Gene Wolfe - Dimensioni proibite

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Potrebbe capitare a ognuno di noi: fare un passo falso, inciampare in quello che sembrava un sasso (ma non lo era), scivolare oltre una soglia invisibile o molto ben nascosta e trovarci in un mondo sconosciuto, completamente diverso dal nostro. Ci sono porte che si spalancano fra le dimensioni, e alcune — come si accorgerà il protagonista di questo romanzo — sono dimensioni proibite. Ma se dall’altra parte incontrassimo un personaggio straordinario, una donna dotata di poteri stupefacenti, un essere di cui non possiamo più fare a meno? Ci mettererrimo alla ricerca di lei a ogni costo, rischieremmo la vita per trovarla e scoprire il suo segreto. Ma cosa ci aspetterebbe alla fine dell’awentura? È pericoloso scherzare con i mondi altrui: non si sa mai quello che può succedere…

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— Ciao, Tina — disse Lora con voce tesa.

— Io ti appartengo — dichiarò Tina. — Sono la tua bambola e so parlare.

Lora scosse la testa. — Temo che non sia vero, Tina. Hai sbagliato persona. Tu appartieni all’uomo dietro di te.

Lui disse: — Ciao, Tina. Ti ricordi di me?

— Pochino.

— Abbiamo giocato insieme nel mio appartamento. Tu mi hai aiutato a cercare delle cose che avevo perso e io intanto ti stavo leggendo una storia. Poi ti ho comprato dei bei vestitini e un servizio da tè.

Tina fece cenno di sì. — Se vuoi bere il tè, posso aiutarti a preparare la tavola.

— Sì, appena torniamo a casa. — Poi, rivolto a Lora, disse: — Sei sicura di non voler dare Tina a Missy?

Lora scosse la testa. — So che vuoi essere gentile e devo ammettere che sulla bambola tu avevi ragione e io torto. Dicevi la verità, ma questa cosa sembra troppo una stregoneria per i miei gusti e per quelli di Missy.

— Va bene, non pensiamo a Tina per ora. Quando te ne sei andata mi hai lasciato un biglietto, ricordi? Se sei davvero quello che dici di essere, una divorziata con una bambina, perché mi hai scritto di quelle porte?

Lora lo guardò con aria interrogativa. — Quali porte?

Lui prese il biglietto dal portafoglio, lo aprì e lo lisciò sul tavolo. Una goccia d’acqua salata cadde su un angolo del biglietto, come una lacrima. Mentre lui alzava lo sguardo su Lora, Tina fece una risatina.

Lora domandò: — Che avete da ridere, voi due? — Quando lui l’aveva aperto, Lora aveva dato un’occhiata al biglietto e aveva distolto immediatamente lo sguardo.

— È per la tua faccia — le disse lui. — Fino a ora eri riuscita a controllarti.

Lora si alzò in piedi, pulendosi le labbra con il tovagliolo. — Se non ti piace la mia faccia…

— Immagina che io chiami Canale 9 — disse lui. — Immagina che io gli mostri questo biglietto e poi gli faccia vedere Tina. Sono sicuro che quelli della Tv sarebbero molto interessati a Tina e tu non potresti tornare qui chissà per quanto tempo.

Tina esclamò: — Non andartene! — Un cliente grasso, seduto al tavolo vicino, guardò la bambola e distolse immediatamente gli occhi, con l’espressione stupita ma determinata di un ateo che abbia visto un fantasma.

— Questa è pura follia — disse Lora. — Sapevo che sarebbe andata così, quindi è colpa mia. Grazie per il pranzo.

— Ho anche il tuo ritratto — le disse lui. Lora non rispose e lui continuò: — Siediti.

Con le braccine tese, implorando di essere presa in mano, Tina trillò con voce acuta: — Sei così graziosa!

Lora si rimise a sedere. Non si dondolava più con la sedia e stava sulla difensiva. — Ma io non ti ho mai dato il mio ritratto.

— Infatti. — Fece una pausa per pensare bene a quello che stava per dire. — Le cose tornano al loro posto da sole, vero? Le cose del tuo mondo e del mio. Quando ero piccolo mia madre a colazione mi dava i fiocchi di granturco con il latte e io non sono mai riuscito a spiegarmi perché un fiocco che io mettevo in mezzo alla tazza si spostava sempre da una parte. Ancora adesso non me lo so spiegare, ma non credo che sia per magia. E sono convinto che anche questo non sia magia. Probabilmente si tratta di una legge di natura, come la gravità. Che succede quando qualcosa appartiene a tutti e due i mondi? — Restò in attesa di una risposta.

— Immagina che il mio mondo sia come il mare — disse Lara. La sua voce era improvvisamente diversa; il cambiamento era minimo ma molto significativo. Aveva rinunciato all’inutile gioco che ormai non la divertiva più. — E che il tuo sia come la terra.

Sotto il trucco s’intravedevano le lentiggini e i suoi occhi mandavano bagliori verdi.

32. Pranzo con Lara

Lui sospirò emettendo più aria di quanto immaginasse di avere dentro di sé. — Va bene.

— Le cose pesanti appartengono al mare. Uno può riuscire a tirarle fuori. — Lara lanciò un’occhiata a Tina. — Ma se si avvicinano di nuovo al mare, prima o poi ricadono dentro, e in questo caso, affondano.

Lui annuì per dimostrarle di aver capito.

— Le cose leggere, invece, appartengono alla terra. Se cadono in mare, galleggiano e prima o poi vengono spinte a riva. Ma tu volevi sapere di quelle cose che appartengono a tutti e due i mondi.

— Sì.

— Pensa al relitto di un naufragio. È di legno, quindi galleggia, ma ci sono infissi molti chiodi. I chiodi sono di ferro e il ferro affonda, quindi se il relitto riesce a galleggiare, galleggerà semisommerso. Se il legno si impregna d’acqua, anche solo un po’, il relitto si inabissa, ma passerà molto tempo prima che si adagi sul fondo. E ci vorranno anni prima che venga seppellito dalla sabbia, perché ogni marea lo farà spostare e lo libererà dalla sabbia che lo ricopre. Se scoppia una tempesta, le correnti spazzano il fondo del mare e allora è possibile che il relitto sia sospinto di nuovo verso la riva.

Dopo un attimo di silenzio Tina chiese: — Ci sono davvero tempeste così forti?

Lara annuì. — Io sono la tempesta. — E rivolta a lui aggiunse: — Adesso mostrami il mio ritratto e dimmi come l’hai avuto.

— Va bene. — Prese dalla tasca sinistra un medaglione d’oro brunito e lo aprì. Lara si chinò in avanti per guardarlo, ma lui glielo impedì perché voleva osservarlo un momento da solo. Col tempo i colori si erano attenuati, ma non sbiaditi, l’antica miniatura mostrava il profilo di lei, con le labbra atteggiate in un leggero sorriso, il collo ornato da una trina e i lobi da orecchini di giada verde.

— Se dico di amarti — gli domandò Lara — me lo darai?

— Io ti amo — le disse lui. — Non lo lasceresti a me?

Con le sue dita sottili e calde, Lara gli fece girare la mano per riuscire a vedere la miniatura, poi annuì.

— All’interno c’è scritto il tuo nome, o meglio, uno dei tuoi nomi. Leucothea Fitzhugh Hurst.

Lara annuì ancora. — Dove l’hai trovato?

— Nello scomparto segreto dove c’era anche Tina. Il capitano probabilmente si era fatto costruire quello scomparto per nascondere i suoi oggetti di valore, anche questo medaglione. Credo che fosse lì quando lui è morto e non lo sapeva nessun altro.

— Tu vuoi tenerlo perché pensi che sia il mio ritratto.

Io so che è il tuo ritratto.

Lara lanciò un’occhiata alla bambola: una dea che guarda un giocattolo. — Tina sono io.

Tina esclamò: — No, non sono te!

— Sei anche Marcella, la stella del cinema. Sei tu che me lo hai detto, quella volta al telefono quando stavo in ospedale. A te piace chiamarti con nomi che cominciano con la L , ma non sempre.

— Lara è un nome recente — ammise lei.

— Allora non sapevo che quando sei venuta qui avevi depositato la pelliccia sotto questo nome… Lara Morgan. L’ho scoperto dopo, al mio ritorno.

Lei sorrise: — Sei stato bravo.

— Grazie. Ho cercato di trovare un lavoro là, ma non ci sono riuscito.

— Tu non accettavi che io fossi Lora Masterman, perché Lora Masterman era la segretaria della psichiatra da cui eri in cura, così per te sono diventata Lara Morgan.

— Ho capito. Forse mi puoi spiegare qualcosa a cui ho pensato spesso.

— Qual è il mio vero nome? No, non posso dirtelo.

Lui scosse la testa. — No, voglio sapere cosa avevo che non andava quando sono stato per la prima volta dalla dottoressa Nilson. Adesso la causa sei tu, ma allora cos’era?

Tina gli chiese: — Non stai bene?

— Sì, sto bene, Tina — rispose. — Sto benissimo.

— Una depressione. Ci sono uomini soli che respingono l’amore perché sono convinti che chiunque glielo offra non sia una persona che valga la pena di amare. Tu eri così, anche se non volevi ammetterlo.

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