggia è la Signora degli Starym che conosco da secoli. Ammiro il tuo gusto per la biancheria intima, ma speravo avessi perso un po’ di ciò che i tuoi giovani familiari definiscono «spavalderia pungente». Siamo soli su quest’isola. Perché non parliamo schiettamente, come si conviene a due Cormyth anziani? Risparmieremmo tante… cortesie inutili».

Ildilyntra chiuse strettamente le labbra. «Benissimo», esclamò, portandosi le mani ai fianchi in un modo che il Coronal ben ricordava. «Ascoltami allora, Signor Eltargrim: io, i miei parenti anziani, e molte altre famiglie e persone di Cormanthor – posso elencartene i più importanti se lo desideri, ma ti assicuro che non sono pochi, né facilmente screditabili perché giovani o stravaganti – pensiamo che la questione dell’Apertura del regno ci condannerà tutti, se mai divenisse realtà».

La donna tacque per un istante e i suoi occhi fiammeggiavano. Il Coronal le fece un cenno silenzioso di proseguire. Al che Ildilyntra continuò: «Se inseguirai i tuoi sogni folli di estendere la legge di Cormanthor a tutte le creature del regno, la nostra lunga amicizia non potrà che terminare».

«Con la mia morte?», domandò tranquillamente il sovrano.

Tra loro cadde nuovamente il silenzio. Ildilyntra prese fiato, aprì la bocca, ma subito la richiuse. Si allontanò rabbiosamente sulle lastre di pietra e sul muschio illuminato dalla luce lunare, poi si voltò per guardarlo nuovamente in faccia.

«L’intera Casata degli Starym», affermò risolutamente, «abbraccerà le armi contro un sovrano tanto disturbato nella mente e nell’anima, tanto contaminato nella sua essenza elfa, da presiedere, anzi, da desiderare ardentemente la distruzione del magnifico regno di Cormanthor».

I loro sguardi si incrociarono in silenzio, ma il Coronal sembrava una statua di marmo sorridente. Ildilyntra Starym fece un respiro profondo e proseguì, la voce ora imperiosa come quella di una regina. «Perciò non fare errori, Signore: la tua Apertura, se avverrà, distruggerà il regno più potente della Gente».

Impaziente, la donna prese a camminare impettita per il giardino, indicando ora gli alberi, ora i cespugli e le aiuole di fiori. «I luoghi in cui abbiamo vissuto, amato e allevato i nostri figli, le meraviglie della foresta che noi abbiamo curato conosceranno gli stivali barbari e il tocco sporco e incurante degli umani». La matriarca degli Starym si voltò e si diresse verso il Coronal, pervasa da una collera sempre più intensa a ogni passo. «E dei mezzo sangue». Quando infine lo raggiunse, aveva il volto in fiamme. «E degli gnomi». La sua voce fu sopraffatta dalla rabbia e si ridusse a un sussurro tremante e aspro quando espresse il risentimento più grande: «Persino dei… nani

Quando Ildilyntra si avvicinò al suo volto fin quasi a toccarlo, il Coronal aprì la bocca per parlare, ma lei si voltò repentina, schioccando le dita, per poi rigirarsi immediatamente con un gran turbinio di capelli. «Tutto ciò a cui teniamo, ciò che abbiamo difeso dagli uomini-bestia e dagli orchi e dai mostri più diversi, verrà annacquato, ma che dico, contaminato , e alla fine spazzato via; la nostra gloria annegherà nelle ambizioni clamorose, nella numerosità e nei piani astuti di quegli umani pelosi!»

Quelle ultime due parole si levarono in un grido che lacerò loro le orecchie, e fece tintinnare in risposta i campanelli di cristallo blu appesi agli alberi intorno al lontano Lago del Cuore.

Mentre il debole suono si affievoliva nei pressi del Trono Vivente, Ildilyntra rimase in piedi di fronte al Coronal, il petto palpitante e gli occhi fiammeggianti. Nell’oscurità un improvviso raggio di luna le colpì le spalle, illuminandola di luce bianca e fredda, simile a un vessillo di vendetta.

Eltargrim chinò il capo per un istante, forse per rispetto alla sua passione, poi fece un piccolo passo verso di lei. «Una volta pronunciai parole simili», cominciò, «ed ebbi pensieri persino più cupi. Ma nelle razze affini, e negli umani in particolare, ho percepito la vita, la verve, e l’energia che a noi mancano. Il cuore e la forza che una volta possedevamo, e che ora possiamo scorgere solo nelle visioni dei tempi passati, inviate dai nostri antenati. Persino la fiera Casata degli Starym sarebbe costretta ad ammettere, se le sue lingue dicono il vero, che abbiamo perduto qualcosa: qualcosa dentro noi stessi, non semplicemente vite, ricchezze e domini, per l’ambizione dilagante di altri».

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