Neil Gaiman - Nessun dove

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Sotto le vie di Londra c’è un mondo che la maggior parte delle persone non riesce neppure a immaginare. Una città di mostri e di santi, di assassini e di angeli, cavalieri in armatura e pallide ragazze in velluto nero: questa è la Londra di chi è precipitato tra le fenditure. Richard Mayhew è un giovane uomo d’affari che sta per scoprire l’altra città: un singolo atto di generosità lo catapulta fuori dalla sua tranquilla e prevedibile esistenza e lo fa entrare in un mondo che è al tempo stesso stranamente familiare e incredibilmente bizzarro. C’è una ragazza di nome Porta e delle persone che vogliono ucciderla. C’è un angelo che si chiama Islington che vive in un salone illuminato dalle candele, e Old Bailey, che abita sui tetti. Ci sono ratti intelligenti e il signor Parla-coi-Ratti, e un Conte che tiene il proprio seguito sulla carrozza di un treno della metropolitana. Un ponte nella notte sta a guardia della perigliosa via verso Knightsbridge, dove vivono le persone delle fogne, la Bestia nel labirinto, e si scoprono pericoli e piaceri che superano la più fervida immaginazione. E Richard, che vorrebbe solo tornarsene a casa, troverà ad attenderlo uno strano destino. Laggiù, sotto le strade della sua città, in quel luogo chiamato Nessun.

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«Ci sarò» rispose.

Poi, dato che non aveva altro da fare per i successivi dieci minuti, prese in mano un troll arancione e con esso minacciò un troll dai capelli verdi, leggermente più piccolo.

«Sono il più forte guerriero di Londra Sotto. Preparati a morire!» disse, con una temibile voce da troll, agitando il troll arancione. Quindi prese quello dai capelli verdi e disse, «Aha! Ma prima devi bere una buona tazza di tè…»

Qualcuno bussò alla porta e, sentendosi colto in fallo, rimise a posto i troll.

«Avanti!»

La porta si apri e apparve Jessica, che si fermò sulla soglia. Sembrava nervosa.

Aveva dimenticato quanto fosse bella.

«Ciao Richard» disse.

«Ciao Jess» rispose Richard, poi si corresse. «Scusa — Jessica.»

Lei sorrise, scuotendo i capelli. «Oh, Jess va benissimo.» Pareva quasi che dicesse sul serio. «Jessica — Jess. Nessuno mi chiama Jess da cosi tanto tempo. Ne sento la mancanza.»

«Dunque,» disse Richard «cosa ti porta, sono onorato… tu, hmm…»

«In realtà volevo solo vederti.»

Non sapeva bene cosa dire. Decise per «È una cosa carina.»

Lei chiuse la porta dell’ufficio e fece qualche passo verso di lui.

«Richard. Vuoi sapere una cosa strana? Ricordo di avere rotto il fidanzamento, ma non riesco a ricordare perché abbiamo litigato.»

«No?»

«Non è una cosa importante, comunque. Vero?» Si guardò intorno. «Hai avuto una promozione.»

«Si.»

«Sono felice per te.» Si infilo una mano nella tasca del cappotto e ne tolse una scatolina marrone. La appoggiò sulla scrivania di Richard.

Lui la apri, anche se sapeva benissimo cosa conteneva.

«È l’anello di fidanzamento. Pensavo che, be’, forse potrei restituirtelo e poi, be’, se le cose funzionassero, be’, forse un giorno potresti regalarmelo di nuovo.»

Brillava al sole: la più grande quantità di denaro che avesse mai speso in assoluto.

Chiuse la scatola e gliela restituì.

«Tienilo, Jessica» disse. Poi aggiunse, «Mi dispiace.»

Lei si morse il labbro inferiore. «Hai incontrato un’altra?»

Lui esitò. Pensò a Lamia, a Hunter, a Anestesia, e persino a Porta, ma nessuna di loro era l’altra che intendeva lei.

«No. Nessuna» rispose. Poi, rendendosi conto mentre lo diceva che era la verità, «Semplicemente sono cambiato. Tutto qui.»

L’interfono squillò. «Richard? Ti stiamo aspettando.»

Premette un pulsante. «Arrivo subito, Sylvia.» Guardò Jessica.

Lei non diceva nulla. Forse non si fidava delle parole che avrebbe potuto dire. Se ne andò, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.

Con una mano Richard prese le carte e i documenti che gli servivano, mentre si passava l’altra sul viso, cancellando qualcosa: dispiacere, forse, oppure lacrime, oppure Jessica.

Aveva ricominciato a prendere la metropolitana per andare e tornare dall’ufficio. Acquistava i giornali da leggere al mattino e alla sera, ma invece di farlo preferiva scrutare i volti degli altri passeggeri, chiedendosi se erano tutti di Londra Sopra, chiedendosi cosa passava dietro i loro occhi.

Durante l’ora di punta serale, qualche giorno dopo l’incontro con Jessica, gli parve di scorgere Lamia dall’altra parte del vagone, che gli dava le spalle, i capelli raccolti in alto sulla nuca e il vestito lungo e nero. Il cuore cominciò a battergli forte nel petto.

Si fece largo tra la gente stipata nel vagone. Mentre si avvicinava, arrivarono a una stazione dove la ragazza scese. Ma non si trattava di Lamia: era semplicemente un’altra giovane barbara londinese pronta per una lunga serata. Se ne accorse con disappunto.

Un mercoledì vide un grosso ratto marrone seduto sui bidoni della spazzatura sul retro di Newton Mansions, il palazzo dove abitava, con l’aria di essere il padrone del mondo.

All’arrivo di Richard scivolò sul marciapiede e attese all’ombra del bidone, fissandolo con i piccoli occhi neri.

Richard si accovacciò li vicino.

«Salve» disse con cortesia. «Ci conosciamo?»

Il ratto non disse nulla ma non fuggì.

«Io mi chiamo Richard» continuò a bassa voce. «In realtà non sono un parla-coi-ratti, ma, hmm, conosco qualche ratto e mi chiedevo se sei amico di Lady Porta…»

Senti un rumore di scarpe alle sue spalle, e si voltò per vedere i Buchanan che lo osservavano incuriositi.

«Ha… perso qualcosa?» chiese la signora Buchanan.

Richard udì, ma ignorò, lo sgarbato sussurro del marito. «Solo qualche rotella.»

«No,» rispose Richard in tutta sincerità «stavo, hmm, salutando un…»

Il ratto si affrettò ad allontanarsi.

«Era un ratto?» abbaiò George Buchanan. «Protesterò in comune. È una vergogna. Ma questa è la Londra che fa per lei, vero?»

Si, convenne Richard. Era proprio vero.

La sua roba continuava a rimanere nelle casse in mezzo al salotto.

Non accendeva neppure il televisore. Alla sera tornava a casa a mangiare. Poi si metteva alla finestra e guardava Londra, le auto, i tetti, le luci, mentre il crepuscolo diventava notte e le luci si propagavano in tutta la città. E alla fine, riluttante, si spogliava, andava a letto e provava a dormire.

Sylvia entrò nel suo ufficio un venerdì pomeriggio.

Lui stava aprendo delle lettere usando un pugnale — il pugnale di Hunter — come tagliacarte.

«Richard?» disse. «Mi chiedevo. Stai uscendo molto in questo periodo?»

Lui scosse il capo.

«Be’, stasera facciamo un’uscita di gruppo. Ti andrebbe di unirti a noi?»

«Hmm, si, certo» rispose Richard. «Mi divertirò di sicuro.»

Si annoiava a morte.

Erano in otto: Sylvia e il suo ragazzo, che aveva a che fare con le auto d’epoca, Garry della sezione conti aziendali, che aveva rotto da poco con la fidanzata a causa di un malinteso (lui aveva creduto che sarebbe stata molto più comprensiva riguardo al fatto che andava a letto con la sua migliore amica di quanto in realtà si era rivelata una volta scoperta la cosa), diverse persone carine e amici di persone carine, e la nuova ragazza dell’assistenza computer.

Per prima cosa andarono a vedere un film all’Odeon, in Leicester Square. Alla fine vinceva il buono, e nelle fasi intermedie c’erano esplosioni e oggetti volanti in grande quantità.

Mangiarono a La Reache, in Old Compton Street, dove si rimpinzarono di couscous e piccoli bocconcini esotici, poi si spostarono in un pub che piaceva a Sylvia, in Berwick Street, dove bevvero alcuni drink e si misero a chiacchierare.

Con il trascorrere della serata, la nuova ragazza dell’assistenza computer sorrideva molto in direzione di Richard, e a lui non veniva in mente niente da dirle. Pagò un giro di drink e la ragazza dell’assistenza computer lo aiutò a portare i bicchieri al tavolo.

Garry andò in bagno, e la ragazza dell’assistenza computer si mise a sedere accanto a Richard, al posto che fino a quel momento era stato di Garry. La testa di Richard era piena del tintinnio dei bicchieri e del chiasso assordante del juke box, dell’odore di birra e Bacardi rovesciato, e di fumo di sigaretta. Cercava di seguire la conversazione che si svolgeva al tavolo e si accorse di non riuscire più a concentrarsi su quello che veniva detto, e che comunque non era minimamente interessato a nessuno dei brani di frase che riusciva a cogliere.

E allora gli fu tutto chiaro, come se stesse vedendo l’azione sul grande schermo dell’Odeon di Leicester Square: quella sera sarebbe tornato a casa con la ragazza dell’assistenza computer e avrebbero fatto l’amore, e dato che il giorno dopo era sabato, avrebbero passato la mattinata a letto. Poi si sarebbe alzato, e insieme avrebbero disfatto tutta la roba impacchettata nelle casse, e nell’arco di un anno avrebbe sposato la ragazza dell’assistenza computer e ottenuto un’altra promozione, avrebbero avuto due bambini, un maschio e una femmina, e si sarebbero spostati in periferia, a Harrow, a Croydon o a Hampstead, o forse addirittura a Reading.

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