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Patricia McKillip: La maga di Eld

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Patricia McKillip La maga di Eld

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Molte sono le leggende nate intorno alle buie foreste che ricoprono il misterioso monte Eld, e sempre vengono sussurrate con un filo di voce. Si narra che il possente mago Heald abbia avuto un solo figlio, l’ombroso Myk con un occhio grigio e un occhio nero, e che sul monte Eld il figlio del mago abbia attirato a sé dai quattro angoli del mondo creature leggendarie: l’orso Cyrin, che risponde a tutti gli enigmi tranne uno, il drago Gyld, intento a custodire il suo incredibile tesoro, e il cigno nero di Terleth. Si narra anche che il figlio di Myk, il cupo Ogam, abbia continuato la collezione chiamando a sé il mortale falco Ter e il magico gatto nero Moriah, artefice di sottili incantesimi… Ma oggi sotto la cupola di cristallo nascosta sul monte Eld vive la figlia di Ogam, la bellissima vergine maga Sybel, e i suoi tentativi per attirare Liralen, l’ultimo animale magico del mondo che ancora manca alla sua collezione, sono interrotti dall’arrivo di un cavaliere che chiede asilo per il figlio di un re spodestato. Il mondo degli uomini chiede l’aiuto della maga di Eld, e forse dei suoi animali.

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“Io sì” disse la Gatta.

“Comunque, sarà sufficiente fargli un po’ di paura.”

Il Cinghiale Cyrin li aspettava sulla porta. I suoi occhi, alla luce di quel sole autunnale, erano uno specchio d’innocenza. Sybel gli si fermò davanti e lo fissò con aria interrogativa.

“Secondo te” gli chiese “come dovrei comportarmi con quell’uomo?”

Il Cinghiale dalle setole argentee emise un brevissimo soffio divertito.

“Una rete di parole” disse infine “è più forte di una rete di corda”.

“Ossia?” chiese lei.

“Ossia, in questo momento il tuo ospite sta parlando a Tamlorn, con parole più dolci del canto di un arpista.”

Sybel sentì che il suo cuore prendeva ad agitarsi come le tortore di Maelga. Entrò in casa e corse alla stanza di Ogam. Aprì la porta, e vide che Tamlorn, stranamente acceso in volto, distoglieva gli occhi dal Principe del Sirle per guardare verso di lei. Nel suo sguardo si scorgeva un conflitto di emozioni indistinte, indefinibili.

— Mi ha detto… — esclamò il ragazzo, fermandosi per deglutire a vuoto — che sono il figlio del Re di Eldwold.

Sybel si fermò accanto al letto; un rovente lampo di dolore sorse per un istante dentro di lei, per poi frantumarsi e scomparire. Disse piano:

— Tamlorn, caro, adesso lascialo tranquillo. Deve riposare.

Il ragazzo si alzò in piedi, senza staccare lo sguardo dagli occhi di lei.

— Quello che ha detto… è vero? — chiese. — Tu non me ne hai mai parlato.

Lei gli accarezzò il volto abbronzato.

— Tamlorn — disse — più tardi ne parleremo. Ma non ora. Ti prego.

Il ragazzo li lasciò soli, chiudendosi la porta alle spalle, senza fare rumore. Lei si accomodò sulla sedia accanto al letto e si portò le mani alla faccia.

Infine bisbigliò, da dietro le mani che le coprivano gli occhi e la bocca:

— Voi mi avete ordinato di amarlo. E così ho fatto, amandolo più di ogni altra cosa al mondo. Adesso volete togliermelo, per usarlo nei vostri giochi di guerra. Rispondete a questa domanda: chi di noi ha il cuore di ghiaccio?

Coren non si mosse. Poi mormorò qualcosa, e Sybel si sentì toccare le mani dalle sue dita febbricitanti.

— Vi prego. Cercate di capire. State piangendo?

— Non sto piangendo! — esclamò lei.

Coren tolse la mano, e lei lo fissò: la febbre dava ancora un aspetto sognante ai suoi occhi, la calda luce del mattino gli batteva sulla schiena ferita.

— Che cosa dovrei capire? — riprese la donna. — Che dopo avermi dato Tamlorn, dopo avermi detto di allevarlo e di amarlo, ora vi sentite autorizzato a portarmelo via?

“Lui non vi appartiene, Coren. Non avete alcun diritto su di lui, perché non è il figlio di Norrel. È figlio di Drede: me l’ha detto Maelga, dodici anni fa.

“Ma sono stata io ad allevarlo, e non intendo cederlo né a voi né a Drede perché lo usiate come pedina di un gioco politico. Riferite queste parole a vostro fratello Rok, quando ritornerete da lui. Molti di coloro che abitano con me hanno poca simpatia per voi: da loro, non aspettatevi un’accoglienza migliore di questa.”

Coren non mosse muscolo, e per qualche tempo parve meditare sulle parole della donna.

Infine disse:

— Fin dal primo momento in cui mi avete visto, già sapevate che cosa volevo. Eppure mi avete medicato la schiena e la testa, e ormai avete perso ogni possibilità di farmi realmente paura. Se lascerò la vostra casa senza quel che sono venuto a prendere, Rok mi dirà di tornare. Ha molta fede in me.

S’interruppe di nuovo, poi le sorrise.

— Ma non mi ha solo chiesto — continuò — di portargli Tamlorn. Nel Sirle, Sybel, devo portare anche voi.

Lei lo fissò, sorpresa. — Siete pazzo — disse.

Coren scosse la testa, cautamente. — No. Io, anzi, sono il più savio dei miei fratelli. Siamo in sette… in sei, adesso.

— In sei.

— Sì, mentre Drede ha soltanto un figlio che non ha mai conosciuto. Vi pare strano che il Re di Eldwold sia in allarme?

— No — disse lei. — Se nel Sirle ci sono sei pazzi, e voi siete il più savio di tutti, confesso di essere allarmata anch’io. Ho pensato che foste una persona saggia la notte che mi avete portato il bambino: avevate delle conoscenze che non mi sarei mai aspettata. Ma adesso ragionate come uno sciocco.

— Lo so — rispose Coren. La sua voce rimase tranquilla, ma l’espressione cambiò e gli occhi si persero in qualche lontano ricordo.

— Vedete — spiegò — io amavo Norrel. Anche voi conoscete un poco l’amore. E Drede l’ha ucciso. Quando si tratta di Norrel, io divento uno sciocco. So che cosa sia l’odio.

Sybel sospirò.

— Mi spiace — disse. — Ma il vostro odio non mi riguarda, e Tamlorn non è vostro: non potete prenderlo.

— Rok mi ha incaricato di comprare i vostri poteri.

— Hanno un prezzo più alto di quanto possiate permettervi.

— Qual è la cosa che desiderate maggiormente?

— Non esiste — disse lei.

— No? — la fissò negli occhi. — Ditemelo. Quando scrutate in voi, come potete scrutare voi sola, che cosa vi chiede il cuore? Io vi ho detto che cosa voglio io.

— La morte di Drede?

— Qualcosa di più — disse Coren. — Prima desidero togliergli il suo potere e le sue speranze, e infine la vita. Proprio come avete detto voi: sono uno sciocco. Allora, cosa volete?

Per un lungo tempo, lei non parlò.

— La felicità di Tamlorn — disse infine. — E il Liralen.

Senza che lei se lo aspettasse, sulle labbra di Coren si disegnò un sorriso. — Il Liralen. Il bellissimo uccello dalle bianche ali che il Principe Neth catturò poco prima di morire… l’ho visto nei miei sogni, così come ho visto nei miei sogni, uno alla volta, tutti i vostri grandi animali. Ma non ho mai sognato di voi. Siete in grado di prendere quell’uccello, Sybel? Pochi sono riusciti a catturarlo.

— Voi siete in grado di darmelo?

— No — disse Coren — ma posso promettervi questo: un posto di potere ih un terra dove il potere ha un prezzo infinito e dove comporta onori senza uguali.

“Il vostro unico desiderio è davvero quello che mi avete detto? Abitare su questa montagna, parlando unicamente con i vostri animali, che vivono nei sogni del loro grande passato, e con Tamlorn, cui negate un futuro?

“Considerate: a legarvi a questo posto è solo la volontà di vostro padre; voi vivete la sua vita, non la vostra. Invecchierete e morirete quaggiù, dedicando l’esistenza ad altri che non hanno bisogno delle vostre attenzioni.

“Lo stesso Tamlorn, un giorno, non avrà più bisogno di voi. In futuro, dunque, che cosa vi resterà della vita? Solo un silenzio privo di significato e alcuni antichi nomi che non vengono mai pronunciati fuori di queste mura. Con chi riderete, quando Tamlorn sarà grande? Chi amerete? Il Liralen? È un sogno. Lasciate questa montagna, prendete il posto che vi spetta tra i viventi.”

Lei non rispose. Vedendo che non si muoveva, Coren allungò la mano e le spostò i capelli per guardarla in faccia.

— Sybel — mormorò.

Lei si alzò bruscamente in piedi e uscì senza voltarsi.

Si recò nel giardino, e, all’ombra dei pini scuri e degli alberi che già rosseggiavano di foglie autunnali, s’immerse nei suoi pensieri, sorda a tutto il resto.

Dopo qualche tempo, Tamlorn la raggiunse, silenzioso come un animale della foresta, e le cinse la vita con un braccio. Lei sussultò per la sorpresa.

— È vero? — le chiese il ragazzo.

Lei annuì.

— Io non voglio andarmene — disse Tamlorn.

— Allora, non te ne andrai.

Lo fissò, e con la mano gli ravviò i capelli, chiari come i suoi e come quelli della madre. Trasse un leggero sospiro.

— Non sono mai stata triste come ora — disse. — E mi sono scordata di parlare con il Drago Gyld.

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