Gene Wolfe - L'ombra del Torturatore

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L'ombra del Torturatore: краткое содержание, описание и аннотация

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Con questo L’ombra del torturatore ha inizio uno dei cicli di science-fantasy più osannati negli ultimi venti anni. In uno stile elegante e raffinato, lirico e sublime, Gene Wolfe ci narra le cronache di Severian il Torturatore, in un futuro talmente distante da rassomigliare al passato più remoto. Alla corporazione dei torturatori non si accede per diritto di nascita: solo i figli delle vittime possono esservi ammessi. Nella grande cittadella di incorruttibile metallo grigio il giovane Severian e i suoi compagni apprendisti studiano per raggiungere il rango di Maestro Torturatore, imparando gli antichi misteri della corporazione, legati al giuramento di torturare e uccidere i nemici dell’Autarca. Ma con l’arrivo di Thecla, una donna bella e intelligente che per le sue indiscrezioni ha perso il posto nel circolo interno delle concubine della Casa Assoluta, la vita cambierà per Severian. La sua disobbedienza alle regole che gli sono state insegnate è causa del suo esilio dalla Città: accompagnato solo dalla mitica spada del torturatore, Terminus Est, donatagli dal suo maestro, Severian si accinge ad un lungo viaggio verso la lontana Thrax, la Città delle Stanze senza Finestre. Un viaggio che lo porterà attraverso l’immensa Città e gli farà incontrare personaggi strani e misteriosi come i gemelli Agia e Agilus, che lo spingeranno a un arcano duello sul Campo Sanguinario, o ancora Dorcas, la misteriosa ragazza che gli apparirà sulle rive del Lago degli Uccelli, dove giacciono i morti. Un viaggio lungo e pieno di insidie che lo condurrà all’Artiglio del Conciliatore, la gemma dai poteri miracolosi, e, chissà, forse allo stesso trono della Casa Assoluta.

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Allungai il passo fino ad afferrare la sua sella e gli domandai se era sicuro di quell'informazione.

— Mi sono svegliato quando gli altri clienti della locanda si sono precipitati fuori per ricevere la loro benedizione — rispose l'uomo. Ho guardato dalla finestra e ho visto la processione. I servi sorreggevano deese illuminati con le candele, ma a rovescio, e le sacerdotesse avevano le vesti strappate. — Il volto dell'uomo era lungo, segnato e allegro; si aprì in un sorriso ironico. — Non so dirti cosa fosse successo, ma credimi, la loro partenza era davvero impressionante e inequivocabile… si tratta di quello che disse l'orso dei campeggiatori, lo sai.

Il dottor Talos sussurrò a Jolenta: — Penso che l'angelo del tormento e la tua sostituta ci accompagneranno ancora un po'.

I fatti dimostrarono che quell'uomo era per metà in errore. Sono certo che voi, che avete visto diverse volte le Mura e forse siete passati da qualcuna delle porte, non avrete pazienza con me; ma prima di continuare con la narrazione della mia vita ritengo necessario dedicare qualche parola alla loro descrizione.

Ho già parlato dell'altezza delle Mura. Sono pochi gli uccelli in grado di sorvolarle, credo. L'aquila e il grande teratornite di montagna, e forse le oche selvatiche e i loro parenti; e pochi altri. Un'idea su quell'altezza me l'ero già fatta: le Mura sono visibili da molte leghe e chi le scorgeva, con le nuvole che si muovevano sopra di loro come increspature in uno stagno, non poteva fare a meno di rendersene conto. Erano fatte di metallo nero, come le mura della Cittadella, e per questo motivo mi apparvero meno terribili di quanto sarebbe stato diversamente… le case che avevo visto in città erano di pietra e di mattoni, e ritrovare il materiale che mi era noto fino dall'infanzia non era spiacevole.

Comunque, entrare nella porta era come entrare in una miniera e io non riuscii a reprimere un brivido. Tutti intorno a me, a parte il dottor Talos e Baldanders, ebbero la stessa reazione. Dorcas accentuò la stretta sulla mia mano ed Hethor piegò la testa. Jolenta parve decidere che il dottore, con il quale aveva discusso fino a un istante prima, sarebbe stato in grado di proteggerla; ma quando lui non le fece caso e continuò a camminare, battendo il bastone lastricato sul terreno come aveva fatto in pieno sole, lo lasciò e con mio grande stupore, si aggrappò alla staffa dell'uomo sul merichippo.

I lati della porta si ergevano altissimi sopra le nostre teste, traforati a lunghi intervalli da finestre costruite con un materiale più spesso e tuttavia più trasparente del vetro. Dietro quelle finestre si scorgevano sagome in movimento: uomini e donne, ed esseri che non erano umani. Penso che si trattasse di cacogeni, gli esseri per i quali l'avern era solo una calendula o una margherita. Altri ancora sembravano bestie dall'aspetto troppo umano: teste cornute che guardavano con occhi troppo saggi e bocche parlanti che mettevano in mostra denti simili a chiodi o a uncini. Domandai al dottor Talos chi fossero.

— Soldati — rispose. — I panduri dell'Autarca.

Jolenta, che in preda alla paura stava premendo un seno contro la coscia dell'uomo a cui si era aggrappata sussurrò: — Il cui sudore è l'oro dei suoi sudditi.

— E sono dentro le Mura, dottore?

— Come i topi. Nonostante il loro enorme spessore, le Mura sono tutte traforate… a quanto ho sentito dire. Nelle loro gallerie stazionano innumerevoli soldati, pronti a difenderle come le termiti difendono i loro nidi di terra nelle pampas del nord. È la quarta volta che io e Baldanders le attraversiamo, dato che, come ti abbiamo spiegato, siamo arrivati a sud entrando in città da questa parte e uscendone l'anno seguente dalla porta detta del Dolore. Solo di recente siamo tornati dal sud, con quel poco che siamo riusciti a guadagnare laggiù, passando attraverso la porta meridionale, quella della Lode. Ogni volta abbiamo visto l'interno delle Mura come ci appare adesso, con i volti degli schiavi dell'Autarca che ci fissavano dall'alto. Sono sicuro che alcuni di loro stanno cercando qualche miscredente particolare e che se lo vedessero, non esiterebbero a uscire per catturarlo.

L'uomo sul merichippo (che più tardi scoprii chiamarsi Jonas) ci interruppe: — Ti chiedo scusa, ottimate, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare le tue parole. Se vuoi, posso darti ulteriori informazioni.

Il dottor Talos mi rivolse uno sguardo scintillante. — Ci farebbe piacere, ma a una condizione. Parleremo solo delle Mura e di coloro che ci vivono, senza fare domande sul tuo conto. E tu ci ricambierai la cortesia.

Lo sconosciuto spinse indietro il cappello malconcio e mi accorsi che al posto della mano destra aveva uno strumento d'acciaio.

— Mi hai capito meglio di quanto volessi, come disse quell'uomo quando guardò nello specchio. Riconosco che desideravo sapere per quale motivo viaggi in compagnia del carnefice e come mai questa signora, la più incantevole che abbia mai visto, si trascina nella polvere.

Jolenta lasciò la staffa e rispose: — Tu sei povero, buonuomo, e non sei più giovane. Non devi domandare niente di me.

Anche nell'oscurità della porta riuscii a scorgere il rossore che salì alle guance dello sconosciuto. Jolenta aveva ragione. I vestiti dell'uomo erano consumati e rovinati dal viaggio, per quanto fossero sempre meno sporchi di quelli di Hethor, il suo volto era logorato e segnato dal vento. Rimase in silenzio per una dozzina di passi, quindi finalmente parlò, con una voce piatta, né acuta né bassa, che rivelava un accenno di secco umorismo.

— Un tempo, i signori di questo mondo non temevano altro che la loro gente, e per difendersi edificarono una grande fortezza su una collina, a nord della città. A quell'epoca non si chiamava ancora Nessus, perché il fiume non era avvelenato.

«Il popolo si risentì per la costruzione di quella cittadella e affermò che era un suo diritto massacrare i propri signori senza difficoltà, se lo desiderasse. Alcuni intanto erano partiti con le navi che viaggiano fra le stelle e fecero ritorno colmi di tesori e conoscenze. Un giorno tornò una donna che aveva trovato solo una manciata di fagioli neri.

— Ah — esclamò il dottor Talos. — Ma tu sei un narratore di professione. Avresti dovuto dircelo subito, perché, come avrai già capito, siamo colleghi.

Jonas scosse la testa. — No, questa è la sola storia che conosco… o quasi. — Fissò Jolenta. — Posso andare avanti, o donna incredibile?

La luce del giorno che splendeva dinnanzi a noi attrasse la mia attenzione, insieme al movimento dei veicoli che bloccavano la strada. Molti stavano cercando di tornare indietro, sferzando gli animali e provando ad aprirsi un varco con le fruste.

— … la donna fece vedere i fagioli ai signori degli uomini e disse loro che se non avessero fatto quello che chiedeva li avrebbe lanciati nel mare e il mondo sarebbe finito. I signori, che erano cento volte più importanti del nostro Autarca, ordinarono che venisse presa e fatta a pezzi.

— Che l'Autarca possa vivere tanto da vedere il Sole Nuovo — esclamò Jolenta.

Dorcas mi strinse maggiormente il braccio. — Perché hanno tanta paura? — domandò. Quindi si mise a urlare e nascose il volto fra le mani quando il puntale di ferro di una frusta le lacerò una guancia. Aggirai la testa del merichippo e afferrai per la caviglia il carrettiere che l'aveva colpita strappandolo al suo sedile. Nel frattempo, l'intero spazio sottostante la porta riecheggiava di grida e imprecazioni, delle urla dei feriti e dei muggiti delle bestie spaventate. Se lo sconosciuto continuò il suo racconto, io non lo udii. Il carrettiere che avevo trascinato doveva essere già morto. Volendo far colpo su Dorcas, mi sarebbe piaciuto potergli infliggere il tormento che noi definiamo delle due albicocche; ma era caduto sotto i piedi dei viandanti e sotto le pesanti ruote dei carri. Persino le sue urla si annullarono nel caos.

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