— Sì, Herr K. — Klamm aveva richiuso il suo occhio.
Adesso li spalancò tutti e due. — Tanto tempo fa, qvando ero più giofane di lei. Ma fuole ancora bene, nicht wahr ? Io tengo sua mano, lei tiene mia. Qvalche folta ci baciamo, qvando nessuno fede. Qvesto è tutto. Celoso di un fecchio come me, Herr K?
— No — disse lui.
— Io aiuto lei qvando possibile. Faccio qvalche piccolo favore. Lei non ha bisogno ma sa ke per qvesto io sono felice. Anche lei aiuta me, come qvesta sera. È stata lei a portarla qvi, Herr K, e per qvesto non sono morto.
Lui fece un gesto come per dire “non è nulla”, poi disse: — Voglio farle delle domande su di lei, ma non so quali.
— Lei è sempre molto pella e pensa ke può nascondere sua pellezza se fuole, ma sbaglia. A folte qvesta bellezza è lì, la pellezza di ki sa ke è pella, ja ? Altre folte è pellezza nascosta di ki non sa e allora siamo noi ke dobbiamo scoprire. Se uno dice “perché qvesta donna non è pella?” non scopre mai. Ma se cerca… lei capisce, credo.
— Sì… Lora Masterman. Signor Klamm, una volta, quando ero all’ospedale, ho telefonato al mio appartamento e mi ha risposto lei.
Klamm annuì con gli occhi semi chiusi. — Ho risposto e lei ha riattaccato. Fuole sapere come accade qvesta cosa?
— Sì.
— Semplice. Lei aspettava sua telefonata. Capita ke uno possa telefonare da qvi a là o al contrario. Così fatto in modo ke qveste chiamate suonano in mio ufficio. Apparecchio speziale, ja ? Mi ha detto di lei e pregato di dare aiuto se lei chiedeva. Ma lei non ha chiesto.
— In un’altra occasione mi ha risposto una persona diversa.
— Uno dei miei acenti — spiegò Klamm. — Io sto qvasi sempre in mio ufficio, ma non sempre. Qvando io non sono lì, c’è un altro. Capita ke necessario decidere subito, allora lui fa al mio posto.
— Quell’uomo voleva sapere dove mi trovavo, ma Lara ne era a conoscenza perché mi ha mandato dei fiori.
— Ma noi no, nemmeno ke Laura sapeva. Laura non sa tutto, anche se sa molto. E non racconta tutto qvello ke sa. Forse ha mandato fiori per tentativo. Se fioraio dice “Non c’è nessuno con qvel nome” capiva ke lei non era lì. Anche noi facciamo uguale. Qvella dei Riuniti è stata buona idea, ja ? Spesso portano là Fisitor.
Era la stessa parola che aveva usato Fanny. Lui domandò: — Io sono un Visitor pericoloso o innocuo, signor Klamm?
Klamm fece una risatina. — Innocuo, proprio innocuo. Proprio come me. Ma Herr North è Fisitor pericoloso, per qvesto costretti a controllare tutti. Lei sarà affidato a un mio acente ke afrà compito di tenere lei lontano da guai. Forse un giorno Laura tornerà qvi per lei.
— Un’altra cosa, signore. Le ho parlato dell’altro uomo che ha risposto dal mio appartamento.
— Ja.
— Una volta l’ho visto alla Tv. Avevo appena acceso il televisore e lui è apparso sullo schermo mentre rispondeva dal mio appartamento.
Klamm annuì. — Nessun altro guardava? Altro forse fedefa uguale di lei, Herr K. Forse no. Più facile ke no. Allora Laura era ficina a lei e Laura fa fare qvesti sogni. Non so spiegare perché.
La conversazione si interruppe e lui ebbe l’impressione che nel momento in cui Klamm diceva non so dirle il perché , la limousine si fermasse davanti a un ospedale. In realtà non fu così. L’auto proseguì la strada dietro la macchina nera per almeno un altro miglio. Nel frattempo lui rifletté su quanto aveva detto Klamm che ora stava rannicchiato in un angolo come se dormisse. Quando arrivarono veramente davanti all’ospedale (S. Anchise, diceva l’insegna illuminata dal lampione), la limousine non si fermò davanti all’ingresso principale ma si diresse sul retro, verso l’entrata del pronto soccorso.
— Addio, Herr K — disse Klamm tendendogli la mano. — No, ormai lei ha diritto a suo fero nome. Addio, Herr Green, amico mio, ke la fortuna l’assista! Io chiamo lei Herr K perché qvesto nome ricorda me un fecchio amico. Un amico ke era io.
Lui strinse la mano di Klamm. — Addio, signor Klamm. Lei può chiamarmi come preferisce.
Una delle guardie del corpo aprì la portiera.
— Lei sa come parlare con me in mio ufficio, ja ? O con altra persona ke decide in mio posto.
Con l’apertura della portiera si erano accese le luci all’interno della macchina e lui vide con stupore che gli occhi di Klamm erano pieni di lacrime. Disse: — Sì, signore, lo so.
— Prenditi cura di lui, Ernest. Guarda ke abbia buon dottore.
La guardia del corpo rispose: — Stia tranquillo signor ministro. — Lui scese dall’auto, la portiera si richiuse e la limousine scivolò via silenziosa.
Tina disse: — Che vecchietto delizioso.
La guardia del corpo le dette un’occhiata e sorrise. — Ha una bambola? Anch’io una volta ne avevo una.
Tina gli disse: — Dovresti prendertene un’altra.
Lui seguì la guardia del corpo in una stanza illuminata dove un orientale stava bevendo da una tazza di porcellana sbocconcellata. Quando li vide, si alzò per prendersi cura di lui. — Felice di rivederla — disse l’orientale. — Si metta pure a sedere.
Lui obbedì. — È bello vederla di nuovo, dottor Pillo-Lin. — Dopo un attimo aggiunse: — Pensavo che lavorasse in quell’altro posto.
— Sì, quando hanno bisogno di me. È qui vicino. Quella volta lei aveva un trauma cranico, ricorda?
— Certo — disse. — Ahi!
— Ha il naso rotto — gli disse il dottor Pillo-Lin. — Dobbiamo rimetterglielo a posto. Adesso le do un anestetico, ma le farà lo stesso un po’ male. Se lo è rotto facendo a botte?
Al suo posto rispose un’infermiera. — Sì, con un assassino. L’hanno fatto vedere alla Tv. — Senza smettere di esaminargli il naso il dottor Pillo-Lin disse: — Davvero?
La guardia del corpo domandò: — Può tenerlo qui per la notte, dottore? Domani mattina verrà qualcuno a prenderlo.
— Certo. — Il dottor Pillo-Lin si alzò e cominciò a riempire una siringa ipodermica.
Un’infermiera lo svegliò per chiedergli cosa voleva a colazione. — Ha perso un paio di denti — gli disse. — Perciò niente toast o roba del genere. Pensa che ce la farà a mangiare un uovo strapazzato?
Lui fece cenno di sì e si mise a sedere sul letto. — Ho fame. Ieri sera non ho cenato.
Lei sorrise: — Questo spiega tutto.
Quando se ne fu andata, lui si guardò intorno. La stanza era più grande di quella che aveva occupato ai Riuniti e molto più piccola della corsia che aveva diviso con altri nove pazienti nell’ospedale psichiatrico di cui non riusciva a ricordare il nome. C’era un armadietto, come nella stanza ai Riuniti, ma non era chiuso a chiave. La sua giacca, i pantaloni e il cappotto erano appesi lì dentro. In basso c’erano le scarpe. Si ricordò che quando stava in macchina con Klamm non indossava il cappotto, quindi qualcuno lo aveva portato lì.
Frugò nella tasca interna della giacca e Tina disse: — Ciao, buongiorno. — E si stirò.
— Buongiorno. — Allungò la mano e lei si arrampicò sul palmo. — Di nuovo in ospedale — disse lui.
— Sei già stato in ospedale altre volte?
— Sì, ma tu dormivi. Ci sono stato spesso.
L’infermiera rientrò portando un vassoio. — Tenere quegli oggetti è contrario al regolamento.
— Mi dispiace, non lo sapevo.
— Dovrei portargliela via e chiuderla da qualche parte. Lei, comunque, sarà dimesso oggi, perciò non ne vale la pena. Ma non la faccia vedere a nessun altro.
— Me ne starò nascosta — disse Tina.
— Cosa vuole da bere? Abbiamo caffè, tè e latte.
Le domandò se poteva avere sia tè che latte e l’infermiera disse di sì. Ritornò con una tazza, un bricco di acqua bollente e un bicchiere di latte e poggiò tutto sul vassoio.
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