— Non ti senti molto sicuro sui trampoli, vero?
Scendeva i gradini reggendosi al corrimano. — Mi sento benissimo.
— Possiamo prendere un taxi. Ho il rimborso spese.
— Posso camminare. — Guardò su e giù per la strada che gli sembrò stranamente familiare. — Comunque credo che dovremo farlo. Vedi qualche taxi?
Fanny scosse la testa.
— Non sei venuta in macchina?
— No — disse lei. Si erano incamminati lungo la strada. — Stai pensando a quella volta al Grand Hotel. Ma non era veramente la mia macchina.
— Come hai fatto ad arrivare all’ospedale?
— Col tram — disse Fanny.
— Allora possiamo prenderlo anche adesso. C’è una fermata da queste parti?
— Una fermata?!
— Dove i tram si fermano e uno ci può salire sopra.
Fanny scosse ancora la testa e i suoi fitti riccioli scuri ondeggiarono alla luce del sole. — È così che fate nel tuo mondo? Qui per fermarli basta fare un cenno. Cosa stai guardando?
Era una vetrina, la vetrina di un negozietto che vendeva spartiti musicali. La canzone esposta sopra un leggio dorato era “Il vero amore”. Stava esposta lì da così tanto tempo che la carta polverosa era tutta ingiallita.
— Ecco un taxi — disse Fanny e chiamò: — Taxi !
Lui cercò con lo sguardo l’ospedale delle bambole. Vide l’insegna con l’immagine di una bambola vestita da infermiera.
— Il taxi si sta fermando. — Fanny lo tirò per una manica. — Andiamo.
Lui annuì e si voltò per seguirla sentendosi sperduto come quando si era ritrovato a correre nel vicolo del signor Sheng. Fanny aprì la portiera per farlo salire e lui disse: — Grazie.
— Dove andiamo, signore? — Il tassista era un po’ più giovane di lui e di bell’aspetto. Lui vide che Fanny stava girando intorno all’auto. Si mise a riflettere.
— Dove vi porto, signore?
Lui allungò la mano oltre il sedile e schiacciò la sicura della portiera. — Alla stazione ferroviaria — disse tirando su il finestrino. — Ma la signora non viene.
— Ah, ho capito! — L’autista sorrise ingranando la marcia.
— Sì — disse lui. — Ha capito bene. — Si voltò a guardare Fanny, sola in mezzo alla strada. Pensava che avrebbe tirato fuori la pistola o agitato il pugno verso di lui. Ma non fu così, c’era qualcosa di dolorosamente sconsolato nella sua figuretta nera.
— Siamo usciti dall’ospedale, vero? — Era Tina che aveva cacciato fuori la testa dal risvolto della giacca.
— Sì — disse lui.
— Dove stiamo andando?
— A Manea. — Parlò a bassa voce per non farsi sentire dal tassista. La polizia avrebbe potuto interrogarlo.
— Mi hanno detto che è un bel posto — osservò il tassista. — Sta vicino a Overwood.
— Non credevo che lei mi avesse sentito — disse lui. — Sì, credo che lo sia.
Oltrepassarono una fontana e il rumore dell’acqua gli fece tornare alla mente Klamm… le lacrime negli occhi di Klamm. Klamm aveva obbedito alla legge e all’improvviso si rese conto che nessuno avrebbe interrogato il tassista o li avrebbe inseguiti. Forse Fanny sarebbe stata ammonita, ma nessuno avrebbe fatto indagini e non sarebbero stati diramati comunicati di ricerca.
Il fischio di una locomotiva a vapore risuonò poco lontano e l’eco si moltiplicò fra gli edifici circostanti. Lui sorrise. Il fischio risuonò ancora, diceva di incontri d’amore in luoghi lontani.
Tina spuntò da dietro la sua cravatta. — Iuhuuuh ! — esclamò. Iuhuuuh ! Iuhuuuh !
FINE