Tanith Lee - Non mordere il sole

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Esiste una città dove l’utopia si è realizzata. Può essere un paradiso, per una vita lunghissima, un paradiso nel quale ognuno è curato e accudito da robot perfetti, dove ogni giovane è jang, e può fare tutto quello che vuole… suicidarsi per un numero infinito di volte, cambiare il proprio corpo, cambiare sesso, giocare con la vita e avere tutto a disposizione. Ma c’è una persona, in questa città, che non riesce a trovare la felicità in questo genere di vita. Prevalentemente donna, giovane e irresistibile, vive la propria esistenza tra mille inquietudini, insieme ai suoi compagni e alle sue compagne. Nella città, però, manca qualcosa… qualcosa che Si può trovare forse nel mondo esterno, quella distesa temuta di vulcani che viene attraversata soltanto a bordo di veicoli corazzati, o che può esistere nella possibilità di avere un figlio, anche se ognuno deve decidere se di quel figlio sarà madre o padre…
Un libro straordinario, che nessun altro autore avrebbe mai saputo concepire, e che è stato accolto dalla critica e dal pubblico americani come la rivelazione di uno straordinario talento, quello di Tanith Lee, una scrittrice capace di spaziare dall’epica classica alla geniale inventiva sociologica con una facilità e un talento che lasciano sbalorditi.

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Tanith Lee

Non mordere il sole

(Don’t Bite The Sun, 1976)

NOTA DEL TRASCRITTORE

Sebbene io abbia reso il Quattro BEE con l’inglese moderno, il vocabolario di slang Jang usato dall’autrice impallidisce nella traduzione. Perciò ho lasciato intatte quelle parole da lei impiegate, e ho incluso nella pagina seguente un glossario che costituisce una guida sufficiente, anche se imperfetta, al loro significato.

GLOSSARIO DELLO SLANG JANG

attlevey Salve

dalika Discussione violenta.

derisann Incantevole, bello.

droad Annoiato terribilmente.

drumdik Assolutamente orribile, la cosa più orrenda.

farathoom Maledetto, schifoso inferno.

floop Fesso. Vedasi anche thalldrap.

groshing Favoloso, meraviglioso.

insumatt Insuperabile.

onk Esclamazione blanda, per esempio «che seccatura!»

ooma Tesoro, amore.

selt Tardo di comprendonio.

soolka Ben curato. Riferito dai Jang solo ai non Jang.

thalldrap Vedasi floop.

tosky Neurotico.

V…n Parola che non viene mai scritta per esteso dall’autrice dell’autobiografia. Evidentemente oscena.

zaradann Matto, pazzo.

TERMINI GENERALI

Glar Antico titolo Quattro Bee, simile a «professore». Il termine è rimasto come titolo di cortesia per gli insegnanti Q-R delle ipnoscuole, ma altrimenti è estinto.

mid-vrek Mezzo periodo di qualunque vrek , della durata di quaranta unit.

rorl Equivalente Quattro BEE di un secolo.

split Minuto Quattro BEE.

unit Giorno Quattro BEE.

vrek Periodo di cento unit.

PROLOGO

Il mio amico Hergal si era ucciso di nuovo. Era la quarantesima volta che andava a sbattere con il suo avioplano contro il Monumento a Zeefahr, ed era necessario fargli un corpo nuovo. E quando lo andai a trovare al Limbo, girovagai per l’eternità, prima che un robot me lo rintracciasse. Questa volta aveva la carnagione scura, era più alto d’una trentina di centimetri, con i capelli molto lunghi e i baffi, tutti di scintillanti fibre dorate, e quelle stupide ali che gli spuntavano dalle spalle e dalle caviglie.

« Attlevey , Hergal,» dissi io.

« Attlevey ,» disse Hergal, e agitò le ali. «Non sono groshing ? Non hanno forza, naturalmente, servono solo a fare scena. Dovrò procurarmi un altro avioplano, se ho voglia di volare.»

«Credevo…» osservai io, premendo un pulsante per chiedere una sedia fluttuante, anche se quel maleducato del vecchio Hergal non si era preso la briga di provvedere personalmente, «Che la Commissione ti avrebbe revocato il permesso di volare.»

«Ah-ah!» ridacchiò allegramente Hergal. «Non avrebbe mai il coraggio di fare una cosa simile.»

«Comunque, preferirei che scegliessi qualche altro posto per precipitare. Sta diventando una faccenda un po’ monotona, sempre quel vecchio noioso Zeefahr. Voglio dire, cosa ne diresti di provare con il Museo della Robotica? Magari potresti riuscire addirittura a sfondare il tetto, e quello deve essere sensazionale.»

Hergal si tirò i baffi.

«Uhm.» Fu tutto quello che disse.

«Comunque,» dissi, sferrando un calcio energico alla mia ape messaggera… continua sempre ad appisolarsi e a cascarmi addosso, di solito per la strada, quando c’è in giro un’orda di gente, «ti ho portato un po’ di pillole dell’estasi e un cubo esadimensionale da contemplare.»

«Oh, bene,» fece Hergal. Mi rendevo perfettamente conto che la sua mente (?) stava pensando a cose più elette dell’estasi e della contemplazione. Ricordai quella volta tremenda che io e Hergal ci eravamo sposati per un mid-vrek , giù ai Campi Giochi del Prisma, e poi ci eravamo persi, e io avevo finito per rubare una quantità di abiti di vetro, per la confusione, e per fare analizzare i miei sogni, e poi comprai un animale del deserto importato da Quattro BOO, un animale che era feroce e peloso, e che aveva russato dentro alla bolla per tutta la strada, fino a casa, e all’ultimo momento mi aveva morsicato, proprio quando avevo deciso che potevo sopportarlo anche se era feroce e peloso e russava sempre.

Hergal, naturalmente, non aveva fatto altro che prendere a noleggio un avioplano e andare a sbattere sul Monumento a Zeefahr. Era stata la nona volta, quella. Comunque, stavo cercando di dire che anche allora la mente di Hergal stava pensando a cose più elette, o almeno così diceva lui.

«Senti, Hergal,» dissi, «purtroppo ho dato ordine di escluderti ufficialmente dal circolo dei miei amici. Non è che tu non mi piaccia. Voglio dire, sei davvero adorabile, particolarmente con quelle tue… ehm… ali, ma sono proprio stanca di sentire tutti quanti che mi chiedono ’È vero che conosci quel floop di Hergal, dimmi?’»

«Capisco,» disse Hergal. Non ebbe neppure l’educazione di piangere. Tutti i Jang piangono, quando vengono esclusi ufficialmente dai circoli.

«Oh, bene, allora non c’è nient’altro da aggiungere, Hergal.» Mi alzai dalla sedia e balzai sul pavimento di gomma cristallizzata. La mia ape mi cadde sulla testa.

«Oh, farathoom !» scattai.

Hergal sembrava un po’ sorpreso, ma non batté le ciglia di fibra dorata fino a quando io mi avviai a grandi passi verso la porta.

«Ehm,» azzardò allora.

«Cos’hai detto?»

«Ehm,» ammise Hergal. «Vorrei che mi dicessi da quale circolo mi hai escluso.»

«Dal mio, thalldrap !» gridai.

«Ma… tu chi sei, esattamente?»

Beh, dico sul serio, l’avevo fatto sapere a tutta la città che il mio nuovo corpo era snello e dalla pelle chiarissima, con i capelli argentei lunghi fino alle ginocchia e le antenne. Ma lui non ci provava neanche, a capire.

Fuori, la mia ape mi cadde dì nuovo addosso, proprio davanti al Museo della Robotica e a una folla di visitatori venuti da Quattro BOO.

Ero così depressa che andai ad annegarmi, per la decima volta, nella mia sfera. Forse sarei riuscita ad avere un duplicato del corpo di Hergal e a farlo diventare veramente zaradann.

PARTE PRIMA

1.

Naturalmente, quando mi svegliai nella Vasca del Limbo avevo cambiato idea. Un uomo della medicina, un quasi-robot, mi stava sbirciando.

«Stai a sentire, ragazza mia… vedo che sei prevalentemente donna. Stai a sentire, questa storia deve finire. È la seconda volta che torni qui in dieci unit.»

«Uhmm.» Nuotai un po’ qua e là e gli sorrisi con i cavi della reazione emotiva.

Il Q-R se ne andò, e poi entrò qualcuno e mi chiese come volevo venirne fuori; e ormai, capite, ero contraria all’idea di diventare come Hergal. Sarebbe stato drumdik se la gente avesse creduto che fossi davvero Hergal! Con quello, e con quella floop di un’ape che mi sveniva tra i capelli… Mostrai loro la mia nuova me stessa. Come al solito era snella e affascinante, in modo deprimente. Hatta, e tanta altra gente che conosco, ci tiene ad avere una volta ogni tanto un corpo grasso, o con le macchie, o qualcosa del genere. Comunque, questa me aveva un vitino agile come un salice, un busto esotico e lunghissimi capelli scarlatti. Vi entrai, e mi diede un’impressione così strana che dovetti andare in un posto tranquillo a prendere una pillola dell’estasi, per dimenticare per un po’.

Hatta mi trovò, non molto tempo dopo.

« Ooma , Hatta,» dissi, facendo le fusa. Chiunque ti sembra carino, quando sei in estasi, persino Hatta, che era grasso e coperto di macchie, adesso, e con tre occhi.

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