Gene Wolfe - La spada del Littore

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La spada del Littore: краткое содержание, описание и аннотация

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Severian, il giovane torturatore che avevamo conosciuto in

, continua il suo cammino verso Thrax, la città dove è stato mandato in esilio per essersi innamorato di una delle sue vittime, la bella castellana Thecla, e aver disobbedito così alle ferree regole della sua corporazione. Arrivato a destinazione dopo un viaggio lungo e periglioso, Severian scopre però di non essere più in grado di infliggere le torture per cui è stato addestrato. Dopo aver liberato un prigioniero egli scappa sulle montagne e adotta un giovane. Questi però presto morirà ucciso da una rivivificazione di Typhon, un antico nemico del Conciliatore, la leggendaria figura che ha lasciato per così dire “un’eredità” a Severian: l’Artiglio, un gioiello dai poteri terrificanti e miracolosi.
Nel corso delle sue peregrinazioni Severian incontrerà poi un popolo oppresso che vive su isole fluttuanti in un lago di montagna e lo condurrà alla rivolta contro gli oppressori. Durante la battaglia la grandiosa potenza dell’Artiglio verrà scatenata e priverà Severian della sua coscienza: di nuovo solo il Torturatore continuerà a vagare sulle montagne all’inseguimento del suo destino, che verrà rivelato nel quarto e definitivo volume di questa saga grandiosa e raffinata, lirica ed evocativa, destinata a diventare una pietra miliare della letteratura fantastica.
Vincitore del British Fantasy Award in 1983.
Vincitore del Locus Award per il miglior romanzo fantasy in 1983.
Nominato per il premio BSFA in 1982.
Nominato per il premio Nebula per il miglior romanzo in 1982.
Nominated per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1983.
Nominato per il premio World Fantasy in 1983.

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Ne abbattei tre prima di raggiungere la porta, e riuscii a chiamare a me gli uomini del lago che erano entrati nella torre, spiegando che il vero nemico si trovava all’esterno. Quando vidi quanto temevano i mostri lunatici che continuavano a scaturire dall’oscura tromba delle scale (e che essi non riuscivano a riconoscere per ciò che erano… e cioè i resti rovinati dei loro fratelli e figli), rimasi stupito che avessero avuto il coraggio di entrare nel castello. Fu meraviglioso, tuttavia, notare come la mia presenza li rincuorò; mi permisero di prendere il comando, ma nei loro occhi lessi che mi avrebbero seguito dovunque li avessi condotti. Quella fu la prima volta, credo, che compresi il piacere che la sua posizione doveva aver dato al Maestro Gurloes, piacere che fino ad allora avevo creduto consistesse solo nella celebrazione della sua abilità d’imporre ad altri la propria volontà. Compresi anche come mai tanti giovani abbandonassero le fidanzate, le mie amiche nella vita che avevo vissuto come Thecla, per accettare le commissioni loro assegnate in oscuri reggimenti.

La pioggia era rallentata, anche se cadeva ancora in veli argentei. Uomini morti e molte creature del gigante giacevano sugli scalini, cosicché fui costretto a gettarne alcuni a calci giù dalla rampa per timore di cadere se avessi tentato di camminare su di loro. Nel cortile si combatteva ancora, ma nessuna delle creature di laggiù venne ad attaccarci, e gli uomini del lago difesero la scala contro i mostri che avevamo lasciato all’interno. Non vidi traccia di Baldanders.

Ho scoperto che è difficile descrivere un combattimento, anche se esso è eccitante nel senso che ti fa dimenticare di te stesso. E quando è finito, ciò che uno ricorda meglio… perché al momento della lotta la mente è troppo impegnata per registrare molte cose… non sono i fendenti e le parate, bensì le pause fra i vari scontri. Nel cortile del castello di Baldanders, scambiai colpi frenetici con quattro dei mostri che questi aveva creato, ma non avrei saputo dire quando combattevo bene e quando male.

L’oscurità e la pioggia favorivano lo stile selvaggio di combattimento che mi veniva imposto dalla linea di Terminus Est. Non solo un duello formale, ma ogni combattimento con la spada o la lancia richiede una buona visibilità, dal momento che ciascun antagonista deve poter vedere l’arma dell’avversario. Qui non c’era quasi luce per nulla, ed inoltre le creature di Baldanders possedevano un coraggio suicida che le danneggiava. Esse tentavano di balzare sopra o di schivare da sotto i miei fendenti, e, nella maggior parte dei casi finivano per essere colte dal controfendente che seguiva. In ciascuna di quelle schermaglie, gli uomini del lago fecero la loro parte, ed in un’occasione eliminarono per me il mio avversario, mentre in altre lo distrassero oppure lo ferirono prima che io lo affrontassi. Nessuno di quegli scontri era soddisfacente nel modo in cui lo è un’esecuzione ben eseguita.

Dopo il quarto, non ce ne furono più, anche se i loro morti e moribondi giacevano da ogni parte. Radunai gli isolani intorno a me: eravamo tutti in quello stato di euforia che accompagna una vittoria, ed eravamo disposti ad attaccare il gigante, non importava quanto fosse grosso. Ma anche coloro che si erano trovati nel castello quando le pietre avevano iniziato a cadere, giurarono di non aver visto nessuno. Poi, proprio quando io stavo cominciando a pensare che fossero ciechi, e loro, indubbiamente, a ritenere che io fossi matto, fummo salvati dalla luce della luna.

Com’è strano. Tutti cercano il sapere nel cielo, sia per scoprire nelle costellazioni l’influenza che esse hanno sugli eventi, sia per tentare, come Baldanders, di sottrarlo a quegli esseri che gli ignoranti chiamano cacogeni, sia, come nel caso di contadini, pescatori ed affini, solo per predire il tempo che farà. Eppure, nessuno cerca mai nel cielo un aiuto immediato, anche se spesso lo riceviamo, come accadde a me quella notte.

Non fu nulla di più che un’apertura nelle nubi. La pioggia, che si era fatta irregolare, cessò completamente, ma, per un brevissimo istante la luce della luna (molto alta, e, sebbene solo piena a metà, molto brillante), cadde sul cortile del gigante come la luce di una delle più grandi lampade dell’auditorio del livello onirico della Casa Assoluta era solita cadere sul palcoscenico. Sotto di essa, le pietre lisce e bagnate della pavimentazione brillarono come polle d’acqua scura ed immota, ed in esse vidi riflessa una cosa talmente fantastica che mi chiedo come abbia potuto evitare di non far altro che fissarla fino a morire… il che sarebbe accaduto rapidamente.

Perché Baldanders stava cadendo su di noi, ma stava cadendo lentamente.

XXXVII

TERMINUS EST

Nel mio libro marrone ci sono immagini di angeli che discendono su Urth proprio in quella posizione, la testa gettata all’indietro, il corpo inclinato in modo che la faccia e la parte superiore del torace si trovino alla stessa altezza. Posso immaginare la meraviglia e l’orrore che potevano venire dal contemplare quel grande essere che avevo intravisto nel libro nella Seconda Casa, mentre discendeva in quel modo, eppure non credo che la cosa avrebbe potuto essere più spaventosa. Ora, quando ricordo Baldanders, lo ricordo sempre così. Il suo volto era teso, e lui teneva sollevata una mazza sulla cui punta era inserita una sfera fosforescente.

Ci sparpagliammo come fanno i passeri quando un gufo piomba fra loro, al tramonto. Sentii l’aria smossa dal colpo alle mie spalle, e mi volsi in tempo per vederlo atterrare, puntellandosi con la mano libera e rimbalzando in piedi come avevo visto fare ad acrobati da strada; portava una cintura che non avevo notato prima, un affare formato da prismi di metallo collegati fra loro. Non ho mai scoperto, tuttavia, come avesse fatto a rientrare nella torre per prendere mazza e cintura mentre io credevo che stesse scendendo lungo il muro; forse c’era una finestra, da qualche parte, più grossa di quelle che avevo visto, o magari perfino una porta che dava accesso ad una qualche struttura distrutta dal precedente incendio, appiccato dal popolo della riva. Era perfino possibile che avesse infilato all’interno solo un braccio per prendere gli oggetti.

Ma, oh, il silenzio, mentre scendeva fluttuando nell’aria, la grazia mentre lui, che era grande quanto le capanne di molti poveri, si puntellava con una mano e si voltava, in piedi! Il modo migliore per descrivere quel silenzio è non dire nulla… ma la grazia!

Allora roteai su me stesso, il mantello spinto indietro dal vento e la spada sollevata per colpire, come molte altre volte; e compresi ciò su cui in precedenza non mi ero mai soffermato a riflettere… perché il mio destino mi avesse mandato a vagabondare attraverso mezzo continente, fronteggiando pericoli che provenivano dal fuoco, dalle profondità di Urth, dall’acqua ed ora anche dall’aria, armato di quell’arma così grande e pesante che combattere con essa contro un uomo normale era come tagliare gigli con un’ascia. Baldanders mi vide e sollevò la sua mazza, la cui punta ardeva di una luce bianco-azzurra. Credo fosse una sorta di saluto.

Cinque o sei uomini del lago lo circondarono con lance e bastoni muniti di denti, ma non lo attaccarono: sembrava che il gigante fosse al centro di un qualche cerchio ermetico. Nel momento in cui noi due ci avvicinammo, scoprii il motivo di quel comportamento: un terrore che non riuscivo a comprendere né a controllare si era impadronito di me. Non era che avessi paura di lui o della morte, ma semplicemente avevo paura. Sentii i capelli rizzarmisi sulla nuca come sotto il tocco di uno spettro, una cosa di cui avevo sentito parlare ma che avevo sempre considerato un’esagerazione, un’immagine figurata trasformata in una menzogna. Le mie ginocchia erano deboli e tremavano… al punto che ero lieto che nel buio la cosa non si notasse. Ma ci avvicinammo ancora.

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