Patrick Süskind - Il profumo

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Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal momento della nascita, rifiutato dalle balie perché non ha l'odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché "non ha nessun odore", rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest'unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e il lettore lo segue nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse, città dei profumieri nell'ariosa Provenza. L'ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l'amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a nulla.

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Prese il candeliere dal tavolo, quando la voce compressa di Grenouille strepitò dalla porta: «Non so che cosa sia una formula, Maître, questo non lo so, ma per il resto so tutto!»

«Una formula è l’alfa e l’omega di ogni profumo», replicò Baldini, severo, poiché ora voleva metter fine al discorso. «È l’indicazione precisa del rapporto in cui si devono miscelare i singoli ingredienti per creare un profumo desiderato, inconfondibile; questa è la formula. È la ricetta… se capisci meglio questa parola.»

«Formula, formula», gracchiò Grenouille, e la sua figura contro la porta s’ingrandì leggermente, «io non ho bisogno di una formula. Ho la ricetta nel naso. Devo miscelare gli ingredienti per lei, Maître, devo miscelarli, vuole?»

«Come?» gridò Baldini in tono piuttosto alto, e tese la candela dinanzi al viso dello gnomo. «Come, miscelarli?»

Per la prima volta Grenouille non indietreggiò. «Ma sono tutti qui, gli aromi che occorrono, sono tutti qui, in questa stanza», disse e indicò di nuovo nell’oscurità. «Ecco l’olio di rose! Ecco i fiori d’arancio! Ecco i fiori di garofano! Ecco il rosmarino!…»

«Certo che sono qui!» muggì Baldini. «Sono tutti qui! Ma ti ripeto, testa di legno, che non serve a niente, se non si ha la formula!»

«… Ecco il gelsomino! Ecco l’alcool etilico! Ecco il bergamotto! Ecco lo storace!» continuava a gracchiare Grenouille, e a ogni nome indicava un punto nella stanza, dov’era così buio che tutt’al più si poteva individuare l’ombra dello scaffale con le bottiglie.

«Tu vedi bene anche di notte, eh?» lo schernì Baldini. «Tu hai non soltanto il naso più fine, ma anche la vista più acuta di Parigi, no? Se hai anche orecchie discretamente buone, aprile, perché ti dico: sei un piccolo imbroglione. Probabilmente sei riuscito a carpire qualche notizia da Pélissier, hai saputo qualcosa spiando, non è vero? E credi di potermi abbindolare?»

Ora Grenouille si era disteso in tutto il corpo, stava per così dire contro la porta nella sua grandezza naturale, con le gambe leggermente divaricate e le braccia leggermente protese, dimodoché aveva l’aspetto di un ragno nero, aggrappato alla soglia e al riquadro della porta. «Mi dia dieci minuti», disse, parlando in modo piuttosto sciolto, «e le fabbricherò il profumo ’Amore e psiche’. Ora, subito, e qui in questa stanza. Maître, mi dia cinque minuti!»

«Credi che ti lascerò pasticciare nel mio laboratorio? Con essenze che valgono un patrimonio? Tu?»

«Sì», disse Grenouille.

«Bah!» esclamò Baldini, e buttò fuori tutto il fiato che aveva in una sola volta. Poi trasse un profondo respiro, guardò a lungo il ragnesco Grenouille e rifletté. In fondo è lo stesso, pensò, perché comunque domani sarà finito tutto. So per certo che non può fare quello che afferma di saper fare, non può assolutamente, perché in tal caso sarebbe ancora più grande del grande Frangipane. Ma perché non dovrei lasciare che mi dimostri quello che già so? Altrimenti forse un giorno a Messina — talvolta con l’età si diventa ben strani e ci si impunta sulle idee più assurde — potrebbe venirmi il pensiero di non aver riconosciuto in quanto tale un genio dell’olfatto, una creatura ampiamente beneficata dalla grazia di Dio, un bambino-prodigio… È del tutto escluso. Secondo quello che mi dice la ragione è escluso… ma esistono i miracoli, questo è certo. Ebbene, e se un giorno a Messina dovessi morire, e sul letto di morte mi venisse il pensiero: allora, quella sera a Parigi, hai chiuso gli occhi davanti a un miracolo? … Non sarebbe molto piacevole, Baldini! E anche se questo pazzo sperperasse poche gocce di olio di rose e di tintura di muschio, anche tu le avresti sperperate, se davvero il profumo di Pélissier ti avesse interessato ancora. E che cosa sono poi poche gocce — per quanto costose, molto, molto costose! — paragonate alla certezza del sapere e a una sera tranquilla della tua vita?

«Attento!» disse, con voce a bella posta severa, «attento! Io… come ti chiami, poi?»

«Grenouille», disse Grenouille. «Jean-Baptiste Grenouille.»

«Bene», disse Baldini. «Allora attento, Jean-Baptiste Grenouille! Ho riflettuto. Devi avere l’occasione, ora, subito, di provare quanto affermi. Per te sarà anche l’occasione di imparare, con un clamoroso fallimento, la virtù della modestia, la quale — alla tua giovane età forse ancora poco sviluppata, è scusabile — sarà un presupposto indispensabile per la tua successiva evoluzione come membro della tua corporazione e del tuo ceto, come marito, come suddito, come essere umano e come buon cristiano. Sono pronto a impartirti questa lezione a mie spese, perché per certe ragioni oggi ho voglia di essere generoso, e chissà, forse un giorno il ricordo di questa scena mi darà un po’ di serenità. Ma non credere di potermi abbindolare! Il naso di Giuseppe Baldini è vecchio ma fine, abbastanza fine da stabilire immediatamente anche la minima differenza tra la tua mistura e questo prodotto», e così dicendo tolse dalla tasca il suo fazzoletto imbevuto di «Amore e psiche» e lo agitò sotto il naso di Grenouille. «Avvicinati, miglior naso di Parigi! Avvicinati a questo tavolo e mostra quello che sai fare! Ma attento a non farmi cadere niente e a non gettarmi a terra qualcosa! Non toccarmi niente! Per prima cosa voglio far più luce. Dobbiamo avere una grande illuminazione per questo piccolo esperimento, non è vero?»

E con questo prese altri due candelieri, che si trovavano sul bordo del grande tavolo di quercia, e li accese. Li sistemò tutti e tre l’uno accanto all’altro, sul lato lungo posteriore del tavolo, spostò il cuoio di lato e liberò il centro del piano. Poi, con gesti calmi e veloci, prese gli strumenti che il lavoro richiedeva da un piccolo scaffale: la grossa bottiglia panciuta per le miscele, l’imbuto di vetro, la pipetta, il piccolo e il grande bicchiere graduato, e li depose con ordine davanti a sé sul piano di quercia.

Nel frattempo Grenouille si era staccato dal riquadro della porta. Già durante il pomposo discorso di Baldini aveva perso quel che di rigido, di teso e represso. Aveva sentito soltanto l’assenso, soltanto il sì, con l’intima felicità di un bambino che è riuscito a strappare una concessione e se ne infischia delle limitazioni, delle condizioni e degli ammonimenti morali che vi sono connessi. Mentre stava lì rilassato, per la prima volta più simile a un essere umano che a un animale, a subire il resto della loquacità di Baldini, sapeva di aver già vinto quest’uomo, che ora gli aveva ceduto.

Baldini si stava ancora dando da fare con i suoi candelieri sul tavolo, e già Grenouille era scivolato nella parte buia del laboratorio dove si trovavano gli scaffali con le preziose essenze, gli olii e le tinture e, seguendo il fiuto sicuro del proprio naso, aveva afferrato dalle mensole le bottigliette occorrenti. Erano nove di numero: essenza di fiori d’arancio, olio di limoncello, olio di garofano e olio di rose, estratto di gelsomino, di bergamotto e di rosmarino, tintura di muschio e balsamo di storace, che tolse rapidamente dallo scaffale e sistemò sul bordo del tavolo. Da ultimo tirò giù un pallone contenente alcool etilico ad alta gradazione. Poi si mise dietro a Baldini — che stava sempre sistemando i suoi recipienti per miscelare con misurata pedanteria, spostava un bicchiere un po’ più in là, un altro un po’ più in qua, perché ogni cosa avesse la sua giusta collocazione abituale e il candeliere offrisse le condizioni di luce più favorevoli — e attese, tremante d’impazienza, che il vecchio si allontanasse e gli facesse posto.

«Ecco!» disse Baldini alla fine, e si spostò di lato. «Qui è allineato tutto quello che ti occorre per il tuo… chiamiamolo amichevolmente ’esperimento’. Non rompermi niente, non versarmi niente. Perché ricordati: questi liquidi, che tu ora potrai maneggiare per cinque minuti, sono di una tale preziosità e rarità, che in vita tua non ti capiterà mai più di averli tra le mani in forma così concentrata!»

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