Patricia McKillip - L'arpista del vento

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La terra di Hed, è risaputo, non è mai stata una fucina di eroi. Tutti i suoi abitanti – compresi i principi che la reggono — sono contadini, ed anche Morgon, Signore di Hed, è un contadino. Ma non solo questo. Perché in un mondo da cui la magia è misteriosamente scomparsa in un remoto passato, e nel quale il sapere esoterico è affidato ai Signori degli indovinelli, Morgon può essere considerato un adepto, il miglior allievo della scuola di Caithnard, unico risolutore di un indovinello rimasto inspiegabile per oltre settecento anni. E poi Morgon ha tre stelle in fronte, identiche a quelle incise su un’arpa che solo lui può suonare e sull’elsa di una spada che solo lui può impugnare. Così, senza volerlo, il principe di Hed viene coinvolto in un viaggio fantastico e in un’avventura misteriosa, nel viaggio verso la montagna di Erlenstar assieme all’arpista del Supremo, per cercare risposta a una domanda che neppure lui ancora conosce. Con l’aiuto di Raederle, la donna che ama e per la quale ha vinto una sfida, Morgon affronterà un difficile cammino esistenziale e avventuroso, cercando la soluzione dell’enigma che lega passato e futuro, e combattendo Ohm, il mago corrotto che vuole alterare gli equilibri del mondo.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1980.

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— Tu li hai legati!

— Mathom aveva allentato la morsa con cui li teneva in suo potere, ma d’altronde essa non sarebbe stata di ostacolo per me.

— Come hai potuto legare a te i Re morti di An?

— Io vedo coi loro occhi. Li capisco. Forse fin troppo bene.

Eliard lo fissò. — Tu sei un mago — disse, ma Morgon scosse il capo.

— Nessun mago, a parte Ghisteslwchlohm, ha mai toccato le leggi della terra. Io sono semplicemente potente, e disperato. — Abbassò lo sguardo su Raederle. Pur abituata com’era alle scenate e ai litigi, che nella dimora di suo padre non mancavano, il suo volto appariva stranito e addolorato. Tristan taceva, con gli occhi fissi nella caraffa del latte. Morgon le sfiorò i capelli corvini; rialzò il capo, pallida, con un lieve brivido.

— Mi dispiace — le mormorò. — Scusami. Non volevo tornare a casa e mettermi a litigare.

— Non importa — disse lei dopo un momento. — Se vuoi due state a litigare, vuol dire che non sei affatto cambiato. — Depose la caraffa e si alzò. — Vado a prendere la scopa.

— Ci penso io.

Questo le riportò negli occhi la luce di un sorriso. — Va bene. Tu scopa. Io porterò qualche altra cosa da mangiare. — Gli toccò i segni sul palmo di una mano, esitante. — Poi mi devi dire come fai a cambiare forma.

Quando ebbe terminato di scopare in terra glielo disse, e vide il volto di Eliard riempirsi d’incredula meraviglia mentre gli spiegava cosa si provava ad essere un albero. Lasciando da parte ogni altra preoccupazione raccontò di come questo lo avesse aiutato a rilassarsi, durante i momenti più snervanti del suo viaggio. Parlò delle sue peregrinazioni nelle terre del nord in forma-vesta, quando il mondo era soltanto neve, vento e stelle. Descrisse loro la meravigliosa bellezza del Passo Isig, e la corte del Lupo-Re con gli animali selvatici che entravano e uscivano liberamente, e le distese di Herun con le loro improvvise nebbie, le paludi e gli impressionanti monoliti di roccia. E per un poco, scoprendo in sé l’amore per la dolce e selvaggia bellezza dei più diversi luoghi del reame, dimenticò i suoi tormenti. Dimenticò anche lo scorrere del tempo, finché nell’angolo superiore di una delle finestre comparve uno spicchio della luna che tramontava. Allora tacque, e vide l’apprensione cancellare di nuovo il sorriso di Eliard.

— Mi stavo scordando dei morti.

Eliard cercò di tenere la voce sotto controllo. — Non è ancora l’alba. C’è tempo prima che la luna tramonti.

— Lo so. Ma le navi verranno da Caithnard l’una dopo l’altra appena io darò il segnale. Voglio che se ne vadano da Hed tutte quante, prima che io parta. Non preoccuparti. Non vedrai i fantasmi, però dovrai essere là quando sbarcheranno sull’isola.

Riluttante Eliard si alzò. Malgrado l’abbronzatura il suo volto era grigiastro. — Tu starai accanto a me?

— Sì.

Tutti e quattro uscirono di casa e si avviarono verso Tol, lungo la strada che serpeggiava bianca e nuda fra le distese più scure dei campi di grano. Camminando per mano a Raederle Morgon sentì nelle sue dita la tensione, e la stanchezza rimasta in lei dal lungo e poco tranquillo viaggio per mare. Scendendo verso Tol lei avvertì i suoi pensieri e gli sorrise.

— Ho lasciato una famiglia di teste di maiale per un’altra!

La Luna, piena per tre quarti, sembrava inclinare il suo volto a guardare le case di Tol. Lontano, oltre il canale di mare tenebroso che separava l’isola dal continente, si vedevano palpitare due occhi di fiamma: i fuochi di segnalazione alle estremità della baia di Caithnard. Dai pali piantati sulla sabbia pendevano le reti dei pescatori. Quando salirono sul lungo molo l’unico rumore era quello della risacca che lambiva le barche tirate in secca.

Bri Corbett, che li attendeva appoggiato alla murata, domandò sottovoce: — Adesso?

— Adesso — ordinò Morgon. Ed Eliard borbottò fra i denti: — Vorrei esser sicuro che sai quel che stai facendo. — Poi la passerella venne allungata sulla banchina ed egli indietreggiò, così vicino all’orlo che per poco non mise un piede in fallo. Morgon sentì di nuovo la sua mente.

La testardaggine e l’inflessibilità che facevano parte dell’anima stessa di Hed parvero piombare come un cancello di sbarre sull’estremità inferiore della passerella. Si chiusero perfino intorno ai pensieri di Morgon. Ne sciolse la morsa riempiendo la mente di Eliard con le immagini multicolori, avventurose e orgogliose, facenti parte della storia antica di An, e che aveva captato a sprazzi nella memoria dei morti. Pian piano, mentre la psiche di Eliard si rilassava, qualcosa emerse dalla nave e scese a lasciarsi assorbire da Hed.

Un brivido improvviso scosse Eliard.

— Sono molto tranquilli — disse, sorpreso. Morgon gli strinse un braccio.

— Adesso Corbett partirà per Caithnard, e manderà qui la seconda nave. Ce ne sono altre sei. Corbett tornerà sull’ultima, e sarà con quella che Raederle e io ce ne andremo.

— No…

— Tornerò.

Eliard tacque. Sul ponte della nave risuonarono gli ordini concisi di Corbett, e la ciurma si diede da fare col sartiame e le vele. Il vento allontanò lentamente lo scafo dal molo; la vela di maestra si gonfiò scura contro il firmamento e la grande ombra prese la via del mare lasciando dietro di sé un’effimera e silenziosa scia di riflessi argentei.

Seguendola con gli occhi Eliard mormorò: — Se tornerai, non sarà mai per restare.

Le sei navi attraversarono il braccio di mare l’una dopo l’altra, approdando senza rumore al molo del paesetto addormentato. Su una di esse, mentre la luna tramontava, Morgon vide assieparsi figure armate e incoronate che svanivano lentamente. La luna scomparve a ovest seguita dai suoi pallidi cortei di stelle; l’ultima delle navi si accostò per ormeggiarsi alla banchina. Tristan si stringeva a Morgon, appoggiandosi ora su un piede ora sull’altro; le cinse le spalle con un braccio, accorgendosi che era infreddolita. Raederle era un’ombra immobile sullo sfondo dei vaghi riflessi del mare, e il profilo del suo volto si stagliava fra i due lontani falò accesi sul continente. Morgon tornò a volgersi verso la nave. I morti ne stavano scendendo; l’oscuro boccaporto che conduceva al sottoponte non si sarebbe chiuso che dietro di loro, quando il vento li avrebbe portati via da Hed. D’un tratto in lui si accalcarono mille cose che avrebbe voluto dire a Eliard, ma nessuna di esse avrebbe alleviato davvero il dolore di quella separazione. Infine si rese conto che sul molo c’erano soltanto loro quattro; i morti s’erano dispersi invisibili verso ogni angolo di Hed, e non gli restava altro se non prepararsi a partire.

Si volse a Eliard. Come sempre, nei momenti che precedevano l’alba il cielo sembrava farsi più scuro. Il vento s’era rinforzato e strappava ventagli di spruzzi dai frangenti. Nel buio non riuscì a distinguere il volto del fratello; la sua ombra massiccia si confondeva con quella delle case e delle colline alle sue spalle. In lui balenò un’immagine che non aveva potuto rivedere, quella dei campi dorati sotto lo splendore del sole d’estate, e gli si strinse il cuore. Sottovoce disse:

— Tornerò a Hed. Non so quando, non so come, ma troverò il modo.

Eliard allungò una mano ad accarezzargli una guancia, nello stesso modo affettuoso che un tempo era stato del loro padre. Tristan lo cingeva con tutte e due le braccia; Morgon la strinse, baciandole la fronte. Poi si scostò da loro, e immobile nell’oscurità gli parve che le vibrazioni del legno sotto ai suoi piedi, riecheggiando i lievi urti delle onde, lo incitassero ad andare.

Volse loro le spalle, trovò ciecamente la strada su per la passerella della nave e scese in fretta nel boccaporto buio.

CAPITOLO TERZO

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